In un versetto della Parashà di Vayakhel sembra esserci un’incoerenza interna (Shemot 36:7) sulla quale diversi commentatori discutono. La Torà afferma simultaneamente che il lavoro comunitario e le donazioni per il Mishkan (Tabernacolo) erano sufficienti, il che sembrerebbe implicare che fosse esattamente sufficiente, e che rimanevano degli avanzi. Come si possono risolvere queste due affermazioni apparentemente contraddittorie?
Rav Mordechai Kamenetzky, per spiegare questa apparente incoerenza, racconta che una volta una piccola città tenne un’elezione molto combattuta per l’elezione del sindaco. Dopo che tutte le schede furono scrutinate, emerse un vincitore con un margine di maggioranza di voti molto stretto. La sua gioia iniziale per aver vinto le elezioni si dissipò rapidamente quando ogni persona che incontrava affermava che il voto che rappresentava il margine vincente era il suo e quando ognuno pretese che il nuovo sindaco rimanesse in debito con lui per tutto il suo mandato.
Allo stesso modo, i Chachamim suggeriscono che se le donazioni per il Mishkan fossero state esattamente sufficienti, ogni contributore avrebbe affermato che il successo nella costruzione del Mishkan dipendeva dal suo contributo personale, senza il quale l’intero progetto sarebbe fallito. Questo si sarebbe tradotto in un’enorme presunzione collettiva che è fondamentalmente contraria a quanto insegna il Talmud nel Trattato di Sotà (daf 5a) dove si afferma che le persone arroganti impediscono la presenza della Presenza Divina (Shechinà). Poiché l’intero scopo del Mishkan era quello di creare un luogo in cui la Presenza di D-o potesse dimorare, era necessario che le donazioni fossero leggermente superiori a quanto strettamente necessario per essere considerate sufficienti. L’Or haChaim, rispetto a questo problema, porta un punto di vista alternativo sostenendo che in realtà gli ebrei hanno donato con così tanto entusiasmo per la costruzione del Mishkan che i contributi totali erano in realtà più di quanto fosse necessario. Alla luce di questo, D-o temeva che se fossero rimasti dei materiali o delle risorse inutilizzate dopo il completamento del Mishkan, alcuni ebrei avrebbero potuto rattristarsi al pensiero che le loro donazioni non fossero state utilizzate. Per evitare questa situazione, quindi, fece un miracolo e fece in modo che tutto quanto era stato ricevuto venisse utilizzato, facendo sì che le donazioni in eccesso rispetto a quanto era strettamente necessario per la costruzione sembrassero invece giuste e sufficienti allo scopo.
I Chachamim suggeriscono che questa lezione si applichi a tutte le questioni di spiritualità. Anche quando un progetto sembra non aver prodotto risultati pratici, nessuna azione pura compiuta per amore di D-o va mai sprecata. Ad esempio, all’epoca del peccato del vitello d’oro, Chur tentò di protestare contro le azioni del popolo e fu ucciso per il suo zelo (Rashi – Shemot 32:5). Il Daat Zekenim commenta (Shemot 35:30) che Betzalel fu scelto come costruttore principale del Mishkan, tra le altre ragioni, specificamente in merito alle azioni di suo nonno Chur, poiché uno degli scopi del Mishkan era quello di espiare il peccato del vitello d’oro.
Sebbene la società in cui viviamo tenti di convincerci che l’unica cosa che conta è esclusivamente il risultato finale, la Torà insegna che D-o si preoccupa delle nostre sincere intenzioni e dei nostri sforzi per accrescere la Sua gloria, e questi non andranno mai sprecati. Il Daat Zekeinim scrive che fu grazie al contributo gioioso e generoso delle donne che portarono i loro gioielli per la costruzione del Mishkan (Shemot 35:22), decisione che era in netto contrasto con il loro rifiuto di donare i loro gioielli per la costruzione del vitello d’oro (Shemot 32:2-3), meritarono una festa personale a Rosh Chodesh, il nuovo mese. Perché Rosh Chodesh è particolarmente adatto come ricompensa per le loro sagge azioni?
Lo Shemen haTov spiega che le donne di quella generazione eccellevano nella loro solida fiducia in D-o e nell’incapacità di rinunciare alla speranza anche nei momenti più bui, e di queste qualità furono in grado di darne prova in più frangenti. In Egitto, mentre gli uomini soccombevano al lavoro massacrante e ai tremendi decreti del Faraone, tra i quali l’ordine di uccidere i loro figli, si disperavano ed erano incapaci di vedere un futuro, le donne continuarono a sperare, convincendo abilmente i loro mariti ad aiutarle a fare nascere più figli, nonostante vivessero in una realtà e in un mondo di dolore e incertezza. Invocarono questo merito quando contribuirono con gioia alla costruzione del Mishkan (Rashi – Shemot 38:8) con gli specchi che avevano usato a questo scopo. Questi specchi furono usati per costruire il Kyor, il lavabo utilizzato dal Cohen.
Allo stesso modo, quando gli uomini calcolarono male il ritorno di Moshè dal Monte Sinai e caddero preda della notizia falsa (o fake news, come si direbbe oggi) che Moshè era morto, le donne mantennero la speranza e si rifiutarono di prendere parte al peccato del vitello d’oro. Dopo questo tremendo peccato collettivo, sarebbe stato facile e naturale rinunciare alla speranza. Nonostante questo, il Mishkan offriva una nuova prospettiva di vicinanza divina anche in quell’epoca, e rappresentava anche la possibilità del perdono offerto da D-o per il peccato del vitello d’oro (Rashi 38:21). Riconoscendo questa straordinaria e unica opportunità di instillare una nuova vita in un popolo che si sentiva abbattuto e abbandonato, le donne si lanciarono con entusiasmo nelle azioni necessarie per donare alla causa con grande gioia ed entusiasmo.
Come si è arrivati da un popolo diviso e abbattuto ad un popolo entusiasta nel donare e ad una collettività capace di fare emergere qualità eccezionali?
La risposta è insita nei primi versetti della Parashà di Vayakhel. Tre volte in pochi versetti (Shemot capitolo 35, versetti 1, 4 e 20), viene usata la frase “l’intera congregazione”, a significare di quanto fosse importante che il messaggio arrivasse a tutto il popolo, non solo a coloro che lavoravano al Mishkan. A guardare bene però i diversi versetti indicano diverse motivazioni interiori nel contribuire allo sforzo. I leader portarono pietre preziose, le donne portarono gioielli da fondere. Ogni materiale proveniva da diversi segmenti del popolo. Il punto principale è che per la costruzione del Mishkan era necessario uno spirito collettivo perché il Mishkan era destinato a rappresentare l’intero popolo. Certo, gli ebrei potevano avere dei delegati o degli agenti per svolgere i vari compiti. Il servizio effettivo quotidiano nel Mishkan era svolto solo dai Kohanim (sacerdoti) che non sono una prima classe privilegiata ma sono i servitori del popolo. Il lavoro di costruzione doveva essere svolto solo da pochi artigiani, ma lo spirito e l’intenzione di ogni singolo ebreo erano un importante contributo alla causa comune.
Attraverso il riferimento ai comportamenti virtuosi che hanno portato, a partire da molto tempo prima, dalla schiavitù degli ebrei in Egiitto, alla costruzione del Mishkan, la Torà ci insegna dei valori importanti ed universali. Attraverso il merito delle donne nel non perdere la speranza e nel non cadere nel peccato del vitello d’oro, la Torà ci insegna a sperare e a vedere la luce anche nei momenti bui, ed è per questo che il Daat Zekenim sostiene che le donne meritarono una festa particolare a Rosh Chodesh, perchè questa occasione rappresenta la rinascita, la luce che viene dopo il buio. Attraverso l’entusiasmo nel donare per la costruzione del Mishkan la Torà ci insegna e ci esorta ad acquisire dei meriti e a partecipare ad attività sacre e positive. Anche se oggi non c’è il Mishkan o il Bet haMikdash, ci sono spesso molte occasioni di acquisire meriti: Attraverso le mitzvot, attraverso atti di chesed, attraverso la tzedakà, attraverso la partecipazione, monetaria o personale, ad attività che permettano il miglioramento della vita del prossimo, abbiamo la possibilità di crescere personalmente, di fare crescere e di migliorare l’ambiente in cui viviamo e di ispirare positivamente il prossimo a fare altrettanto.