Roberto Maggioncalda – Tempio di via Eupili
Premessa וְהָיָה֩ הַיּ֨וֹם הַזֶּ֤ה לָכֶם֙ לְזִכָּר֔וֹן וְחַגֹּתֶ֥ם אֹת֖וֹ חַ֣ג לַֽיהֹוָ֑ה לְדֹרֹ֣תֵיכֶ֔ם חֻקַּ֥ת עוֹלָ֖ם תְּחׇגֻּֽהוּ׃ Vehaia haiom haze lachem lezicaron vechaggotem otò chag l’HaShem ledorotechem chukkat ‘olam techaguhu. Questo giorno sarà da voi commemorato e lo celebrerete quale festa in onore del Signore per le vostre generazioni, lo celebrerete come una istituzione per sempre.
Rashi: “ledorotechem”: potrei concludere sulla base di questa sola frase che la festa debba essere celebrata solo per il numero minimo del plurale della parola “generazioni”, due. Per insegnarci diversamente il verso dice: “lo celebrerete come uno statuto eterno”.
Mi chiedo: come si fa a prendersi impegni del genere?
“Per l’eternità” è un impegno preso anche per conto terzi.
Implica il perdurare indefinito di una prossimità assolutamente eccezionale.
Che livello di chuzpà ci vuole per sentirsela di accettare?
…e poi, rifletto tra me e me, magari anche di riuscire a farlo!
Pensiamo soltanto al kiddush del venerdì sera, una delle cose più care, più normali, e più vicine a noi, recitiamo:
זֵכֶר לִיצִיאַת מִצְרָיִם
zecher liziat Mizraim
ricordo dell’uscita dall’Egitto
La yeziat Mizraim e Pesach sono effettivamente radicate nel nostro modo di vivere.
Partendo da questo spunto volevo proporvi alcune mie riflessioni a proposito di questo fatto, su come siamo riusciti finora a rispettare impegni presi per nostro contro da qualcun altro più di tremila anni fa.
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Recentemente vi ho raccontato di come non abbiamo bisogno di miracoli, come D-o si manifesti a noi, silenziosamente, nascostamente, nella quotidianità.
Questa è una cosa vera e tangibile. II fatto è che la così detta “normalità” non ha un bel nulla di normale. E’ invece una eccezionalità continuamente prolungata, che si rinnova istante per istante.
Dietro a questo non riesco a non vedere una volontà a sostegno.
Questo è il manifestarsi del D-o del:
מַעֲשֵׂה בְרֵאשִׁית
Ma’asè vereshit
L’opera della creazione
Anch’essa ricordata nel kiddush.
Questo è il volto del D-o della creazione, il D-o dei filosofi. IL D-o che crea e fa cose meravigliose. Ma è però anche un volto impersonale. Non è quello coinvolto nella storia, personale o collettiva, degli uomini e di Israele.
Non è il volto del D-o che libera, fornisce valori, detta priorità, comanda, interviene sotto il profilo collettivo e sotto quello privato,
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
per dirla con le parole di Alessandro Manzoni.
Mi chiedo: se il primo aspetto di D-o, quello del Ma’asè vereshit, è per me riconducibile alla razionalità, non sarà mica invece che il volto di D-o della yeziat Mizraim non sia invece una questione tutta irrazionale, che richiede un salto di fede, uno slancio mistico, più emozioni e credenze che non pensieri?
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Prima riflessione
Siamo in un laboratorio di un qualunque istituto di etologia.
In primissimo piano un tentacolo di un polpo che, con quella tipica loro incredibile grazia, tasta un barattolo chiuso con tappo a vite, che contiene un succulento granchio.
Il tappo ha due piccoli buchi, in modo tale da consentire al polpo di introdurvi i suoi tentacoli tramite i quali può sia annusare che assaporare il gusto di ciò che il barattolo contiene. Constatato che il contenuto è assai appetitoso, il polpo avvolge il barattolo con il suo corpo. Si vede che fa piccoli movimenti. Sta provando e pensando come fare a prendersi il cibo che vi è contenuto. Un bel problema! Un problema nuovo e complessissimo per lui. Dopo pochi secondi, in modo assolutamente sorprendente, il polpo svita il tappo e si gusta il meritatissimo premio!
Questa scoperta del polpo ha sorpreso gli stessi ricercatori che la hanno osservata.
E’ una cosa veramente geniale.
E’ paragonabile a quelle intuizioni che hanno cambiato la storia dell’umanità: la ruota, la lege di gravitazione universale, ecc.
E’ evidente che il polpo, che ricordo essere un mollusco, che oltretutto vive all’incirca un anno, è enormemente più intelligente di ciascuno di noi.
Però: si può dire che l’apertura del tappo sia un piccolo passo per un polpo, ma un grande passo per la società dei polpi?
No! Purtroppo per loro ogni individuo dovrà sempre ricominciare da zero e ripercorrere le scoperte fatte già da altri, leolam.
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Seconda riflessione
- Un uomo parla con il cellulare (grazie a David per questo esempio!),
- Un altro uomo prende l’ascensore,
- Un altro prende un’aspirina,
- Infine un uomo, coraggiosamente, si siede!
Ecco una piccola lista di spericolati che compiono gesti straordinari!
Straordinari? Ma cosa dici?
Si, si, lo sono:
- La sedia poteva essere di cartone? Si, ma non lo pensiamo, neanche per poi scartare il pensiero.
- L’ascensore precipiterà? Potrebbe, ma non lo ipotizziamo.
- L’aspirina in realtà un veleno? Perché no?
- Come diavolo funziona il telefonino? Boh!
Il fatto è che sono cose che facciamo senza capire il funzionamento a fondo e senza doverci sforzare a fare tutte le ipotesi più strane:
Ogni giorno affidiamo – mille volte – la nostra vita, a oggetti, strumenti, sostanze, procedure che non abbiamo ideato né costruito noi e che non conosciamo.
Ci fidiamo!
A cosa si assomiglia questo?
In psicologia: al principio di parsimonia,
In filosofia: al rasoio di Occam,
In sociologia: bè, proprio alla fiducia!;
E in ambito ebraico? Assomiglia al concetto di emunà che, come ha magistralmente illustrato Buber, è un movimento di “affidarsi a”.
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Terza riflessione
- Quale è la prima priorità per un ebreo?
- La fede – diranno subito i miei piccoli lettori
- No, ragazzi, avete sbagliato. La prima priorità è l’insegnamento e la continuità della trasmissione.
וְשִׁנַּנְתָּם לְבָנֶיךָ
Veshinnantam levanecha
le ripeterai ai tuoi figli
Ingiunge lo Shemà, immediatamente dopo l’amore per Ha Kadosh Baruch Hu.
Il Pirkè Avot inizia con le parole:
Moshè ricevette la Torà sul Sinai e la trasmise a Yehoshu’a; Yehoshu’a la trasmise agli Anziani e gli Anziani a Profeti; e i Profeti la trasmisero ai membri della Grande Assemblea.
Rambam, come prima cosa nella sua introduzione al suo Pirush Hamishnayot , il Commento alla Mishnà, descrive minuziosamente la procedura di trasmissione della Torà da Mosè alla Nazione.
A ciascuno incombe il dovere di trasmettere in modo continuo il nostro ebraismo alla prossima generazione.
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Conclusione
Riassumendo: lo specifico dell’uomo non è l’intelligenza. Persino i molluschi sono più intelligenti di noi.
La nostra caratteristica peculiare è di vivere in un ecosistema culturale.
Questo esiste grazie alla trasmissione delle conoscenze, da uomo a uomo, di generazione in generazione.
Questo è il modo normale di vivere degli uomini.
In ogni istante, normalmente, normalissimamente, ci affidiamo gli uni agli altri e compiamo il nostro piccolo tratto di strada individuale, che viene messo a beneficio di tutti.
L’Ebraismo enfatizza al massimo questo meccanismo.
Ne è intriso.
Il fatto di raccontare e trasmettere è la prima priorità che abbiamo.
Noi ebrei, come tutti, ma ancor più degli altri, ci affidiamo gli uni agli altri, ci fidiamo dei nostri avi, ci fidiamo che quello che riceviamo sia vero. Lo sappiamo per certo.
Non ci sono salti di fede, slanci mistici necessari per recitare Lechà Dodì o l’Amidà.
Ma, allora:
- Quale è la prima priorità per un ebreo?
- La fede – diranno subito i miei piccoli lettori
- Si, ragazzi, avete ragione. La prima priorità è l’emunà, la fede, il fatto di affidarsi, gli uni agli altri – e, naturalmente, a D-io. Perché questo è il modo di vivere non solo nostro, ma di tutti gli uomini.
E questa può esistere solo grazie ad una rigorosa, meticolosa catena di trasmissione, di generazione in generazione, le dor va dor.
E questa è la normalità propria del volto di D-o che agisce, collettivamente ed individualmente, nella storia. Di D-o che libera, di D-o che schiaccia i tiranni. Di D-o che sappiamo essersi manifestato a noi.
Non servono slanci mistici, non è necessario avvicinarsi solo emotivamente, ma non razionalmente.
E’ sufficiente vivere.
Vivere: fare cose inaudite, che nessun polpo può fare, come telefonare, mangiare un panino col pastrami, … perfino sedersi!
Vivere: avere fiducia nei nostri genitori e maestri, perché è grazie a loro che sappiamo come stanno le cose. E’ grazie a loro che esiste la possibilità di avere emunà. E’ grazie a loro che funzioniamo.
Per essere vicini al volto di D-o che agisce nella storia è sufficiente, normalmente, semplicemente, cantare il kiddush, insieme ai propri cari, ogni venerdì sera.