La parashà che leggeremo questo shabbat è piena di concetti fondamentali, riguardo la trazione e le regole dell’ebraismo.
In essa troviamo i due pilastri dell’ebraismo: gli Aseret ha dibberot – i Dieci Comandamenti e lo Shemà che è considerato la professione di fede nel monoteismo.
All’inizio di essa però, troviamo l’ennesima preghiera che Mosè rivolge a D-o, supplicandolo di farlo entrare nella terra di Israele.
È una preghiera strugente, poichè Mosè riassume tutta la sua vita, sin dalla chiamata dal roveto ardente, ripercorrendo le tappe e i momenti salienti, della sua vita e di quella del popolo.
È una preghiera che non viene però ascoltata; Mosè non deve entrare in erez Israel.
Ciò che il Signore decreta, può anche essere irrevocabile, così come fu per la generazione uscita dall’Egitto, i quali manifestarono la non fiducia nel Signore, a causa di ciò che raccontarono dieci dei dodici esploratori, tornati dall’aver esplorato il paese.
A proposito di costoro, i maestri del talmud commentano dicendo che, durante i quaranta anni di permanenza nel deserto, di tanto in tanto un gruppo di essi scavava la propria fossa, vi scendevano dentro e durante la notte morivano.
Alla vigilia dell’ingresso in Israele, il gruppo di turno scavò la loro fossa e scesero dentro, ma l’indomani, trovandosi ancora in vita capirono che la ghezerà – il decreto divino – si era concluso.
Quel giorno iniziò per il popolo ebraico una nuova era: l’era del vivere finalmente liberi sulla propria terra: la terra di Israele.
Quel giorno era tu be av, il 15 del mese di av.
Come il 9 di av di quaranta anni prima fu decretato da D-o che la generazione uscita dall’Egitto fino a chi in quel momento aveva venti anni, non sarebbe entrata in Israele e sarebbero morti nel deserto, il 15 dello stesso mese di quaranta anni dopo, il decreto divino si concluse e il popolo capì che di lì a poco sarebbero entrati finalmente, nella terra promessa ai patriarchi.
Oggi è il 15 di av e questa data, un giorno conciderà con la fine di tutte le sofferenze del nostro popolo, possa questo avvenire presto e vedere finalmente, tutti noi gioire sicuri sulla terra che il Signore promise, oltre quattromila anni fa ad Abramo, di dare in retaggio alla sua discendenza.
Shabbat shalom