Nella Haggadà di Pesach (1962) a cura di r. Roberto Bonfil leggiamo: “Queste sono le dieci piaghe che il Santo, Benedetto Egli sia, mandò agli egiziani in Egitto, cioè: sangue, rane, pidocchi, animali feroci, mortalità degli animali, ulceri, grandine, cavallette, oscurità, morte dei primogeniti. Rabbi Jehudà dava per esse come segno le parole: deşach, ‘adash, beachav”. R. Bonfil commenta che le tre parole sono formate dalle iniziali delle parole ebraiche che indicano le dieci piaghe. E aggiunge: “S’è tentato, finora inutilmente di dare un significato ai simboli di Rabbi Jehudà”.
Una delle spiegazioni sul significato di queste iniziali è quella di R. Yitzchak Abarbanel (Lisbona, 1437-1508, Venezia). Nel suo commento alla Torà egli scrive che le parole “con questo saprai che Io sono il Signore” vennero dette al faraone tre volte, all’inizio di ogni gruppo di piaghe, secondo la suddivisione di rabbi Yehudà.
R. Abarbanel spiega che Moshè e il faraone dissentivano su tre principi fondamentali. Ognuno di questi principi viene confermato da uno dei tre gruppi di piaghe.
Il primo principio era che Moshè sosteneva la necessità dell’esistenza di Dio; il faraone riteneva che il dio del mondo fosse la natura e che le cause celestiali governavano la natura terrestre. Per questo, quando Moshè disse: “Così ha detto il Signore” il faraone rispose: “Non conosco il Signore”, come dire: “Non riconosco la sua esistenza”.
Il secondo principio era che Moshè disse che il Signore vede tutte le azioni degli uomini per dare loro ricompensa e punizione; il faraone negava questo principio dicendo: “Chi è il Signore”?
Il terzo principio sul quale Moshè e il faraone dissentivano era che Moshè affermò che il Signore poteva cambiare la natura delle cose a Sua volontà, mentre il faraone dissentiva dicendo: “Chi è il Signore la cui parola io dovrei obbedire”.
R. Shlomò Efraim Luntschitz (Polonia, 1550-1619, Praga) nella su opera Kelì Yakàr, aggiunge alcuni chiarimenti al commento di Abarbanel.
Le prime tre piaghe, sangue, rane e pidocchi, vennero per convincere il faraone della verità dell’esistenza di Dio. Gli egiziani credevano che il Nilo fosse un dio. Per questo fu contaminato dal sangue. Le rane santificarono il nome di Dio lanciandosi persino nei forni per obbedire al Suo ordine. Infine, quando venne la terza piaga dei pidocchi, i maghi del faraone dissero che questa piaga era una prova della mano di Dio.
Il secondo gruppo di piaghe (animali feroci, mortalità degli animali, ulceri) venne ad affermare il principio che il Signore vede le azioni degli uomini. Pertanto li può ricompensare o punire. Per questo è scritto: “In quel giorno farò distinzione fra la terra di Goshen, in cui risiede il Mio popolo, nella quale non vi sarà castigo, affinché tu sappia che io solo sono il Signore sulla terra (ibid., 8:18).
R. Yitzchak Abarbanel spiega che il terzo gruppo di piaghe (grandine, cavallette, oscurità, morte dei primogeniti) venne ad affermare il principio che il Signore può cambiare l’ordine della natura, facendo miracoli. Pertanto Moshè disse: “In modo che tu sappia che non vi è nessuno altro come Me sulla terra” (ibid., 9:14).
Su questo terzo gruppo di piaghe R. Luntschitz offre una spiegazione diversa. Gli egiziani credevano nel dio sole e adoravano la costellazione dell’ariete. E le tre piaghe della grandine, delle cavallette e dell’oscurità bloccarono la luce del sole e la visibilità delle stelle. E così pure la piaga della morte dei primogeniti avvenne di notte. Queste sono alcune delle tante spiegazioni delle iniziali delle dieci piaghe d’Egitto. R. Bonfil scrive: “V’è chi vede nelle tre parole un semplice mezzo mnemonico per non confondere l’ordine con il quale sono presentate le piaghe dalla Torà con quello del libro dei Salmi”. Poi però aggiunge: “Sembra però fuori dubbio che le tre parole simboliche debbano avere un significato, rimasto finora oscuro, che non sia di puro carattere mnemonico; altrimenti il passo perderebbe molto del suo valore e non si comprenderebbe perché l’Autore della Haggadà l’abbia incluso qui (Goldschmidt, Hagg. p.43)”.