Nella parashà la Torà ci mostra la grandezza di Avraham ,il quale dopo aver conosciuto l’intenzione divina di distruggere le città di Sodoma e Gomorra, inizia una lunga trattativa con il Signore per salvare le due città, o almeno una buona parte dei suoi abitanti.
Egli inizia con il far notare a D-o che se in essa vi fossero stati cinquanta giusti, si sarebbe potuto salvare le due città in grazia di quei giusti.
D-o accetta la richiesta di Abramo, ma Abramo, di volta in volta diminuisce il numero delle persone giuste. Si ferma a dieci, e D-o gli risponde dicendo che anche se soltanto dieci giusti vivono nelle due città, Egli le risparmierà in grazia dei dieci.
Purtroppo non se ne trova nemmeno uno e le due città vengono distrutte.
I maestri si chiedono il motivo del perché Abramo si ferma a dieci e non scende oltre.
Una delle spiegazioni è che quando Noè costruì l’arca, si salvarono dal diluvio otto persone: Noè con sua moglie e i suoi tre figli con le loro mogli; quindi il pensiero di Abramo era quello di mostrare il suo rigore nel cercare due persone in più rispetto al diluvio.
Un’altra interpretazione è quella che vuole mostrare che il numero dieci è il numero minimo per dare pubblicità ad una cosa: una manifestazione diviene di pubblico dominio se è presente un quorum.
Nella tradizione ebraica, una qualsiasi manifestazione pubblica nell’ambito della vita sociale, deve avvenire alla presenza di un quorum: quello che noi ebrei chiamiamo “minian-numero”.
Un matrimonio, un divorzio, un atto giuridico,una tefillà deve avvenire con la presenza di almeno dieci uomini adulti – ossia che abbiano compiuto i tredici anni di vita.
Nel trattato talmudico di Berakhot (Berakhot 6), troviamo detto dai nostri maestri:
“Quando ci sono dieci uomini che sono riuniti nella tefillà, la presenza divina è in mezzo a loro” secondo ciò che è scritto: “D-o sta nella congregazione divina (El-Israel)”.
La tefillà, con la presenza del minian, assume un valore particolarmente sacro.
Viceversa, in mancanza di esso, non solo la preghiera ha minor valore ma determina l’omissione delle sue parti più importanti.
La presenza del minian permette la recitazione del kaddish e della kedushà che sono la santificazione divina e quindi le parti fondamentali della tefillà stessa. Inoltre si omette la ripetizione della amidà che è definita dai maestri della Mishnà, la parte essenziale e, insieme ad essa viene anche omessa la birkat cohanim – la benedizione sacerdotale che è parte integrante della amidà.
Inoltre senza il minian non è permesso estrarre e leggere pubblicamente la Torà, momento particolarmente sacro per noi ebrei, tanto che la halakhà ci impone di leggerla tre volte alla settimana (lunedì, giovedì e shabbat; non recitare lo Shemà nella versione integrale (A’ Elokhekhem emet) e le benedizioni della haftarà (brano profetico in relazione alla parashà).
Tutto questo avviene anche se manca una sola persona al quorum di dieci e fa sì che, con la sua mancanza la tefillà rimanga menomata, perdendo quindi ogni suo scopo.
Una delle cose fondamentali della tefillà è il kaddish che viene recitato in memoria di una persona defunta; è per questo che nella tradizione ebraica quando ricorre l’anniversario di un nostro caro, in tempio si recita la hashkavà (una preghiera particolare di suffragio in memoria del morto) e i figli, o i parenti più prossimi recitano il kaddish che è la santificazione divina e l’atto massimo di rassegnazione alla Sua volontà, soprattutto nei momenti in cui ci viene a mancare un nostro caro.
Sostengono i rabbanim che la recitazione del kaddish, da parte di un figlio o un consanguineo, per un genitore o un parente prossimo, contribuisce ad intercedere presso D-o, per liberare l’anima del defunto dalle pene inflitte nell’Olam ha ba e fa si che essa, salga sempre di più verso l’alto, verso la pace ed il riposo eterno.
E’ per questo motivo che noi, ogni volta che ricorre l’anniversario di un nostro caro, abbiamo il dovere di organizzare un minian e recitare in suo onore il kaddish.
Nella tradizione rabbinica è detto che la responsabilità di ogni ebreo, riguarda tutto il popolo: “Israel arevim ze ba ze – ogni ebreo è garante dell’altro”.
Per cui ognuno di noi ebrei è “il minian”; ossia, ha la responsabilità della presenza del minian e della completezza della tefillà.
Abramo, nel caso di Sodoma e Gomorra si sentiva responsabile e parte in causa della loro sorte: salvezza o distruzione ed ha contrattato con D-o, con tutte le sue possibilità per far salvare le due città. Essi però risultarono dei malvagi, mentre un ebreo non può essere considerato tale: “ve ammekh kullam zaddikim – mentre il tuo popolo è costituito da soli giusti” (Mishnà trattato di Sanhedrin).
Perciò, noi ebrei abbiamo, soprattutto fra di noi, il dovere di fare il massimo per il bene nostro e quello dei nostri fratelli; un dovere fisico e morale che nessuno può cambiare.
Shabbat shalom