Si celebrano gli ebrei morti e si discriminano quelli vivi. I casi Deutsche Bank, Danske, Nordea e Pggm Banche e fondi pensione, ecco come l’Europa sta isolando Israele
Giulio Meotti
Roma. Una settimana fa il ministro israeliano dell’Economia, Naftali Bennett, aveva abbandonato l’Aula della Knesset dopo l’attacco portato allo stato ebraico dal presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. Un compagno di partito di Bennett, il ministro Uri Orbach, ha detto di trovare insopportabile “sentire menzogne alla Knesset, e per giunta in lingua tedesca”.
Si alza rapidamente la posta in gioco del boicottaggio economico a Israele, dopo che Deutsche Bank, la più grande banca tedesca, ha incluso la Poalim Bank israeliana in una lista di compagnie riguardo le quali gli investimenti sollevano “questioni etiche”. Deutsche Bank non è un caso isolato. Numerose banche d’affari europee e istituti finanziari stanno voltando le spalle agli israeliani, lanciando una moratoria dei loro istituti di credito. Anche la più grande banca danese, la Danske Bank, ha posto la Hapoalim nella sua black list. Poi è arrivata la banca svedese Nordea, che ha messo sotto scrutinio le israeliane Leumi e Mizrahi-Tehafot per la loro presenza nei Territori.
Il più grande fondo pensione olandese, Pggm, ha ritirato gli investimenti da cinque istituti finanziari dello stato ebraico. Pggm ha venduto titoli di Bank Hapoalim, Bank Leumi, Bank Mizrahi-Tefahot, First International Bank of Israel e Israel Discount Bank perché hanno filiali in Cisgiordania (Giudea e Samaria per Israele) e perché coinvolte nel finanziamento della costruzione degli insediamenti. Pggm ha 150 miliardi di euro in portafoglio. Dall’Inghilterra l’agenzia UK Trade and Investment ha “scoraggiato” le compagnie inglesi dal fare affari con aziende israeliane coinvolte in insediamenti.
Era il 1991 quando una controllata della Thames Water Plc., la società britannica che fornisce servizi idrici e fognari per la maggior parte di Londra, rifiutò di avere rapporti commerciali con Israele, per non perdere i “numerosi e preziosi clienti arabi”. Fu il primo colpo della guerra economica a Israele. Anche Abp, il terzo fondo pensione più importante al mondo, medita di ritirarsi dal mercato israeliano. Il Financial Times parla poi dell” esodo dei fondi pensione norvegesi da Israele”. Il Government Pension Fund Global, che vale ottanta miliardi di dollari, ha ritirato gli investimenti da due importanti compagnie ebraiche: Africa Israel Investments e Danya Cebus. Nelle scorse settimane la Vitens, azienda olandese leader dell’erogazione dell’acqua, ha tagliato con l’omologa israeliana Mekorot. “E’ strano che questa compagnia olandese boicotti Israele per un progetto della Banca mondiale e che include giordani e palestinesi”, ha detto Yigal Palmor dal ministero degli Esteri di Gerusalemme.
Ventidue ong, tra cui Christian Aid, Ireland’s Trócaire, la Chiesa metodista in Gran Bretagna, la Chiesa di Svezia, Terre Solidaire de France e l’Internazionale Medica tedesca, hanno invitato l’Unione europea a vietare i “prodotti realizzati dai coloni israeliani nei territori occupati”. In Norvegia, due fra i principali importatori di verdure, Bama e Coop, hanno sottoscritto un accordo con i propri fornitori in Israele in cui precisano che non riforniranno più frutta e verdura prodotte negli insediamenti. La Unilever, che produce prodotti casalinghi come lo shampoo Sunsilk e la vaselina, ha venduto la sua quota del 51 per cento nelle fabbriche degli insediamenti. Commentando le notizie delle banche europee, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto: “La cosa più riprovevole è di vedere persone sul suolo dell’Europa parlare del boicottaggio di ebrei. In passato gli antisemiti boicottavano esercizi di proprietà ebraica, adesso invocano il boicottaggio dello stato ebraico, e del solo stato ebraico”.
www.ilfoglio.it/zakor