Con un suo articolo pubblicato sul quotidiano Il Messaggero, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni offre una chiave di soluzione attraverso l’interpretazione del racconto della storia di Giuseppe
Siano in piena stagnazione, in un momento di ristrettezze che si preannuncia lungo. Siamo, in sostanza, in un periodo di ‘vacche magre’, un’espressione che nasce con il racconto biblico, di un giovane ragazzo ebreo (Giuseppe) che, interpretando i sogni dei collaboratori del Faraone, preannuncia un lungo periodo di sette anni di prosperità, cui seguirà una terribile siccità altrettanto lunga. Una storia, ha scritto il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni sul quotidiano Il Messaggero, i cui “spunti di attualità sono affascinanti, o micidiali, secondo i punti di vista”.
“Le crisi – scrive il rav – avvengono, ogni tanto. Illudersi di stare in perenne benessere è una follia. Significa dimenticare tutta la storia dell’umanità. Le crisi vanno previste. I rabbini spiegano che quando dall’Alto c’è un messaggio importante per un paese, è il suo governante che riceve un sogno. Succede però che non ci si fida di chi governa, tantomeno quando sogna, o che qualche volta non ci racconta sogni, ma incubi. In ogni caso, con tutti i mezzi a disposizione oggi, bisognerebbe fare molta attenzione a prevedere gli scenari possibili, prima che sia troppo tardi, se non è già tardi. Le crisi vanno gestite da persone competenti”.
“Gli interventi – spiega più avanti – devono essere radicali. Quando il problema diventa eccezionale, devono essere eccezionali anche le soluzioni. Non si può riproporre una vecchia ricetta e basta, bisogna cambiare il sistema. Deve intervenire lo Stato. Cambiamenti radicali non li può fare il libero mercato, c’è bisogno di chi governa, che sia lo Stato singolo o l’insieme di Stati”.
Prendendo sempre spunto dalla storia di Giuseppe, che arriva alla responsabilità di vice-faraone e che per affrontare la carestia attua una riforma radicale della società egiziana con trasferimento di intere popolazioni preoccupandosi però di conservare i rapporti familiari e sociali, rav Di Segni ne trae un importante insegnamento: quello “di conservare i rapporti familiari e sociali, che sono la prima garanzia di controllo e stabilità sociale, anche in tempi di gravi turbamenti economici”.
“La popolazione trasferita, cui viene affidata una nuova terra, non più in proprietà ma in una sorta di affitto – spiega rav Di Segni – viene assoggettata a una tassa sul prodotto, pari ad un quinto (Gen. 47:24). Forse a quell’ epoca sarà sembrata un’esagerazione, ma oggi che ognuno paga in un modo o nell’altro più o meno il 60% del suo reddito, il prelievo del solo 20% sembra un sogno”.
In un momento di crisi, tutti sono quindi chiamati a fare sacrifici, e non dovrebbero esserci caste o fasce sociali privilegiate; una aspirazione che diventa una utopia, quando nemmeno Giuseppe – come racconta la Bibbia – “riesce a confiscare la terra dei Sacerdoti (Gen. 47:22), vero potere alternativo nell’antico Egitto”.
Che succede poi quando finalmente si riesce ad uscire dalla crisi, quando l’emergenza ha termine? “Morto Giuseppe, il nuovo faraone – ricorda il rabbino capo – con sfacciata ingratitudine, si dimentica del benefattore (Esodo 1), assoggetta la famiglia allargata di Giuseppe in schiavitù, e dopo molti anni di sofferenze ci vorrà l’intervento divino per farla finire”.
Insomma è l’amara conclusione di rav Di Segni: “Chi si assume l’onere e il merito di salvare un paese dalla crisi, non speri di essere ringraziato”. Monti è avvertito.
http://www.romaebraica.it/esiste-una-ricetta-biblica-per-affrontare-la-crisi-economica