La Menorà è il primo e più antico simbolo dell’ebraismo. Le sue origini sono rintracciabili nella Bibbia, in cui è scritto che Dio ordinò a Mosè la sua costruzione, dandone una dettagliata descrizione delle fattezze. Il Patriarca, come sempre fedele esecutore degli ordini del Signore per questa costante rispondenza, già, artefice della liberazione del suo popolo dalla dura schiavitù del faraone, ebbe ad incaricare della realizzazione un valente artista, tale Bezalet di Tiro, che eseguì accuratamente e con molta abilità la lampada, in un unico blocco d’oro (Esodo,37:17-24). L’Eterno dispose, ancora, che gli Israeliti contribuissero, perennemente, rifornendola dell’olio puro necessario affinché la lampada potesse restare sempre accesa, notte e giorno, all’interno del Tempio di Gerusalemme ( Levitico, 24:1-4).
Secondo alcuni la Menorà simboleggia il rovo ardente in cui si manifestò, a Mosè, la presenza di Dio, sul monte Horeb, secondo altri rappresenta i giorni della creazione o ancora i sette cieli inondati dalla luce di Dio. La cifra sette ha comunque un’importanza particolare, perché esprime in forma simbolica la perfezione.
La sorte della menorà è, da sempre, avvolta dal mistero. Ad avviso di molti sarebbe stata custodita nel Tempio di Salamone e sarebbe andata perduta nel 586 a. C.. in conseguenza dell’assedio di Gerusalemme, portato da Nabuccodonosor. Sembrerebbe che, poi, sia stata ricostruita, questa volta dai Maccabei nel II sec. a.C. allorché riconquistarono il Tempio, dopo la sua profanazione.
Ancora una volta il destino della lampada è legato alla sorte del Tempio, la cui ricostruzione era iniziata, intorno al 19 a. C., da Erode il Grande.
La menorà sarebbe rimasta nel Tempio fino al 70 d. C., quando a seguito della definitiva conquista di Gerusalemme da parte degli imperatori Vespasiano e Tito, venne distrutta la città, e con essa il suo Tempio ed i tesori divennero bottino di guerra, ed il prezioso candelabro venne portato a Roma, dove fu custodito nel Tempio della Pace, fatto, appositamente, costruire dallo stesso Vespasiano. Ancora oggi la sua immagine può essere ammirata a Roma, nel bassorilievo dell’arco di Tito, eretto nell’81 d.C. per commemorare la vittoria su Gerusalemme, dove si intravede distintamente tra prigionieri ebrei, che sfilano in catene per la celebrazione del trionfo dell’imperatore vincitore delle guerre giudaiche.
La presenza della menorà a Roma, negli anni che seguirono è confermata da fonti rabiniche del secondo secolo, ma in occasione del sacco di Roma, avvenuto nel 455, tornò ad essere oggetto di razzia da parte dei Vandali di Genserico. Dopo quest’ultimo saccheggio, la menorà entra ancor più e definitivamente, nella legenda e le sue apparizioni in Roma ed altrove sono solo frutto della fantasia popolare, di cui sono ricche le fonti medievali. Spesso anche il ritrovamento di qualche semplice moneta nel Tevere riaccendeva la fantasia degli ebrei romani e si tornava a parlare con frequenza di improbabili ritrovamenti ed apparizioni dell’antico candelabro. La menorà risulta costantemente riprodotta, nei secoli, nelle lapidi, nelle medaglie e nelle iscrizioni acquisendo una forte valenza simbolica e rappresentativa del popolo ebraico.
Anche a Catania, il Castello Ursino, possente maniero fatto edificare da Federico II di Svevia, tra il 1239 e il 1250, offre alla vista, nella sua facciata, il simbolo di due menorà accanto ad una croce greca, quale segno della presenza di maestranze di origine ebraica, per lo più reclutate nei quartieri vicini, che lo hanno edificato, lavorando , fianco a fianco, con altri operai cristiani di culto orientale, sotto la direzione dell’architetto militare Riccardo da Lentini. Simboli che sono ancor oggi ben visibili sul torrione di nord-ovest, detto comunemente torre della bandiera.
Nel 1948, a seguito della proclamazione dello Stato di Israele fu bandito un concorso per la realizzazione dell’emblema della nuova nazione, che avrebbe necessariamente dovuto ricomprendere la menorà. L’iniziativa ebbe una grandissima partecipazione popolare. Tra i tanti disegni pervenuti fu scelto quello dei fratelli Gabriel e Maxim Shamir, in cui la menorà è fiancheggiata da due ramoscelli d’ulivo, mentre alla base appare la scritta Israele. I ramoscelli d’ulivo erano il chiaro simbolo della pace a cui il nuovo stato aspirava.
L’anno dopo, ed esattamente l’ 11 febbraio del 1949, la decisione venne resa ufficiale e da quel momento il nuovo Stato ha avuto il suo emblema.
Nel 2017 il Ministero degli esteri israeliano ha messo, permanentemente, in mostra presso la sede dell’Unesco di Parigi, una replica del bassorilievo dell’arco di Tito, in cui è raffigurata la menorà tra gli ebrei trascinati a forza nel trionfo imperiale, per contrastare le false narrazioni che negano i collegamenti storici tra gli ebrei, Gerusalemme e la Terra di Israele.