Il rabbino capo di Roma nella sua introduzione al nuovo siddùr di Morashà sottolinea l’importanza della lingua ebraica
Riccardo Shmuel Di Segni
Sfogliando alcuni libri popolari, come le haggadòt stampate nei secoli scorsi in Italia, si rimane stupiti da una strana cosa: accanto al testo originale c’è la traduzione, in italiano o ladino, ma i caratteri in cui è scritta sono ebraici. A quei tempi c’erano persone che avevano difficoltà a capire l’ebraico dei rabbini, la lingua che parlavano era quella locale, ma l’alfabeto che più conoscevano era quello ebraico; o perlomeno si considerava come una sorta di desacralizzazione l’uso di un altro alfabeto in un libro sacro.
Dai tempi dell’emancipazione c’è stato un altro passo indietro, la progressiva perdita di conoscenza e familiarità con l’alfabeto ebraico. Si è così arrivati nello scorso secolo alla pubblicazione di libri di preghiera interamente traslitterati in caratteri latini. Lo scopo era quello di consentire di seguire la preghiera in lingua originale a un pubblico sempre più vasto che però, malgrado l’allontanamento, riconosceva una sacralità alle parole originarie che pure non riusciva a capire.
Il valore di queste pubblicazioni è pertanto ambiguo e contraddittorio: da una parte c’è lo sforzo positivo di mantenere un legame con la tradizione, dall’altra c’è la denuncia di una grave situazione di distacco dalle fonti e dai processi educativi che dovrebbero essere l’anima della vita ebraica.Che dire dunque di una nuova pubblicazione di un siddùr traslitterato come questa?
I Maestri insegnano di «Non giudicare il prossimo prima di trovarsi al suo posto» (Avòt 2, 4); bisogna certamente comprendere le notevoli difficoltà di chi si avvicina a un alfabeto e a una lingua a lui straniera a una certa età ed è certo utile, in assenza o in supporto di un insegnante, disporre di testi con traslitterazione e traduzione sistematica. Se tutto questo è inteso come un momento formativo, una tappa di un percorso, è decisamente una buona cosa. Ma se deve essere lo stadio finale, o se si pensa che le nuove generazioni possano o debbano fare a meno di uno dei processi formativi essenziali, come l’alfabetizzazione ebraica, si commette un errore micidiale. Questo libro va quindi preso per il suo valore relativo e transitorio, con l’augurio che serva da stimolo e non sia considerato una tappa definitiva.
Siddùr di rito italiano con traslitterazione a fianco e traduzione italiana, 254 pp, Morashà 2011. € 28,00
In vendita dalla settimana prossima presso:
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