Rav Chaim Yosef David Azulai – Chidà
Michele Cogoi
Rav Chaim Yosef David Azulai, più comunemente noto con il suo acronimo Chidà, è una tra le figure più affascinanti e poliedriche della storia ebraica. È noto agli studiosi principalmente per la sua importantissima opera di Halachà, Birchè Yosef, che pubblicò in Italia dove visse per molti anni. Ma pochi sanno che grazie ad un’insaziabile curiosità intellettuale per ogni tipo di conoscenza sia storica che scientifica fu autore di un centinaio di opere, tutte di primissimo piano ed in diversi campi dell’ebraismo. Tra queste Shem Ha-Ghedolim, un’enciclopedia di tutte le opere ed autori nel campo della Torà, scritta a memoria durante la quarantena al suo arrivo a Livorno.
Nato a Yerushalaim nel 5484 / 1724, era discendente di un’illustre famiglia sefardita la quale abbandonò la Spagna ai tempi dell’espulsione, emigrò a Fez in Marocco, dove naque suo bisnonno, Ha-Rav Avraham Azulai, (anch’egli uno studioso della Torà di primissimo piano) per giungere poi a Chevron in Israele.
La sua profonda religiosità e vivace intelligenza furono evidenti già in gioventù. A diciassette anni completò Shaar Yosef, un importante commento al complesso trattato Talmudico di Horaiot. Sempre in gioventù studiò con i più importanti saggi dell’epoca. In particolare con Ha-Rav Shalom Sharabi (Rashash) il più importante cabalista degli ultimi secoli e con Ha-Rav Chaim Ibn Attar noto per il suo magistrale commento alla Torà con il cui nome è noto (Or Hachaim HaKadosh).
Non ancora trentenne era già uno dei principali studiosi di Torà al mondo. Nonostante fosse una persona brillante, di gran carisma ed erudizione, rimase estremamente modesto ed alla mano e per questo fu sempre accettato ed amato sia da ebrei che non ebrei.
Compì diversi viaggi in Europa, seguendo un’antica tradizione (praticata ancora al giorno d’oggi, ma ahimè non in Italia) secondo la quale i dotti di Israele esportavano Torà alle comunità della Diaspora e allo stesso tempo raccoglievano fondi per sostenere i poverissimi centri di studio della Torà in Eretz Israel: Yerushalaim, Chevron, Tiberiade e Zefat (Safed). Per questo compito venivano scelte solo personalità di primo piano, per meglio rappresentare Eretz Israel all’estero.
A soli ventinove anni, nell’inverno del 1753, partì dalla Terra d’Israele in qualità di shaliach (“inviato”), viaggiando dapprima in Egitto per raggiungere poi Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Belgio e Olanda.
Mentre in Italia e in Francia venne ricevuto con i più grandi onori, diversa fu l’accoglienza in Germania ed Inghilterra dove le sue credenziali furono messe in discussione e venne trattato senza alcun rispetto. Finchè non arrivò a Francoforte dove al gran studioso Ha-Rav Yaakov Yehoshua Falk, autore del celebre commento sulla Ghemarà, Penè Yehoshua, fu sufficiente una breve chiacchierata per riconoscere la sua grandezza.
Al suo ritorno a Yerushalaim nel 1757, fu nominato Dayan (“giudice”) ed accettato, nonostante la sua relativa giovane età (al di sotto dei 40 anni normalmente necessari) dall’associazione di Cabalisti di Yerushalaim, fondata e diretta da Rav Sharabi.
Intraprese un secondo viaggio all’estero nel 1764. Ma dopo breve tempo la sua missione venne interrotta. Giunto in Egitto venne nominato Rabbino Capo del Cairo e dell’Egitto.
Rientrato in Israele nel 1769 si trasferì a Chevron e decise di non assumere più alcuna posizione rabbinica nonostante le richeste da varie comunità in Israele e all’estero. Rifiutò anche l’invito a diventare il Rishon LeZion, il Rabbino Capo Sefardita d’Israele.
Il suo terzo viaggio incominciò nell’inverno del 1773. Mentre si trovava in Tunisia ricevette la notizia della morte della moglie Rachel. Arrivato in Italia si risposò e decise di rimanere a Livorno dove rimase per 25 anni grazie al supporto di generosi filantropi tra i quali Michael Pereira de Leon, dedicandosi allo studio e alla pubblicazione dei suoi libri. Per la sua gran modestia rifiutò ogni incarico, ma data la sua profonda conoscenza della Torà e dell’Halachà, la sua casa divenne luogo di riunione di maestri e discepoli che attingevano al suo sapere. Tutte le questioni comunitarie venivano sottoposte al suo giudizio e di fatto la città venne elevata a centro rabbinico tra i più importanti d’Europa.
Chidà raccolse le memorie dei viaggi in due bellissimi diari (Ma’agal Tov) che contengono dettagli estremamente affascinanti sulla sua personalità e le comunità visitate. Non manca il resoconto della cattura della sua nave da parte dei pirati, del furto dei fondi raccolti, della guerra tra Francia e Inghilterra e di quella tra Russia e Turchia, del suo coinvolgimento nella disputa tra due famosi rabbini tedeschi riguardo il falso Messia Shabetai Zvi, nonché l’incontro con Re Luigi XV di Francia.
Chidà visitò gran parte dell’Italia, dalle grandi città ai più piccoli villaggi. I suoi diari sono interessantissimi ed affascinanti resoconti che permettono a noi ebrei italiani di rivivere l’atmosfera delle comunità di oltre due secoli fa o di scoprire comunità che oggi non esistono più. Diverse famiglie potranno trovare nei Diari i dettagli degli incontri di Chidà con i propri antenati. Parlando con dei miei famigliari è addirittura capitato di scoprire antenati di cui si era persa la memoria. Esistono taduzioni in diverse lingue, non credo in italiano.
Riuscì a pubblicare sessanta opere di Halachà, Aggadà e Cabalà che ottennero unanime riconoscimento da parte dei più grandi studiosi e rabbini in ogni paese ed epoche successive. Compose anche numerose preghiere che sono state integrate nei siddurim usati oggigiorno e recitate nelle comunità ebraiche di Israele e all’estero. I suoi numerosi viaggi e la sua fama gli permisero di accedere e di portare alla luce rari manoscritti. Nella sola Parigi ne trovò ben 5000 fino ad allora sconosciuti, alcuni dei quali lui stesso fece stampare.
Non risucì a realizzare il sogno di far ritorno in Israele in vita. Lasciò questo mondo la sera di Shabat dell’11 Adar 5566 (1806) e fu sepolto a Livorno. Nel 1976 per il rischio che la sua tomba venisse profanata un suo discendente organizzò, con la cooperazione dei governi italiano e israeliano, il trasporto delle sue spoglie a Yerushalaim dove venne reinterrato. È registrato agli atti che il suo corpo, dopo quasi due secoli, venne trovato intatto, destino previsto dalla letteratura rabbinica per i corpi dei zaddikim (“giusti”).
Zechutò iagen alenu
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