Da una derashà di Rav Sacks
Perché H. ha voluto i sacrifici? E’ certo che non abbiano fatto parte della nostra vita dalla distruzione del secondo Tempio, per quasi duemila anni, ma il contesto sacrificale suscita una serie di interrogativi, che i Maestri nei secoli si sono posti, ai quali sono state date molto risposte. Una di queste è fornita da Yosef Albo (1380-1444) nel Sefer ha-iqqarim, Il libro dei principi. Albo prende le mosse non dai sacrifici, ma da due episodi nel libro di Bereshit. Anzitutto si chiede perché D. ha permesso agli esseri umani di mangiare animali dopo il diluvio? Perché se gli uomini e gli animali erano vegetariani, cambiare la situazione? In secondo luogo che cosa c’era di sbagliato nel sacrificio di Qain, che aveva portato dei frutti della terra? Il rifiuto dell’offerta portò al primo omicidio.
Albo ritene che uccidere degli animali per nutrirsi sia intrinsecamente sbagliato. Vuol dire prendersi una vita per soddisfare i propri bisogni. Qain lo sapeva. Pensava che vi fosse una forte affinità tra gli uomini e gli animali, e per questo offrì un sacrificio proveniente dal mondo vegetale. Per Albo il suo errore fu quello di aver portato della verdura, considerata meno pregiata, e non della frutta. Hevel invece riteneva che vi fosse una differenza qualitativa fra uomini e animali. Il Signore aveva conferito agli uomini il potere di dominare sugli animali, e il sacrificio animale era una manifestazione di questa superiorità riconosciuta. Qain, vedendo che l’offerta di Hevel era stata accettata, ragiona così: se i sacrifici di animali sono ammessi, e non c’è differenza sostanziale fra uomini e gli animali, così come pensava, l’offerta migliore è quella di un essere umano, e così arrivò ad uccidere il fratello. Ecco perché H. ha consentito di mangiare carne dopo il diluvio. Il mondo era pieno di violenza. La violenza fa parte della natura umana, e se doveva esserci un’umanità era necessario abbassare le richieste. Meglio uccidere gli animali, se è necessario, piuttosto che uccidere gli esseri umani. In questo modo i versi, molto difficili, successivi al ritorno di Noach sulla terraferma, risultano molto più comprensibili. Noach costruisce un altare ed offre dei sacrifici, accolti da H. Il Signore disse quindi che non avrebbe più maledetto la terra a causa dell’uomo, anche se la sua inclinazione è malvagia.
Allora il Signore consentì agli uomini di consumare carne e ribadì il divieto dell’omicidio. Gli uomini sono predisposti ad essere violenti. Se la società deve sopravvivere, gli uomini devono indirizzare la loro violenza verso qualcos’altro, sia per nutrirsi, sia per compiere dei sacrifici. Vi è una linea netta che separa l’umano dal non umano. H. non approva l’uccisione di animali, sia per nutrirsi che per fare sacrifici, ma proibirlo è utopico. E’ un discorso che avrà una sua valenza solo alla fine dei giorni. Per ora, è meglio che gli uomini uccidano degli animali che i loro simili. I sacrifici sono una concessione alla natura umana, e sostituiscono la violenza contro altri uomini. Sebbene non faccia direttamente riferimento alla tradizione ebraica, Renè Girard, l’autore de La violenza e il sacro, ha recuperato ampiamente queste idee. I sacrifici servono a sopprimere tutta la violenza interna alla comunità. Il sacrificio persegue lo scopo di ripristinare l’armonia della comunità e rafforzare il tessuto sociale. La peggiore forma di violenza fra le società è la vendetta, e i sacrifici sono un sistema per deviare l’energia distruttiva della vendetta. Secondo Girard la vendetta caratterizzava in modo pregnante le società primitive, ma le società più moderne sono riuscite a rompere il cerchio grazie al sistema giudiziario, che non sopprime la vendetta, ma la limita a un singolo atto di rappresaglia, messo in atto da un’autorità riconosciuta.
I sacrifici non sono un fine, ma parte del programma della Torah per contrastare la vendetta. L’altra parte del programma, quella principale, è che il mondo sia governato dalla giustizia. Il nostro mondo tuttavia non è riuscito ad attuare il sogno della fine della storia, proprio per via della sete di vendetta. Comunemente è considerata un moto dell’anima basso e indegno, ma costituisce il collante fra le generazioni. Vogliamo mostrare fedeltà ai nostri morti facendo nostra la loro causa. Non è un comportamento logico, ma l’impossibilità di una vendetta intergenerazionale ci costringe a comportarci così. L’unico modo per uscire da questa impasse è ideare degli ideali che uniscano le comunità una volta in guerra per piangere i loro morti insieme. I sacrifici ci insegnano dei principi molto importanti: che la violenza fa ancora parte della natura umana, ed è ancora più pericolosa quando è ispirata ad un’etica della vendetta; piuttosto che negarla, la violenza deve essere reindirizzata, per evitare ulteriori sacrifici umani. L’unica alternativa ai sacrifici è, secondo le parole del profeta Amos, che “il diritto scorra come le acque e la giustizia come un fiume possente”.