Matrimoni combinati, patriarcato imperante, regole bizzarre da seguire dalla mattina fino alla sera, e un unico grande Dio da adorare. Sì, tutto questo ci ha appassionato.
Elena Crioni
La prima cosa da fare se si vogliono seguire le tre stagioni di Shtisel è abbandonare il giudizio. Toglierci la maschera degli occidentali detentori di ogni verità entrare in punta di piedi nel quartiere di Goula a Gerusalemme, dove vivono gli Haredim, una comunità ebraica ultra ortodossa (anche se loro rifiutano di essere chiamati così, perché ritengono di essere loro gli unici veri ortodossi, tutti gli altri ebrei, compresi quelli che noi chiamiamo ultra ortodossi sono eretici.)
Senza giudizio e con l’occhio curioso dell’antropologo veniamo accolti nella casa del capofamiglia, il Rabbino Shulem Shtisel, (Dov Glickman), vedovo padre di quattro figli e nonno di molti nipoti. Padre nell’eccezione più ortodossa di questo termine, Shulem incarna letteralmente tutti i valori dell’essere Haredim. È l’ebreo furbo e prepotente descritto in mille racconti e barzellette, quello che alla fine trova un modo per gestire a modo suo tutte le cose, dai conti della yeshivah (scuola dove i bambini maschi studiano la Torah) ai sentimenti, alla vita dei figli. Shulem è Abramo, il padre di tutti per eccellenza, pronto a sacrificare tutto a Dio, anche il suo adorato figlio.
Akiva (Michael Aloni) è questo il figlio adorato, il sognatore con la passione e il talento per la pittura. Mestiere pericoloso per un Haredim perché la passione può portarti fuori dalla strada di Dio. Romantico, sensibile, questo Romeo con i payot con i suoi innamoramenti ci svela la parte più tenera del mondo Haredim. Tutti noi come Akiva ci siamo sentiti insofferenti in un mondo troppo stretto per le nostre aspirazioni, per i nostri sogni. Tutti noi abbiamo sofferto come lui per un amore impossibile, curato con una bella bevuta in compagnia dei soliti amici, un po’ folli e fuori dalle righe come noi.
Se Akiva è il tassello che non si incastra da nessuna parte nel mondo Haredim, Giti (Neta Riskin) sua sorella è il pezzo che alla fine sistema tutto il puzzle. Forte, determinata, pronta a tutto per salvare la sua famiglia. Figlia, sorella, madre e nella terza stagione la scopriremo anche amica. Granitica sopporta con temperanza, quasi come Giobbe, le sfide della vita. Tutta questa fermezza d’animo ha bisogno di un contraccolpo e Giti l’ha trovato nel marito, Lippe (Zohar Strauss), il vero ribelle della storia, il peccatore dal cuore d’oro che dopo aver girato per le strade di Sodoma e Gomorra, torna. Il Dio della Torah forse non l’avrebbe perdonato, Giti sì.
Le donne di Shitsel
Giti, sa perdonare. Ammette questa sua debolezza con un’amica lasciata dal marito che le confessa di non riuscire a dormire la notte e di ascoltare un programma laico dove le donne raccontano delle propria vita.
«Sono esattamente come noi, donne patetiche che perdonano tutto, inghiottendo rospo, dopo rospo. E alla fine si sentono anche in colpa se non hanno gradito.»
E ridono Giti e l’amica fino alle lacrime come faremmo noi, dopo una chiacchierata tra amiche.
Come ci sentiamo vicine a queste donne così diverse da noi, che in teoria dovrebbero solo fare figli, badare alla casa e certo lavorare perché i mariti non possono, devono studiare. Questa è la vera marcia in più che le fa uscire dal mondo e le rende indipendenti al punto di arrivare a comandare in casa.
«È difficile dirle di no perché in fondo i soldi a casa li porta lei»
Sussurrano gli uomini tra una preghiera e l’altra. E si ride di tutti gli abili trucchetti di Tovi (Eliana Shechter) per convincere il marito Zvi Aryel, (Sarel Piterman) il più grande dei figli di Shulem, a farle comprare una macchina o a tutti gli escamotage che Zvi architetta per sembrare l’uomo di casa.
L’ Amore
L’ingrediente fondamentale della serie. Il motore che accende ogni azione. Un amore biblico pieno di dolore e contrasti.
C’è l’amore immortale di Akiva e Libbi (Hadas Yaron), che parla di devozione e smarrimento come quello tra Giacobbe e Rachele (anche loro erano cugini). L’amore riservato e sacro di Ruchami (Shira Haas) e Hanina (Yoav Rotman) e anche quello tra fratelli, Shulem e Nukhem (Sasson Gabal), che si trasformano in Abele e Caino, per poi tornarsi a volersi bene.
E infine ci sono i morti.
Anche loro fanno parte della famiglia Shitsel dall’inizio fino alla fine. Appaiono nei sogni e nella vita reale, portano avanti le storie e condizionano gli eventi, come se fossero stati sempre lì, per generazioni a indicare la strada verso casa.
«Perché alla fine i morti non vanno da nessuna parte, sono stati sempre tutti qui.»
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