“La chiave di casa”, autofiction alla ricerca delle proprie radici. Nipote di nonni turchi ed ebrei, Tatiana Salem Levy, è nata in Portogallo ed è emigrata per scelta tra Brasile, Usa, Francia
Silvana Mazzocchi
Quanto contano le proprie radici in un mondo come quello attuale che non conosce confini e dove tutto si mischia e si confonde fino a farci spesso smarrire la memoria delle nostre origini? Tatiana Salem Levy, 32 anni, portoghese di nascita ma migrante per scelta tra Brasile, Stati Uniti e Francia, scava alla ricerca del suo passato e dei suoi nonni turchi ed ebrei in una terra mai conosciuta eppure familiare. E va indietro nel tempo, per ricomporre tutti i pezzi di un intimo percorso sulle tracce della sua identità più profonda. La chiave di casa (Cavallo di ferro editore) è un bel romanzo di autofiction (così lo definisce la stessa autrice), intenso, coinvolgente, cedevole all’erotismo di rottura, che ci conduce per mano attraverso un cammino personale: la morte della madre che lascia in lei un vuoto e una sofferenza che la paralizzano, un compagno amante che la tratta come una macchina da sesso senza amore, e un nonno che le consegna la chiave della sua casa di Smirne, in Turchia, quella che aveva abitato prima di emigrare in Brasile, per aiutarla a capire e a conoscere il suo punto di partenza. Ed è un viaggio ritmato sulle proprie emozioni e sui ricordi di avvenimenti, mai vissuti ma sempre ascoltati, quello compiuto dalla protagonista in Turchia. Un viaggio personale da cui dipende il suo futuro di ragazza già provata dalla sofferenza e dalle lacerazioni, eppure occasione per risvegliare se stessa e comunicare suggestioni comuni a chiunque creda all’incanto dei sentimenti e della passione. Del resto è il bello della letteratura: riuscire a far aprire, tramite la parola scritta, finestre immaginarie da cui ciascuno può guardare se stesso attraverso la storia che legge. E La chiave di casa, già tradotto in Turchia, Spagna e Francia e scritto con una tecnica frammentata e incalzante, tra scene di erotismo estremo e di sofferenza d’amore, imprime al racconto il ritmo insostituibile e coinvolgente delle emozioni. Un ritmo, anomalo e vagante nel tempo, che permette di ripercorrere quello che ognuno di noi sa: che, sebbene comporti rischi e sofferenza, è necessario chiudere con il proprio passato per poter, finalmente, vivere liberi da condizionamenti e rimpianti.
La chiave di casa, un romanzo duro, complesso, doloroso, e molto puntato sull’erotismo. Un esordio impegnativo…
In letteratura tutto è molto impegnativo. In questo primo romanzo non ho lavorato più di quanto non stia facendo nel secondo. Certo, quella di La chiave di casa (essendo un libro che tratta della mia vita personale, con elementi dolorosi) è stata una scrittura particolarmente emotiva, che è andata a toccare questioni profonde e intime. La narrazione comincia in modo rigido, come il corpo della protagonista che non riesce a scendere dal letto; poi, però, l’ho accompagnata a prendere aria, ho creato brecce che mostrassero quanto insieme al dolore esista anche la bellezza e la forza di sentirsi vivi. E così, quella narratrice che all’inizio era paralizzata comincia a muoversi e compie questo grande viaggio nel passato che è, in realtà, un viaggio per quello che dovrà accadere. Come se prima di partire fosse necessario tornare. Come se prima di aprire la porta di casa verso il mondo, fosse necessario aprire (o chiudere) la porta di casa dei nostri avi. Sapevo di scrivere una storia dolorosa, soprattutto per quello che riguarda la morte della madre e il suo dialogo con la figlia, per questo ho deciso di costruire capitoli brevi e di mescolare le storie. Mi è sembrato il modo giusto per permettere al lettore di passare da una storia all’altra con un certo respiro. La storia erotica è stata una scelta voluta, un modo per togliere un po’ di centralità alla ricerca del passato familiare e offrire passaggi in cui mostrare l’infinita potenza del corpo.
Lei ha poco più di trent’anni, crede che l’amore sia ancora centrale per i giovani?
A volte mi sento così vecchia che mi sembra strano rispondere a una domanda sui giovani. In ogni caso, non esito ad affermare che sì, l’amore per i giovani è importante. Se un giorno l’amore non fosse più importante l’umanità arriverebbe al suo capolinea, diventeremmo individui meccanici. Di fatto è l’amore – non solo tra un uomo e una donna, ma quello per un figlio, una madre, un amico, o anche per l’arte – che ci dà una ragione di vita, ci stimola, ci dà la voglia di vivere, di produrre, e di conoscere l’altro. Forse le generazioni che nascono dentro reti sociali hanno più difficoltà a mantenere una relazione solida e, di certo, per questo saranno più infelici, visto che siamo sempre alla ricerca di un amore, di un amore che duri. L’amore è fondamentale. La cosa più importante nella vita, poiché è una delle poche cose vere. In questo senso amore e letteratura hanno molto in comune, perché tanto l’innamorato quanto lo scrittore sono persone in cerca della verità e, nello stesso tempo, non fanno che mentire. Lo psicanalista Jacques Lacan diceva che i bugiardi sono degni d’amore. E aveva ragione, proprio come i bugiardi sono degni di letteratura. In ogni caso, lo scrittore mente alla ricerca della verità.
Nata a Lisbona, il suo libro è uscito in Brasile e la protagonista è nipote di ebrei turchi. Dov’è la sua “chiave di casa”?
Sono nata a Lisbona per caso perché i miei genitori, per via della dittatura, erano fuggiti in Portogallo. Ma sono arrivata a Rio de Janeiro che ero molto piccola, e ancora oggi ci vivo e il Portogallo l’ho conosciuto davvero solo da poco. Però mi sono sempre sentita un po’ portoghese. Così come mi sono sempre sentita un po’ turca e un po’ ebrea, perché i miei nonni erano di Smirne, proprio come i nonni della protagonista. Il mondo è troppo grande per ridursi solo in un unico spazio. Amo viaggiare fin da quando ero piccola, ho abitato negli Stati Uniti, a Parigi, a Lisbona, ma vorrei anche vivere in altri Paesi. Mi affascina lo sradicamento, mi infastidisce sentirmi legata a un unico luogo. Ovviamente, come tutti, ho bisogno anche io di sentirmi a casa. Ma la casa non è necessariamente uno spazio fisico. La mia, per esempio, sta nelle persone e nella lingua portoghese. Per il resto, posso stare in qualsiasi altra parte del mondo. Oggi, nell’ambito della letteratura, c’è un grande movimento intorno agli scrittori di lingua portoghese. Venti anni fa, anche solo dieci, nessuno leggeva letteratura portoghese qui in Brasile, e meno che mai mozambicana, angolana, capoverdiana… Adesso, grazie ad eventi letterari e a internet, la circolazione dei testi è sempre più frequente. Tutto questo mi conforta molto perché è come se la mia casa, la lingua portoghese, si espandesse.
La chiave di casa Tatiana Salem Levy traduzione di Cinzia Buffa Cavallo di ferro pag 205, euro 15.