Etica e dissimulazione
Rav Jonathan Sacks
Perché Mosè dice al Faraone, se non una bugia, almeno una verità parziale? Ecco la conversazione tra lui e il Faraone dopo la quarta piaga, aròv, (“sciami di insetti” o secondo alcuni “animali selvaggi”): «Faraone convocò Mosè e Aronne e disse: “Va, fa il sacrificio al tuo Dio qui nel paese.” Mosè disse: ‘Non sarebbe giusto. I sacrifici che offriamo al Signore nostro Dio, sarebbero un abominio per gli Egiziani. E se noi offriamo sacrifici che sono abominio ai loro occhi, loro non ci colpiranno? Dobbiamo fare un viaggio di tre giorni nel deserto, per offrire sacrifici al Signore nostro Dio, come Egli ci comanda’» (Es. 8, 21-23).
Non solo qui, ma dappertutto, Mosè fa sembrare come se tutto quello che stia chiedendo sia il permesso per il popolo di intraprendere un viaggio di tre giorni per offrire sacrifici a Dio e poi (implicitamente) tornare. Quindi, nella loro prima apparizione alla presenza del Faraone, Mosè e Aronne dicono: “Questo è quello che il Signore, Dio d’Israele, dice: ‘Lascia andare il mio popolo, in modo che possano tenere una festa per me nel deserto’ Faraone dice: ‘Chi è il Signore, a cui dovrei obbedire e lasciar partire Israele? Non conosco il Signore e non lascerò andare Israele.’ Poi dicono: ‘Il Dio degli Ebrei si è incontrato con noi. Ora facciamo un viaggio di tre giorni nel deserto per offrire sacrifici al Signore, nostro Dio, altrimenti ci può colpire con piaghe o con la spada” (Es. 5, 1-3).
Anche Dio specifica questo prima che la missione sia iniziata, dicendo a Mosè nel roveto ardente: ‘Tu e gli anziani d’Israele andrete quindi dal re d’Egitto. Devi dirgli: ‘Il Signore, Dio degli Ebrei, si è rivelato a noi. Ora chiediamo che tu ci permetta di fare un viaggio di tre giorni nel deserto, a sacrificare al Signore nostro Dio” (3, 18).
L’impressione rimane fino alla fine. Dopo che gli Israeliti sono partiti, si legge: “Il re d’Egitto ricevette notizia che il popolo era in fuga. Il faraone e i suoi funzionari cambiarono idea sul popolo ed egli disse: Che cosa abbiamo fatto? Come possiamo avere liberato Israele dal fare il nostro lavoro?” (14, 5)
In nessuna fase Mosè dice esplicitamente che sta proponendo che al popolo dovrebbe essere consentito di partire definitivamente e di non tornare mai più. Parla di un viaggio di tre giorni. C’è una discussione tra lui e Faraone per chi deve andare. Solo i maschi adulti? Solo il popolo, non il bestiame? Mosè chiede sempre il permesso di adorare Dio in qualche luogo che non sia l’Egitto. Ma lui non parla né libertà, né di Terra promessa. Perché no? Perché ha creato, scorrettamente, una falsa impressione? Perché non ha detto apertamente che cosa intendesse?
I commentatori offrono spiegazioni diverse. R. Shmuel David Luzzatto (Italia, 1800-1865) dice che era impossibile per Mosè dire la verità a un tiranno come il Faraone. R. Yaakov Meclemburg (Germania, 1785-1865, Ha-Ktav Veha-Kabbalah) dice che Mosè tecnicamente non ha detto una bugia. Ha detto invece che voleva che il popolo fosse libero di fare un viaggio per adorare Dio ma senza aver mai detto esplicitamente che sarebbero tornati.
Abrabanel (Lisbona 1437 – Venezia 1508) afferma che Dio dice a Mosè deliberatamente di fare una piccola richiesta per dimostrare la crudeltà del Faraone e l’indifferenza verso i suoi schiavi. Tutto quello che chiedevano era una breve tregua dalle loro fatiche per offrire sacrifici a Dio. Se egli avesse rifiutato, allora sarebbe stato per questo davvero un tiranno. Rav Elhanan Samet (Iyyunim be Parshot-Ha-Shaua, Esodo, p. 189) cita un anonimo commentatore che dice semplicemente che quella era una guerra tra il Faraone e il popolo ebraico, e che quindi in guerra è permesso, anzi a volte necessario, ingannare.
In realtà, però, i termini dell’incontro tra Mosè e il Faraone fanno parte di un più ampio schema che abbiamo già osservato nella Torà. Quando Giacobbe lascia Labano si legge: ‘Giacobbe trasse in inganno Labano l’Arammo senza dirgli che stava partendo’ (Gen. 31, 20).
Labano protesta contro questo comportamento: ‘Come hai potuto fare questo? Mi hai tratto in inganno e hai portato via le mie figlie come prigioniere di guerra! Perché sei fuggito così di nascosto? Sei andato a mia insaputa e non mi hai detto nulla “(31, 26-27)!.
Giacobbe di nuovo racconta almeno una mezza verità quando Esaù suggerisce che viaggino insieme: “Tu sai che i bambini sono deboli e ho la responsabilità di curare le pecore e i bovini. Se essi sono guidati male anche per un giorno, tutte le pecore moriranno. Ti prego di andare davanti a me, mio signore” (33, 13-14).
Questa, anche se non è strettamente una bugia, è una scusa diplomatica.
Quando i figli di Giacobbe stanno cercando di salvare la sorella Dina che era stata violentata e rapita da Shechem l’Eveo, e Shechem e suo padre propongono che l’intera famiglia sarebbe venuta ad abitare con loro, loro ‘risposero mentendo’ (34, 13) e dicono che avrebbero potuto farlo solo se tutti i maschi della città avrebbero subito la circoncisione.
Prima ancora troviamo per tre volte Abramo e Isacco, costretti a lasciare la casa a causa della carestia, far finta che sono fratelli delle loro mogli e non i loro mariti perché temono che altrimenti saranno uccisi in modo per prendere Sarà e Rebecca negli harem dei re (Gen. 12, 20, 26).
Questi sei episodi non possono essere interamente accidentali o involontari per la narrazione biblica nel suo complesso. L’implicazione sembra essere questa: fuori della Terra promessa gli ebrei in epoca biblica sono in pericolo se dicono la verità. Sono a rischio costante di essere uccisi, o nella migliore delle ipotesi, di essere ridotti in schiavitù.
Perché? Perché sono impotenti in un’epoca di potere. Si tratta di una piccola famiglia, nella migliore delle ipotesi una piccola nazione, in un’epoca di imperi. Devono usare la loro intelligenza per sopravvivere. In generale non dicono bugie, ma sono costretti a dare una falsa impressione. Questo non è come le cose dovrebbero essere. Ma è la condizione nella quale si trovavano gli ebrei prima di avere la loro terra, il loro unico spazio difendibile. È come le persone in situazioni impossibili sono costrette a essere se vogliono esistere.
Nessuno dovrebbe essere costretto a vivere una bugia. In realtà per l’ebraismo la verità è il sigillo di Dio e il presupposto essenziale della fiducia tra gli esseri umani. Ma quando il tuo popolo è schiavo, i tuoi figli maschi uccisi, bisogna liberarli con qualsiasi mezzo possibile. Mosè aveva già visto che il suo primo incontro con il faraone aveva peggiorato le cose per il suo popolo – dovevano fare la stessa quota di mattoni, ma dopo anche raccogliere la paglia da soli (5, 6-8) – e non voleva rischiare di renderle ancora peggiori.
La Torà qui non sta giustificando l’inganno. Al contrario, si condanna un sistema in cui dire la verità può mettere la propria vita a rischio, come accade ancora oggi in molte società tiranniche o totalitarie. L’ebraismo – una religione di dissenso, che mette in discussione e “discute per amor del cielo” – è una fede in cui i valori di onestà intellettuale e sincerità morale sono sopra ogni cosa. Il salmista dice: “Chi salirà il monte del Signore e chi starà nel suo luogo santo? Colui che ha mani innocenti e cuore puro, che non ha preso il Mio nome invano, né giurato ingannando” (Sal. 24, 3-4). Malachia dice di colui che parla in nome di Dio: “La legge di verità era nella sua bocca, e ingiustizia non è stata trovata nella sua bocca” (Mal. 2, 6). Ogni Amidà si conclude con la preghiera: “Mio Dio, proteggi la mia lingua dal male e le mie labbra dal discorso ingannevole”.
Quello che la Torà ci sta dicendo in questi sei racconti della Genesi e il settimo dell’Esodo è il legame tra libertà e verità. Dove c’è libertà ci può essere verità, altrimenti non c’è verità. Una società in cui le persone sono costrette a essere meno di completamente oneste e costrette solamente a sopravvivere senza provocare ulteriori oppressioni, non è il tipo di società che Dio vuole che noi creiamo.
Traduzione di Davide Levy – Ashdod, in esclusiva per Parashabook, il gruppo di Facebook che raccoglie tutti i commenti italiano alla parashà della settimana
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