Quando la realtà è più complessa delle schematizzazioni di Panorama
Daniela Fubini
Appare chiaro che Comunità Attiva e Tullio Levi hanno fatto un’ottima campagna elettorale nei fatti congiunta, contattando un notevole numero di quegli ebrei invisibili che sarebbe bello poter vedere più di frequente in Comunità.
Il loro successo infatti sembra avere parecchio a che fare con il numero dei votanti (il centinaio abbondante di voti in più rappresentano un 50/60 famiglie che se hanno votato vorrà dire che non sono del tutto indifferenti alla Comunità), perciò a partire dalle prossime attività dobbiamo aspettarci un aumento secco nel numero dei partecipanti. Se così non fosse, significherebbe che sono venute a votare delle persone che non hanno un sincero interesse nella partecipazione attiva alla vita comunitaria, e l’attuale maggioranza finirebbe per governare senza una base. Dunque auguro alla Comunità di Torino di vederli veramente presenti, anche troppo presenzialisti tutti quanti: rieletti, neoeletti, nuovi elettori e relative famiglie.
Sulla questione Rabbino sono tra coloro che difendono a tutto campo l’istituzione prima ancora dell’individuo. È preoccupante il fatto che la vittoria elettorale sia legata indissolubilmente alla promessa di revocare il mandato a Rav Somekh, il quale o dovrà subire la revoca oppure semplicemente se ne andrà. C’è da chiedersi quale convenienza abbia una Comunità ebraica a non avere un rabbino per un tempo imprevedibile, ma i vincitori hanno voluto questo, e questo probabilmente avremo. Eppure, davvero Rav Somekh è il centro di tanti problemi della Comunità? O non fa invece comodo poter incolpare qualcuno, una persona fisica, di un malessere nel quale alcuni forse hanno preferito crogiolarsi perché sarebbe stato molto più faticoso affrontarlo, frequentare di più la Comunità, entrarci dentro e cambiarla dall’interno evitando gli scossoni?
L’altro punto cardine della campagna elettorale dei vincitori era il rifiuto pressoché globale della gestione degli ultimi 25 anni, perciò adesso i vincitori vorranno fare tutto da soli (e però con Tullio Levi, esponente rispettatissimo della vecchia guardia: questa è una contraddizione in termini nella politica di Comunità Attiva forse non del tutto evidente ai nuovi elettori, ma sfacciatamente pragmatica e forse proprio per questo premiata nel voto); il momento, per i vincitori, è delicato: con il banale paternalismo nei confronti degli sconfitti otterranno solo rifiuti, ma con un atteggiamento di rivalsa rischierebbero di allontanare alcune delle persone (anche giovani) che questa Comunità l’hanno vissuta e tenuta in piedi per anni, in alcuni casi decenni. È un rischio reale, che non so se la maggioranza abbia valutato seriamente nel suo impatto nel lungo periodo. La Comunità non sopravvivrebbe ad un eventuale travaso, fuori quelli che ci sono adesso, e dentro i nuovi.
Per questo, i prossimi quattro anni saranno anni chiave per il futuro della nostra Comunità.
Tolte le personali inquietudini di schieramento di Tullio Levi, ciò che deve spaventarci è il precipitato delle dimissioni di gennaio: i suoi contraccolpi nel Gruppo di Studi e fuori, e l’astio palpabile che si è visto sibilare in tutte le direzioni negli ultimi mesi. Non illudiamoci: le divisioni e i conflitti che hanno segnato la Comunità da gennaio ad oggi sono molto lontane dall’affievolirsi dopo il voto, perché in alcuni casi hanno travolto amicizie quarantennali, che hanno subito colpi così violenti da non potersi riprendere tanto velocemente. E quando si parla di una Comunità nella quale si contano 950 teste, anche le amicizie quarantennali tra pochi nuclei famigliari sono da conservare con attenzione. Non ripeterò mai abbastanza che non siamo sufficientemente numerosi per dividerci (lo so, è il mio refrain classico di quando si parla di ortodossi, conservative e riformati a condividere l’angusto spazio di una minuscola Comunità, ma vale a maggior ragione anche qui).
Soluzioni non ne vedo, salvo concentrarsi sulla radice del problema: la Comunità deve tornare ad essere l’unico centro del nostro interesse. Quando si sceglie di dedicare ore o giornate intere ad un lavoro che non paga in termini di ritorno economico, ma che è prezioso per la vita ebraica torinese, è necessario e vitale lasciare l’ego a casa. Ci si deve mettere al servizio del bene della Comunità, con la giusta dose di umiltà, olio di gomito e intelligenza. Altrimenti, ben presto si comincia a confondere il proprio bene, la propria realizzazione personale, con quello della collettività, ed è in quel preciso istante che si diventa invece un potenziale pericolo per la Comunità, per la sua stabilità e per il suo futuro.
In questo senso mi auguro che i nuovi eletti, e i nuovi elettori insieme a loro, sappiano imparare presto che il lavoro per la Comunità include anche attività non propriamente intellettuali o men che meno politiche, come imbustare il Notiziario, mettere a posto la sala del Centro Sociale o fare i turni nella cucina della saletta ADEI per una cena o per una festa. È attraverso questo genere di attività che nascono dinamiche positive, che trascendono da appartenenze politiche e livelli di religiosità, tra persone che in altri contesti avrebbero davvero poco da dirsi.
In un momento nel quale ad alcuni pare di avere poco da dire ad altri, nel piccolissimo gruppo umano al quale abbiamo però tutti ugualmente deciso di dedicare tempo e affetto, il mio auspicio è che ci si possa ritrovare proprio a partire dalle cose minime, per ricostruire il tessuto stesso della Comunità, danneggiato profondamente dalle vicende degli ultimi mesi.
Daniela Fubini
http://www.hakeillah.com/3_07_10.htm