Midrash Torà
“Amerai il Signore tuo Dio” (Deut. 6, 5): fa’ sì che il Cielo sia amato dagli uomini, che tu riconosca il tuo modo di commerciare, il tuo comportamento per strada e il tuo modo di fare affari con gli uomini”. Quando un uomo riconosce il proprio modo di commerciare, il proprio comportamento per strada e il proprio modo di fare affari con i suoi simili, e legge la Torà e studia, le persone che lo vedono dicono: “Beato il tale che ha studiato Torà, è un peccato che mio padre non mi abbia insegnato la Torà: il tale ha studiato la Torà, e guardate come sono piacevoli le sue azioni, come sono belli i suoi comportamenti! In nome del Cielo, studiamo Torà e insegniamo ai nostri figli Torà”: così, attraverso di lui, verrà santificato il nome del Cielo.
Ma quando l’uomo non riconosce il proprio modo di commerciare e il proprio comportamento per la strada e il proprio modo di fare affari con i suoi simili, e legge la Torà e studia, le persone che lo vedono dicono “Povero quel tale che ha studiato Torà, beato mio padre che non mi ha insegnato Torà: il tale ha studiato Torà, ma guardate quanto sono brutte le sue azioni, quanto sono sbagliati i suoi comportamenti, in nome del Cielo! non studiamo Torà e non insegniamola ai nostri figli”: così, per suo mezzo, il nome del Cielo viene profanato.
La Torà è stata data proprio per questo, per santificare il suo grande nome, com’è detto (Isaia 49,3): “Mi disse: tu sei il mio servo Israel, per mezzo del quale mostrerò la mia gloria”. …
La Torà è stata data proprio per questo, per santificare il suo grande Nome: “Darò loro un segno e invierò alcuni dei loro superstiti verso le nazioni…” (Isaia 66:19), e cosa dice alla fine del verso? Essi annunceranno la mia gloria tra le nazioni” .
(Sèder Eliàhu rabbà, 26)
Nella parashà di Toledoth vengono descritti, tra gli altri, i rapporti tra Isacco e Rebecca, quelli tra questi ultimi e Avimelekh, e quelli tra Giacobbe ed Esaù. La mancanza di un dialogo sincero tra le persone porta i protagonisti ad agire in maniera scorretta gli uni verso gli altri: le menzogne di Isacco e Rebecca nei confronti di Avimelekh, quelle di Rebecca verso Isacco, e di Giacobbe verso il padre e verso il fratello. Ma era loro possibile fare una scelta diversa? Oppure potevano scegliere una strada più trasparente, più visibile? Proprio la capacità di vedere o non-vedere è uno dei motivi ricorrenti di questa parashà.
Isacco e Rebecca vedono i figli, ognuno a modo loro; Isacco che aveva visto la sua ‘Akedà (legatura) sul Monte in cui il Signore si fa vedere, lo stesso Isacco che veniva da Beèr lachài roì dove, secondo il Midràsh era andato a visitare Hagàr per riportarla a casa e cercare di capire il senso della sua storia, forse a causa della ‘Akedà, non riesce più a vedere: Isacco non ha visto, non ha capito quale sia la personalità di Esaù. Avimelekh vede la bellezza di Rebecca e se ne invaghisce, ma poi vede Isacco e Rebecca in atteggiamenti amorosi e capisce che non sono fratelli, ma una coppia. Ma Avimèlech, subito dopo aver scacciato Isacco, dice: “Abbiamo visto che il Signore è con te ” e cerca di stipulare un patto con lui.
I Filistei vedono il numeroso gregge di Isacco e diventano invidiosi. Isacco sente la necessità di benedire Esaù e quindi lo vuole benedire, me il testo sottolinea che non vedeva più bene. Giacobbe ha il timore che il padre lo riconosca al tatto, diventando un imbroglione ai suoi occhi. Esaù vede che Isacco aveva benedetto Giacobbe e lo aveva mandato a prendere moglie a Padàn Aràm presso i suoi parenti, e vede che le figlie di Kenaan non sono gradite agli occhi di Isacco suo padre.
E’ evidente che il verbo vedere ha un significato più ampio di quello legato al senso della vista: non a caso il profeta viene chiamato “Roè” (vedente, veggente), una persona che vede le cose in profondità. La vista (e in parte l’udito) sono lo strumento attraverso cui si manifesta l’imbroglio: Rebecca, Giacobbe, Isacco sono pronti a raccontare una menzogna, pur di raggiungere il proprio scopo mediante l’imbroglio.
I nostri Maestri non si sono mai astenuti dall’evidenziare i comportamenti negativi dei patriarchi e, così facendo, hanno reso un servizio alla Torà stessa. Nel suo commento, Shimshon Refael Hirsh mette in evidenza gli errori commessi da Isacco e Rebecca nell’educazione dei figli: entrambi dovevano essere educati a servire il Signore, ma la strada per condurli ad amarlo doveva essere diversa. Finché i bambini erano piccoli, ci sarebbe stato tutto il tempo per adottare un sistema educativo diverso per ognuno dei figli, ma, una volta divenuti adulti, non c’era più niente da fare.
Porre ragazzi con tendenze diverse sullo stesso banco e usare gli stessi sistemi di insegnamento è un grave errore che alla lunga si paga: Esaù era ghibbòr zàid (forte nella caccia) e forse avrebbe potuto diventare ghibbòr lifnè hashèm (forte di fronte al Signore). “Educa il ragazzo a seconda della sua indole” (Proverbi 22: 6): i metodi di insegnamento devono essere adatti all’animo del bambino e quanto vale per Giacobbe ed Esaù vale in particolare nella nostra generazione in cui si tende a livellare tutto e quindi anche le forme di insegnamento.
Come avrebbero potuto essere i rapporti all’interno della Casa d’Israele – si pensi alla storia di Giuseppe e i suoi fratelli – e come potrebbero essere risolte, anche oggi, le tensioni tra i discendenti di Isacco e Ismaele, i discendenti di Giacobbe e di Esaù?
“Molte porte vi sono per il Signore”: Isacco amava Esaù, Rebecca amava Giacobbe. Ma i genitori devono amare i figli con la stessa intensità, cercando di usare dei metodi educativi adatti caso per caso, affinché non siano uniformi nel modo di educare in generale e in quello di servire Dio.
La Torà ci racconta le gesta dei patriarchi e delle matriarche, anche quelle negative, non solo affinché noi le adottiamo come modelli, ma anche perché, valutandole criticamente, possiamo scegliere la strada giusta. Lo studio della Torà è importante, ma ancor più il modo in cui viene vista la sua applicazione nella vita di tutti i giorni: i maestri, i genitori, le guide possono compiere azioni positive o negative e diventano un modello da imitare nel bene e nel male. Questo è quanto emerge dal Midrash che abbiamo appena letto.
Scialom Bahbout
(Scritto per la comunità ebraica di Trani)
Torà in rima
Massimo Foa
Toledòt
Genesi 25-19/28-9
Isacco quarant’anni avea compiuto
quando Rebecca in moglie aveva preso
e chiese a lungo all’Eterno aiuto
per aver figli che tanto aveva atteso.
Il Signore le sue preghiere accolse
e sua moglie Rebecca restò incinta,
ma il grembo era agitato e lei si dolse,
dall’ansia che ciò fosse male, vinta.
Il Signore le disse: “Due nazioni
dal tuo grembo verranno fuori:
una più forte nelle proprie azioni,
ma i maggiori serviranno i minori.”
Finito il tempo della gravidanza,
era rossiccio il primo figlio nato
e poiché peloso in abbondanza,
Esaù da loro fu chiamato.
Nella mano il secondo gemello,
nel momento che alla luce venne,
teneva il calcagno del fratello,
per cui il nome di Giacobbe tenne.
Crescendo Esaù fu cacciatore,
mentre l’altro nelle tende viveva.
Isacco Esaù aveva nel cuore,
Rebecca Giacobbe prediligeva.
Un giorno che Esaù tornò stremato
e Giacobbe si era fatto un minestrone,
Esaù che lo avrebbe mangiato
ne chiese a Giacobbe un boccone.
“Vendimi la primogenitura”,
disse Giacobbe, “e le mie lenticchie avrai.”
Esaù lo giurò con disinvoltura,
poi mangiò, bevve e andò tranquillo assai.
Nel paese ci fu una carestia.
In Gherar da Avimèlech, Isacco andò.
Dio: “In quel paese voglio che tu stia,
Io sarò con te e ti benedirò.
A te tutte queste terre io darò
e come a tuo padre Abramo ti rivelo
che numerosa la tua discendenza farò,
come lo sono le stelle del cielo,
e della terra ogni nazione
nella tua stirpe verrà benedetta,
perché Abramo mi ha dato adesione
e ai miei comandamenti ha dato retta.”
A chi di sua moglie gli chiedeva,
“E’ mia sorella”, Isacco diceva,
giacchè di venire ucciso egli temeva
perché Rebecca di bell’aspetto era.
Poi Avimèlech da una finestra coglie
Isacco con Rebecca rallegrarsi.
Capisce così che lei è sua moglie
ed ordina a tutti di non accostarsi.
Isacco seminò in quel paese
e ne raccolse cento volte tanto,
cosicchè d’invidia i filistei accese
e gli chiusero i pozzi scavati lì accanto.
Avimèlech gli disse di andarsene via
e Isacco nella piana di Gherar si stabilì.
Tornò a scavare i pozzi che avea pria,
ma i pastori di Gherar litigarono anche lì.
Un altro pozzo, allontanatosi, scavò,
su cui non ebbero a litigare.
Per questo motivo Rechovoth lo chiamò:
“Ora il Signore ci farà prosperare.”
Da lì verso Beer-Shèva Isacco salì,
dove Avimèlech andò a farsi giurare
che, poiché non lo avevano toccato, così
ora Isacco non gli farà del male.
Isacco gli offrì un pranzo e in pace se ne andò.
Quel giorno da un pozzo trovarono le acque:
Isacco, Shivà (giuramento) lo chiamò,
da qui il nome Beer-Shèva per la città nacque.
Esaù a quarant’anni ebbe la stoltezza
di sposare Jehudìt che era Khittita
e questo fu causa di amarezza
per Isacco e Rebecca, come una ferita.
Il vecchio Isacco con la vista indebolita
chiamò Esaù: “Della selvaggina cattura,
prepara una vivanda squisita,
ed io di benedirti avrò cura.”
Rebecca a suo figlio Giacobbe parlò:
“Vai nel gregge a prender due capretti,
un piatto gustoso io preparerò,
lui benedirà te, se ora ti affretti.”
Poi, siccome Esaù era peloso,
fattigli indossare i suoi abiti più belli,
le mani ed il collo in modo ingegnoso
rivestì con le pelli degli agnelli.
Si stupì Isacco della rapidità
con cui il presunto Esaù avea cacciato,
ma toccandolo non scoprì la verità
essendo Giacobbe peloso diventato.
“Possa il Signore concederti rugiada,
sia maledetto chi ti maledice,
si prostri innanzi a te ogni contrada
e benedetto chi ti benedice.”
Quando Isacco terminò di benedire,
Esaù fece ritorno dalla caccia.
Isacco si sentì rabbrividire:
“Chi ho benedetto? Che cosa vuoi che faccia?”
Ed Esaù con grido amaro e forte:
“Benedici anche me, o padre mio,
chè già due volte lui mi rubò la sorte
sia con l’inganno che con l’armeggio.”
Suo padre Isacco ascoltò il suo sfogo:
“Vivrai sulla tua spada e lo servirai,
ma spezzerai dal tuo collo il giogo
quando di questo troppo gemerai.”
Esaù odiò il contraffattore
e meditò di uccidere il fratello,
perciò Rebecca al suo figlio minore
consigliò di fuggire via da quello:
“Rimani a Charan qualche tempo,
per salvare dall’ira la tua vita”
e ad Isacco disse nel contempo:
“Che Giacobbe non sposi una Khittita!”
Isacco a Giacobbe comandò per questo
le figlie di Canaan di non sposare,
ma di andare in casa di Bethuel presto
e la moglie per sé laggiù trovare.
“Ti possa l’Onnipotente benvolere,
renderti prolifico per davvero
e la terra di Abramo farti possedere,
dove ora dimori da straniero.”
Che le figlie di Canaan – Esaù comprese –
agli occhi di suo padre erano fiele,
ed oltre a quelle che aveva, in moglie prese
Machalat, una figlia di Ismaele.
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