Con il suo Mishiguene, ben piazzato nei ranking mondiali, Kalika è l’apripista della nuova cucina ebraica, in via di espansione dall’Argentina al Messico e agli Stati Uniti.
C’è stato un tempo in cui l’alta cucina era un fenomeno confinato a qualche paese europeo, con sporadiche succursali oltreoceano. Poi ha contagiato un po’ tutto il mondo, conquistando possibilità espressive praticamente illimitate. Non è dato sapere se la deglobalizzazione in corso cambierà il panorama, al momento le novità continuano a zampillare copiose. Una si chiama Mishiguene ed è un ristorante argentino, ma di cucina ebraica, che sta facendo parlare di sé.
Erano diversi anni che il suo nome figurava fra i 50 Best dell’America Latina, ma questa volta è andata ancora meglio: è entrato nella classifica generale, per la precisione all’ottantottesimo posto. Un successo inatteso per Thomas Kalika, chef quarantaduenne che l’ha fondato otto anni fa a Buenos Aires, nel quartiere di Palermo, con il socio Javier Ickowicz. “Avevamo molto chiaro a cosa ci stessimo dedicando e quale fosse la nostra missione, ed è il segreto principale per cui ha avuto tanto successo. C’è un concetto solido, pensato a tutto tondo”, racconta.
Thomas è entrato nel mestiere dalla porta sul retro: i suoi genitori non erano abbienti e scelsero Israele per i piani di lavoro destinati agli adolescenti, che coprivano il costo degli studi. A 16 anni viveva in un kibbutz in Israele, dove azionava macchine; poi si spostò a Gerusalemme per lavorare come lavapiatti nel ristorante di un cuoco già affermato nel paese, Eyal Shani. “Questa prima esperienza mi ha segnato, mi sono innamorato perdutamente della professione. Io non ho studiato cucina, non potevo permettermelo, ma a 17 anni andavo in biblioteca per leggere libri di cucina e prendere appunti, in modo da formarmi”. Poi il ritorno a casa, in Argentina, l’apertura del primo ristorante, The Food Factory, nel 2010, seguito nel 2014 da Mishiguene.
Al centro della proposta c’è da subito la “nuova cucina ebraica”, “migrante, in viaggio, ampia e curiosa”, sempre pronta ad abbracciare nuovi ingredienti e contesti. Kalika ne è il precursore, la fa conoscere, portandola fuori dai focolari domestici, attualizzandola, professionalizzandola. “L’ammissione fra i primi 100 ristoranti del mondo ci ha sorpreso, perché non stavamo facendo niente di particolare a questo fine. Nel contempo mi sembra qualcosa di naturale per un ristorante che è da 8 anni sul mercato ed è ben consolidato. Mishiguene sta crescendo dalla sua apertura: prima c’è stato l’ingresso nei 50 Best continentali nel 2017, poi il pop-up a New York, prossimamente un altro ristorante a Città del Messico, che sarà molto più completo di quello di Buenos Aires in termini di equipaggiamento e installazioni”. E ancora il café Mishiguene, con una proposta informale anche da asporto, aperto in lockdown sempre nella capitale argentina, e lo spin-off di Miami con un format leggermente diverso, più popolare e su misura per il mercato statunitense.
“L’Argentina ha molto da offrire. Credo che tutti coloro che sono presenti nella lista, sia Don Julio, posizionato al 14mo posto, Mishiguene o chiunque altro, stiano aprendo la porta agli altri. È una vetrina, uno spazio dove divulgare quello che Buenos Aires e l’Argentina hanno da dare. La cucina ebraica poi è una mappa enorme, che si estende in tutto il mondo, senza eccezioni”, conclude prefigurando sempre nuove avventure.
Fonte: cronista.com
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Foto: Crediti Thomas Kalika