L’interessante opera prima di Oliver Park, l’horror The Offering, lavora su una delle matrici più antiche della demonologia: la religione e il folclore ebraico. La recensione di Daniela Catelli.
Da appassionati di cinema dell’orrore, salutiamo sempre con gioia l’arrivo di un nuovo regista che ama davvero il cinema e la letteratura horror. Specialmente se giovane e devoto a un genere di cui molti si servono come rampa di lancio per poi lasciarlo non appena possono. Parlando con Oliver Park – 36 anni, inglese, attore e regista di due cortometraggi premiati e reperibili in rete, Vicious e Still – si capisce invece che lui all’horror deve molto e che è intenzionato a frequentarlo a lungo. Per il debutto nel lungometraggio ha scelto The Offering, che non ha scritto, ma che mette in scena con un bel senso della composizione visiva e un’ottima direzione degli attori. Se la sceneggiatura è fin troppo troppo colma di citazioni, omaggi e analogie con film ben noti e situazioni già viste (oltre ovviamente a L’esorcista, citato esplicitamente, c’è una spruzzata di Rosemary’s Baby e una reminiscenza di horror più recenti come The Possession e Autopsy), dalla sua The Offering ha il fascino dell’ambientazione cupa e dolorosa di un’agenzia funebre ebraica ortodossa di New York, dove Saul, un anziano padre (il sempre ottimo Allan Corduner) accoglie con gioia il ritorno del figliol prodigo, Arthur (Nick Blood), che si è da tempo allontanato dalla sua casa e dalla fede di origine.
In apparenza il motivo per cui ha deciso di visitare il padre è la speranza di una riconciliazione, dal momento che l’uomo sembra aver accettato la moglie del figlio, Claire, che è una “shiksa”, termine non esattamente elogiativo con cui viene definita una bella donna non ebrea, incinta del suo primo nipote. Ma l’aiutante di Saul, Heimisch (Paul Kaye), che sa quanto il padre abbia sofferto per l’abbandono di Arthur ed è molto protettivo nei suoi confronti, non si fida di questo ravvedimento e sospetta – a ragione – che dietro questa visita ci siano altri motivi nascosti, di cui anche la moglie è all’oscuro. Il ritorno del figlio nella casa/azienda paterna è motivato dall’interesse economico, ma su questo si intreccia una serie di complicati rapporti e sensi di colpa, che la presenza di un antico demone, evocato da un rabbino nella speranza di comunicare con la moglie defunta e liberato dal suo cadavere per distrazione proprio da Arthur, saprà ben sfruttare. Il demone in questione è Abyzou, la rapitrice di bambini nel folclore ebraico e orientale, un dibbuk avido e geloso che vuole impadronirsi del figlio di Arthur e Claire.
Nonostante la trama frettolosa, soprattutto nel secondo atto, Park in The Offeringdimostra la capacità di creare la suspense senza abusare di sangue e facili jumpscare, il che è molto di più di quanto gran parte dell’horror contemporaneo a basso budget riesca a fare. Colpisce l’attenzione al dettagli e alle psicologie dei personaggi, nella costruzione di un mondo in cui lo scatenarsi del male è plausibile, tra riti tradizionali legati al trapasso umano e tentazione di sostituirsi a Dio e replicare il miracolo della creazione, riportando in vita i propri cari. I demoni ebraici, più di quelli cattolici che hanno il fine di rapire l’anima dei posseduti e condurli all’inferno, sono molto terreni, parassiti che si nutrono del dolore, dei rimpianti e del senso di colpa (un classico dell’ebraismo) degli esseri umani (come nell’ottimo e poco visto The Vigil, del 2019). Ed è molto difficile, se non impossibile, sconfiggere quello che la debolezza umana ha creato, come dimostra il bel finale del film. Secondo la leggenda cabalistica, nel sedicesimo secolo il rabbino di Praga Jehuda Low dette vita al Golem, il gigante d’argilla, la creatura che ispirerà Frankenstein e che col romanzo di Gustav Meyrink e il film omonimo di Paul Wegener del 1915 darà il via alla grande stagione dell’espressionismo e del cinema dell’orrore. Ci fa dunque piacere questo ritorno alle origini di un antico folclore che può riservarci molte belle sorprese. Anche se alle suggestive atmosfere di The Offering non corrisponde un film del tutto riuscito, vi consigliamo di tenere d’occhio i prossimi lavori di Oliver Park e quanto a noi, speriamo che questa ricerca filologica nel cinema dell’orrore continui, perché c’è sempre bisogno di nuovi demoni con cui confrontarsi.
https://www.comingsoon.it/film/the-offering/62433/recensione/