La parashà descrive gli abiti che i Cohanim indossavano nel Mishkan prima, e nel Bet ha Mikdash dopo.
Fra lo splendore di quegli abiti, vi erano quelli del Cohen gadol – il Sommo Sacerdote, il quale indossava, a differenza degli altri Cohanim otto capi di vestiario. Le parti più importante dell’abito del Sommo Sacerdote erano il choshen e l’efod, una specie di pettorina e una placca d’oro sorretta da una catena, sulla quale erano poste dodici pietre preziose l’una diversa dall’altra, che insieme simboleggiavano le dodici Tribù di Israele.
L’efod veniva posto sul petto e sulle spalle del Cohen gadol per rappresentare la responsabilità che egli aveva nei confronti di tutto il popolo.
Nei vestiti del Cohen gadol, c’erano anche dei campanelli che applicati al bordo inferiore dell’abito, servivano ad annunciare la sua presenza quando camminava per la strada.
In questo modo tutti potevano fargli largo al passaggio preservadolo da qualsiasi contagio, qualora ci fosse qualcuno che si trovasse in stato di impurità.
Il Cohen gadol, come tutti coloro che servivano nel Tempio, dovevano essere ben accorti a non contagiarsi con chi si trovava nella condizione di una qualsiasi impurità dovuta al contatto con un morto o ad una malattia contagiosa.
Pur con questi accorgimenti, nulla gli impediva di vivere la sua vita pubblica e comunitaria.
Ci troviamo in questo periodo a vivere con ansia gli sviluppi della situazione per il contagio di questo nuovo virus che tanto ci tiene col fiato sospeso.
Abbiamo però, rispettando tutte le direttive che di ora in ora ci vengono date da chi ci governa, il dovere di non sospendere le regolari tefillot e soprattutto quelle dei prossimi giorni di festività.
Per questo motivo, sposteremo i nostri appuntamenti nel tempio grande, per dare la possibilità a tutti di partecipare mantenendo le distanze di sicurezza, che ci vengono imposte dal l’OMS.
Sperando che questa situazione possa volgere al più presto ad un più roseo panorama, vi auguro un caloroso
Shabbat Shalom e un sereno Purim.