“Di’ ai figli d’Israele che prendano per me un’offerta
– terumà” (Shemòt 25, 2). Rashì coglie la sfumatura
del testo, intendendo la parola ebraica li – “a me”, nel senso
di “per me, per il Mio nome”. Rabbì Ghedalià di Linz spiegga
nel suo libro “Teshuoth Chen”, che vi è una differenza
sostanziale fra chi raccoglie e chi dà la tzedakà: secondo il
suo commento il testo si rivolge a coloro che raccolgono la
tzedakà da altri, i quali devono fare le loro azioni in nome
del Cielo, cioè senza secondi fini; mentre per coloro che
fanno questa mitzvà direttamente, nonostante esistano
diversi modi di compierla (il migliore dei quali è quello di
farlo in forma anonima), la loro tzedakà è comunque conssiderata
un’azione meritoria.