“Reshit goiim ‘Amaleq – ve acharitò adé oved – ‘Amaleq è il primo dei popoli e la sua fine è andare disperso” (Bemidbàr 24;20).
Questa è la visione di un profeta pagano – Bil’ am – nei confronti di un nemico che ha colpito il popolo ebraico nella parte più debole: è il primo dei nemici che ha agito nel peggiore dei modi.
‘Amaleq è il nemico per eccellenza del nostro popolo, poiché la sua stirpe ha continuato nel corso dei secoli a colpire sempre nello stesso modo. È per questo che uno dei suoi discendenti viene identificato con Haman, colui che decise di sterminare tutti gli ebrei del regno di Assuero, uomini, donne, vecchi e bambini in un unico giorno, che grazie all’aiuto di D-o si tramutò in seguito nella festa di Purim.
Dimenticare ciò che fece ‘Amaleq equivale a dimenticare la storia del nostro popolo. La mizvà di ricordare è alla base della nostra tradizione e della nostra identità. Molte sono le cose per cui ci viene comandato dalla Torà di ricordare e tutte hanno l’imperativo di narrare.
Non c’è ricordo senza narrazione: dalla creazione del mondo “zikkaron le ma’asé berishit” alla schiavitù egiziana “zekher liziat mizraim” persino lo shabbat “zakhor et Jom ha shabbat“.
Tutte queste hanno un segno indelebile che consiste nel momento specifico della narrazione ai giovani. Essi vanno resi partecipi per farli considerare parte in causa di ciò che accadde all’epoca, per riviverlo come se fosse qualcosa avvenuta nel presente.
Non può esserci futuro se non si conosce bene il passato.