“ve’asù li Mikdash ve shakhantì be tokham – e facciano per me un santuario e abiterò in mezzo a loro” (Esodo 25; 8)
Nella parashà vengono date tutte le disposizioni e la regolamentazione per la costruzione del Tabernacolo mobile del deserto, che ha preceduto il Bet ha Mikdash, che fu progettato dal re David e costruito da Salomone suo figlio.
L’importanza del Mishkan sta soprattutto nella partecipazione di tutti alla sua costruzione, intesa come una grande mizvà.
La Torà con questa grande mizvà vuole che sia coinvolto tutto il popolo, affinché ogni suo membro possa sentirsi partecipe e parte attiva, ma soprattutto possa sentirsi proprietario di una parte di esso.
La concezione moderna del Mishkan è proprio quella del concetto comunitario e cioè, ogni ebreo che fa parte di una comunità deve concepirla come un qualcosa che gli appartiene, attraverso lo svolgimento materiale di una o più attività che la caratterizzano.
Non serve dare indicazioni o insegnare come si deve agire, per questo c’è la Torà prima, la halakhà e il minhag (tradizione) in seguito ad insegnarcelo; c’è invece bisogno che tutti scendano in campo a lavorare. Il verbo ” ‘asé o asù – al plurale” usato proprio dalla Torà, vuol dire: “fai o fate“; è l’azione di lavorare che prevale su tutto il resto. L’abitudine di ordinare o criticare l’operato altrui, prevale sempre sul lavoro vero e proprio; purtroppo chi non fa non sbaglia mai.
Nel “avot de rabby Natan” (cap. 11) un’opera di esegesi midrashica al talmud, composta probabilmente in Babilonia, troviamo un grande insegnamento a proposito di ciò:
“disse rabby Tarfon – è tanto grande l’opera lavorativa che il Santo benedetto Egli sia, non pose la Sua shekhinà sul popolo, fintanto che essi non iniziarono il lavoro (inteso proprio come lavoro materiale per la costruzione del Mishkan) ; poiché è scritto ” e facciano per me un Mishkan ed Io abiterò (porrò la mia shekhinà) in mezzo a loro”
Shabbat Shalom