“Ve ikkchù li terumà meet col ish asher iddevenu libbò tikkchù et terumatì – E prendano per me un’offerta, ognuno a seconda del desiderio del suo cuore, prendano la mia offerta”.
Con queste parole inizia la parashà che leggeremo questo shabbat, in cui viene comandato di raccogliere offerte per la costruzione del Mishkan, il Santuario che accompagnò il popolo durante i quaranta anni di peregrinazione nel deserto.
Il Mishkan era concepito come il luogo di incontro del popolo; luogo dove esso si raccoglieva per il culto ma anche per l’unità di popolo.
Proprio qualche sabato fa abbiamo letto, nella parashà di Itrò, che “Va jachanù ba midbar, va ichan sham Israel neghed ha ar- Si accamparono nel deserto, si accampò Israel di fronte al monte”; alle pendici del Monte Sinai, nel momento della promulgazione del Decalogo, erano come “un solo uomo con un solo cuore”.
Il Mishkan doveva avere quindi, la stessa funzione del Monte Sinai, nel momento del Mattan Torà, in cui tutto il popolo si tramutò in un unico gruppo, come fosse una sola persona.
Il Mishkan stesso doveva essere unico, in nessun altro luogo. Sia in Israele che nel resto del mondo non esisteva un Santuario, se non solo a Gerusalemme, così come non si potevano offrire sacrifici se non là.
La raccolta che D-o ordina di fare a Mosè, ha lo scopo anche, di far considerare il Santuario un luogo che appartiene a tutti, che ognuno possa considerare la propria casa.
Soltanto questo sarà il requisito che provocherà la presenza della Shechinà, su tutto il popolo, come è scritto più avanti nella parashà:
“Ve asù li mikdash, ve shachantì be tocham – E facciano per me un Santuario e Io abiterò in mezzo a loro”.
SHABBAT SHALOM