Editoriale del New York Sun – 21 Marzo 2005
Nel Talmud viene raccontata la storia di un rabbino vecchio e morente che era diventato un ‘gosès’ – una persona fra vita e la morte. Il grande rabbino non poteva morire perché, come racconta Jonathan Rosen nel suo libro “il Talmud ed Internet,” fuori ,” tutti i suoi allievi stavano pregando perché lui vivesse e questo distraeva la sua anima. Il suo domestico allora si arrampica sul tetto della capanna in cui il rabbino stava morendo e lancia un vaso d’argilla a terra. Il suono distrae gli allievi che smettono di pregare. In quel momento, il rabbino muore e la sua anima va in cielo. Anche al servo, dice il Talmud, viene garantito un posto nel mondo a venire.
Ci siamo ritrovati a pensare a questa storia quando folle di cittadini si sono raccolte fuori dell’ospedale di Terry Schiavo – ed in molti altri posti – per pregare per lei, mentre all’interno i medici, ricevuto il segnale di nulla osta dalla corte della Florida, scollegavano i tubi d’alimentazione della sig.ra Schiavo secondo le istruzioni di suo marito. Mentre il dramma si intensificava, i genitori della sig.ra Schiavo lottavano con i loro sostenitori per ottenere il passaggio al Congresso di una legge che permette alle corti federali di assumere la direzione del caso, e il presidente Bush, rientrato a Washington dal Texas, si poneva nelle condizioni di firmarla.
Che paese straordinario è l’America in cui un tal dramma può esplodere sopra la vita di un singolo individuo. Ci sembra semplicemente – dato il modo in cui le cose stanno andando finora – che la legge secolare, almeno fino a questo fine settimana, stia dalla parte del marito di Terry, che vuole permetterle di morire e che ha dimostrato di essere preparato a rimuovere i tubi d’alimentazione. Ma è anche normale che milioni di Americani, cristiani , ebrei e musulmani, stiano pregando per un risultato che può riassumersi nell’ammonizione biblica, “scegli la vita.” Questa è certamente la formulazione che il presidente Bush ha citato.
Il dramma ci ha portati ad approfondire i nostri obblighi nei confronti, prima di tutto, di un gosès. Il termine deriva dal suono della respirazione disturbata che una persona morente fa, in quello che a volte è denominato il rantolio di morte, quando la morte realmente sta arrivando, irreversibile ed imminente, Anche nel caso di un gosès, la legge ebrea richiede che tutto debba essere fatto per salvare il gosès e nessuna azione può essere intrapresa per accelerarne la morte. C’è un’altra categoria oltre ai gosès, detta terefah, relativa ad una persona che è malata incurabile. Secondo Maimonide, come citato da un rabbino americano contemporaneo, Elliott Dorff, uno che uccide un terefah non è soggetto alla pena di morte per omicidio, ma può essere soggetto a punizione divina.
Tuttavia la sig.ra Schiavo non è nè un gosès nè un terefah. È una donna che può respirare bene di per sè. La sig.ra Schiavo è più simile ad un infante o ad una persona anziana senza aiuto o ad un malato di Alzheimer, incapace di mangiare o bere in modo autonomo, ma in grado di respirare e sopravvivere se aiutata a mangiare e bere. Ecco perché molti Americani religiosi stanno pregando così fervidamente affinché la vita della sig.ra Schiavo sia risparmiata ed ecco perché il Congresso sta correndo. Se il marito della sig.ra Schiavo o la sua infermeria fossero in grado di arrampicarsi, in senso figurato, sul tetto del suo ospedale e di far cadere un vaso di argilla sul marciapiede di sotto, distraendo coloro che stanno pregando per lei e interrompendo le loro preghiere, non ci sembra che l’anima della sig.ra Schiavo verrebbe liberata. Continuerebbe a respirare per conto suo e diventerebbe affamata e necessitante di alimenti ed acqua.
Forse l’intensità del contesto intorno alla vita della sig.ra Schiavo è lo specchio di una discussione più ampia sulle nostre politiche, sui nostri valori per esempio sull’aborto? Qui pensiamo ad un altro saggio che ha cominciato, tardi nella sua vita, a dire a coloro ai quali chiedeva dell’aborto, “parliamo, per un momento, di non cominciare la vita dalla sua fine.” Parliamo di Robert L. Bartley del giornale del Wall Street. Era abbastanza saggio da vedere che le due questioni sono connesse tra loro ad un livello profondo. E pieno di sottintesi importanti e di problemi dolorosi. Può essere che le autorità secolari possano e debbano decidere così. Ma nel pensare alla sig.ra Schiavo ci siamo trovati impressionati dal fatto che le domande che il nostro paese sta affrontando non sono nuove ma sono quelle in cui si sono confrontati per secoli i rabbini che interpretano leggi che sono più durature di quelle di qualsiasi legislatura.
Grazie a Maurizio Molinari per la segnalazione
Il Diritto di Vivere
Sara Esther Crispe
Sono cinque giorni che il tubo di alimentazione é stato rimosso da Terri Schiavo. Al momento di pubblicazione il tubo sarà di nuovo inserito o la signora potrebbe essere già morta.
In quanto cittadina Americana, sono sconvolta che una donna cosciente, nonostante sia in stato ‘vegetativo’ , possa essere lasciata morire di fame. Come essere umano, sono inorridita.
Ho visto le foto di Terri che sorride mentre la madre l’abbraccia, grandi occhi spalancati che osservano i dintorni. Sembra che abbia le reazioni di un neonato di 6-11 mesi. Mia figlia ha sette mesi. Ride, piange. Prova gioia, paura, dolore e fame. E’ ben lontana dall’essere incosciente. Forse Terri non ha reazioni simili nonostante essa sia cosciente e capace di ingioiare e respirare da sola. Ma le sue abilità dipendono da chi chiedi: suo marito, un uomo che ha due figli con un’altra donna; o i suoi genitori e fratelli che le sono stati vicini da quel fatidico giorno di 15 anni fa quando Terri crollò a causa di una mancanza di vitamine.
Da quel giorno non c’é stato miglioramento o almeno nessuno cambiamento visibile. Ciò significa che il suo stato non puo’ cambiare? Secondo alcuni dottori la rispota e’ ‘no, non é possibile’ altri invece sostengono che con la giusta terapia, la risposta potrebbe esser ‘si’. Ma se la si lascia morire di fame questa settimana, non lo sapremo mai.
Nell’ebraismo c’é una legge che vieta di togliere la propria vita. Anche se c’e’ una sapda tratta sulla nostra gola, ci viene detto di non disperare. Come mai? Perché se crediamo che c’é un D-o in questo mondo, dobbiamo aver fede che possiamo essere salvati, anche all’ultimo minuto – anche all’ultimo secondo.
Nel corso della nostra storia, Ebrei che avrebbero potuto evitare morti dolorose e travagliate tramite i loro nemici se si fossero tolti la propria vita, hanno sofferto proprio perché avevano fede che la loro situazione disperata poteva cambiare. Molti avevano ragione, e vissero potendo raccontare storie miracolose di una pistola incepppata o di una pallattola che aveva mancato il bersaglio.
Tuttavia la Halachà (legge Ebraica) non é crudele. Non é senza senso. E’ compassionavole e comprensiva e riconosce che ci sono persone che soffrono terribilmente.
Un paziente che si trova in punto di morte per il quale non c’é nessuna cura e la morte sembra inevitabile e prossima, deve essere lasciato morire (Shulchan Aruch, Yore Deah 339:1). In un caso simile non é necessario continuare la cura a meno che la cura allievi il dolore del paziente. Una persona in questo stato é chiamata goses.
Ma Terri Schiavo non e’ una goses. Non stava morendo fino a che il tubo d’alimentazione non é stato tolto. Sta morendo ora perché crudelmente non le stanno dando cibo e acqua. Sta morendo di fame semplicemente perché suo marito crede che la sua non é una vita degna di essere vissuta.
In cinque minuti Terri é cambiata da una giovane donna vivace in un ‘vegetale. Se cinque minuti hanno potuto cambiare la sua vita in tale senso come e’ possibile non credere che in cinque minuti la sua vita potrebbe cambiare in altro modo? Come possiamo decidere per lei che non vorrebbe più vivere?
Eppure un sondaggio della CNN indica che 56% dei partecipanti sono dell’opinione che il tubo debba essere rimosso. La maggior parte dei cittadini Americani e le corti sembrano essere d’accordo che non c’é motivo di sperare ne’ aver fede. Essi credono che poiché non ci sono stati cambiamenti fino ad ora, che nulla cambierà mai.
E’ una realtà terrificante per ognuno di noi.
Terri é soltanto un esempio, ma le conseguenze di questa situazione sono enormi. Le corti ci stanno dicendo che una persona può decidere per te se la tua vita é degna di essere vissuta. Anche se non hai mai espresso il tuo desiderio al riguardo a voce o lasciando qualcosa di scritto, le parole del tuo custode legale verrano credute.
La legge Ebraica richiedi che ci debbano essere testimoni. Due persone possono amarsi e scegliere di sposarsi. Possono fare una cerimonia e scrivere un contratto. Ma la legge Ebraica accetta il loro matrimonio solamente se ci sono due testimoni, e testimoni per definizione non possono essere parenti. Poiché si presume che chiunque abbia un legame di parentela non può essere considerato un testimone attendibile. Se il testimone potrebbe ottenere qualcosa dal risultato, quella persona non può essere inclusa.
Ma secondo la legge Ebraica, la domanda va oltre la semplice questione se il marito di Terri e suo custode legale ha il diritto di decidere o dire in sua vece se lei vorrebbe vivere ‘in questo modo’. Secondo la Halachà, esiste la domanda se Terri stessa potrebbe prendere una decisione del genere. Può Terri decidere di finire la sua vita, di terminare le sue cure? Abbiamo l’abilità o l’autorità di decidere che non vale la pena vivere la nostra vita?
Se D-o non volesse che fossimo vivi, non lo saremmo. Noi non creiamo la vita e sicuramente non abbiamo l’autorità per terminarla. Non abbiamo scelto di essere qui e non possiamo scegliere di lasciare questo mondo. Inoltre, si suppone che una persona sana non voglia togliersi la vita. Tant’é che un aspirante suicida viene spesso considerato malato di mente. Se una persona desidera morire, é chiaro che c’é qualcosa che non va e che deve essere curato. In casi del genere l’opinione generale é che l’aspirante suicida non desidera veramente morire ma lancia un appello chiedendo aiuto. E la Torà ci insegna che abbiamo la volontà ed un desiderio innato di vivere, anche se non crediamo di averlo.
Se Terri Schiavo muore, o meglio, se é assassinata deliberatamente e dolorosamente, un pezzo di ognuno di noi morirà con lei. E’ giunta l’ora di esaminare noi stessi ed il mondo nel quale viviamo. Ci dobbiamo domandare come mai la maggioranza degli Americani sostengono questo modo di fare mentre pochi protestano.
Se le corti decidono che una persona può scegliere quando lui o lei non vuole continuare a vivere, a che punto tracciamo dei limiti? Se una persona afferma o dichiara per iscritto che non desidera più vivere in nessuna circostanza, come possiamo sapere con certezza se questa persona é ancora della stessa opinione? Per una persona sana e robusta é difficile contemplare una vita vissuta con un forte handicap. Chi non ha detto in qualche momento della vita, “Preferirei morire” nel caso non potrebbe più camminare, parlare, vedere o sentire? Ma quando, D-o non voglia, uno si trova improvvisamente incapace, le opinioni cambiano, come succede sovente in caso di incidente o malattia.
La morte non é una decisione che può essere cambiata dopo il fatto. Che tipo di potere stiamo dando al nostro governo, ai nostri guardiani, perfino a noi stessi?
Immagino che dobbiamo tutti sperare e pregare di non trovarci mai in una situazione simile. Poiché se fossimo noi quelli sdraiati in quel letto avremmo una visione molto diversa del mondo che ci circonda.
Pubblicato su www.chabad.org
Grazie a Chani Benjaminson per la segnalazione e la traduzione
http://www.nysun.com/article/10832