Nelle regole dei nega’im, tema principe delle parashot di Tazria’ e Metzorà, emerge un aspetto che ci lascia perplessi. I nega’im sono una serie composita di manifestazioni, che colpiscono gli uomini, gli abiti, le case. La dichiarazione di impurità spetta al Kohen. Quello che è interessante è però che questa impurità non si trasmette retroattivamente, legandola all’insorgere del fenomeno, ma solamente dal momento in cui il kohen dichiara impura una certa entità. E’ come se dicessimo che una persona può considerarsi malata solamente dal momento in cui il medico l’ha visitata e l’ha dichiarata tale, ma non prima. Come conseguenza di questo principio, è possibile “giocare” con l’impurità, anticipando o ritardando la visita del kohen.
La Torah (Waiqrà 14,36) sancisce ufficialmente questo principio nel momento in cui afferma che bisogna liberare la casa degli oggetti che questa contiene, prima della visita del Kohen, ed in questo modo ci si salva dalla possibilità che questi possano essere dichiarati impuri. Troviamo qualcosa di simile per i nega’im degli uomini (TB Mo’ed Qatan 7b): se è colpito uno sposo, gli si concedono i sette giorni del banchetto nuziale; se una persona viene colpita durante il reghel, si attende il termine della festa. Tornando alle case, se la piaga compare in una stanza buia, senza finestre, questa non sarà mai impura. Come si suol dire, “occhio non vede, cuore non duole…”, ma questo non vuol dire che il nega’ non sia presente nella casa. Basta spegnere le luci, e il problema scompare? Per le altre forme di impurità non diciamo così. Se mi imbatto nella carogna di un animale, non è necessario che vi sia alcuna dichiarazione di morte affinché l’impurità sia trasmissibile. C’è un aspetto nella realtà che provoca l’insorgere di un certo stato in modo automatico, senza alcun intervento umano. Effettivamente questa impostazione sembra più logica. Perché per i nega’im non avviene lo stesso?
Il fatto che dei nega’im si occupi il Kohen e non un medico o meglio ancora un infettivologo ci vuole insegnare che questo tipo di impurità non discende da aspetti materiali, ma è un fenomeno di natura spirituale. Il nega’, come è noto, è considerato conseguenza di un comportamento errato, manifestazione esterna di qualcosa che non va all’interno. Non è sufficiente eliminare la manifestazione esterna. Serve un intervento più radicale. Sarebbe come voler curare una malattia con degli antidolorifici, senza occuparsi del problema medico che causa il dolore.
Nel nostro caso la cura è legata in modo indissolubile all’incontro con il Kohen. Quale effetto comporta questo incontro? Dobbiamo considerare che ogni sensazione umana è relativa. Se mettiamo un dito sotto un flusso di acqua tiepida dopo averlo tenuto immerso in acqua fredda, l’acqua tiepida ci sembrerà calda. Se facciamo la stessa cosa, dopo avere immerso il dito in acqua bollente, l’acqua tiepida ci sembrerà fredda. Se immergeremo due dita, una in acqua fredda, l’altra in acqua bollente, e le metteremo sotto un getto di acqua tiepida, arriverà al cervello un messaggio contraddittorio, con sensazioni di freddo e caldo contemporaneamente.
Chi è colpito dal nega’ non comprenderà a pieno quello che ha dentro sino a quando non incontrerà gli occhi del Kohen. I Chakhamim (‘Arakhin 16a) hanno individuato sette categorie di comportamenti che portano i nega’im: la maldicenza, lo spargimento di sangue, il falso giuramento, l’incesto, la superbia, il furto, l’avarizia. Da vari episodi nel Tanakh (Mosheh, Miriam, il re Uziah), che narrano di individui colpiti dalla tzara’at, possiamo rilevare che la causa scatenante dell’insorgere è l’immodestia. Se la colpa che porta la tzara’at è la superbia, la sua cura dovrà essere la mortificazione. Per questo è indispensabile l’incontro con il Kohen. Il Kohen è in base alla definizione del profeta Malakhì (2,7) un inviato di H. L’intima essenza della funzione sacerdotale è quella di essere al servizio di H., e tutte le sue predisposizioni sono conseguenza di questo assunto. Finché si rimane nell’ombra, non serve l’intervento del Kohen. Una casa buia può rimanere con i suoi nega’im per sempre. Chi rimane nell’ombra, non ha di che temere, perché non ha luci puntate su di lui. Quando un individuo gode delle luci della ribalta, tutti i suoi comportamenti e atteggiamenti vengono esaminati, e delle piccole storture, che sino a quel momento erano rimaste inosservate, vengono notate. Il re Shaul era famoso per la sua estrema modestia, e sino a che non era re, questa poteva essere considerata una dote, ma quando divenne re gli costò il trono, quando risparmiò il re ed il bestiame degli amaleciti, come gli disse il profeta Shemuel (1Sam. 15,24) “anche se sei piccolo ai tuoi occhi, tu sei il capo delle tribù d’Israele”. In un clima di purità e santità, la colpa e l’impurità emergono con più forza. Quando H. ci giudica a Rosh ha-shanah troviamo due tipi di giudizio, uno di carattere generale, l’altro individuale. Perché due differenti giudizi? Ogni gesto dovrebbe essere giudicato allo stesso modo! Evidentemente non è così: chi vive in una società di giusti non potrà essere giudicato come chi vive in un contesto popolato di malvagi. Chi vive in una società di giusti, non coglie il messaggio, e pecca verrà giudicato con maggiore rigore. Chi invece vive in una società iniqua e, nonostante questo, si comporta bene, verrà doppiamente premiato. La presenza del Kohen con le sue virtù è importante pertanto perché eleva la società in cui vive. Riceve una serie di benefici, ma porta Torah e benedizione a chi lo frequenta. Quando questo non avviene, e non c’è la frequentazione costante, l’incontro con il Kohen è ben più traumatico, come descritto nella parashah.