Venerdì 10 gennaio 2025
1) L’origine biblica
Il 10 di Tevet fa parte dei digiuni stabiliti al tempo della distruzione del Tempio di Gerusalemme. Ricorda in maniera specifica il giorno dell’anno 588 A.e.v. in cuiNabuccodonosor iniziò l’assedio intorno a Gerusalemme. Il digiuno inizia all’alba e termina all’uscita delle tre stelle. Il 10 Tevet è un giorno feriale e non festivo: pertanto non termina alla stessa ora in cui terminerebbe lo shabbat se cadesse in quel giorno dell’anno. Infatti il concetto di prolungare la festa “aggiungendo qualche minuto dal giorno feriale al giorno festivo” per i digiuni si applica solo a Yom Kippur.
Tutti i digiuni hanno la funzione di indurre alla Teshuvà (il pentimento e il ritorno al Signore) e alla riflessione su quelle che sono state le motivazioni che hanno causato l’evento tragico che portò alla distruzione del Tempio. Se ogni momento è opportuno per fare Teshuvà, i giorni in cui tutta la Comunità si unisce per riflettere e fare Teshuvà sonopiù adatti. La collettività ha una funzione trainante nei confronti del singolo e sappiamo come, al di là delle colpe individuali, per l’ebraismo, esiste una responsabilità e una colpa collettiva: ognuno fa la confessione dei peccati commessi al plurale (Abbiamo peccato, abbiamo tradito e non al singolare Ho peccato, Ho tradito).
2) Dopo la Shoà: Yom Hakaddish
Dopo la Shoà il rabbinato centrale di Israele stabilì che il 10 Tevet dovesse essere anche “Yom hakaddish”, cioè il giorno in cui si dice il kaddish in memoria di tutti ideportati assassinati ei campi di sterminio di cui è ignota la data della morte.
Come mai i Maestri hanno scelto il 10 Tevet per ricordare proprio la morte dei deportati? Il 10 Tevet segna in pratica l’inizio del processo dell’esilio del popolo ebraico e la sua deportazione tra i Gentili, con i conseguenti eccidi e stermini di massa che si succedettero nel corso della storia. Indipendentemente dal fatto che si creda o meno al rapporto causa– effetto per quanto concerne la colpa e la punizione, non c’è dubbio che queste occasioni sono preziose per riflettere su dove andiamo e come vogliamo costruire il nostro futuro. Le polemiche e i contrasti, spesso puramente creati a regola d’arte, sono una delle cause più comuni del disgregamento di una collettività: il “come” superarli deve essere al centro delle riflessioni di questo giorno.
Qual è l’approccio da assumere nell’attuale situazione? Leggiamo il midrash:
a) Rabbi Jehudà e Rabbì Nekhemià: Rabbì Jehudà diceva: come quel re che aveva due figli, uno grande e uno piccolo, al piccolo diceva: cammina con me e al grande: vieni e precedimi. Così ad Abramo che era forte – dice “cammina davanti a me” (Genesi 17: 1), ma a Noè che era debole dice – “Noè camminava con Dio”. Rabbi Nekhemià ha detto: come quella persona amata da Dio che sprofondava in una spessa melma: il re gettò uno sguardo e lo vide. Gli disse: piuttosto che sprofondare nella melma, cammina con me, questo è il significato di quanto è scritto: “Noè camminava con Dio”. E a chi assomiglia Abramo? A quella persona amata dal re che vide il re camminare in vicoli oscuri: gettò uno sguardo e cominciò a fargli luce attraverso la finestra. Il re lo vide e gli disse: piuttosto che farmi luce attraverso una finestra, vieni e fammi luce davanti al mio cammino. Così il Santo, benedetto Egli sia, disse ad Abramo: piuttosto che farmi luce in Mesopotamia e nelle provincie vicine, vieni e fammi luce in Terra d’Israele.
b) Questo è simile a quanto è scritto (Genesi 48: 15): “(Giacobbe) benedisse Giuseppe e disse “Quel Dio di fronte alla quale camminarono i miei padri, quel Dio che è il mio pastore …”. Rabbi Jochannàn e Resh Laqìsh. Rabbi Johannàn diceva: come quel pastore che sta in piedi a osservare il suo gregge. Resh Laqìsh: come quel capo, che camminava e gli anziani lo precedevano. Secondo l’opinione di rabbi Johannàn. – siamo noi ad avere bisogno del suo onore, secondo Resh Laqìsh – è Lui ad avere bisogno del nostro onore. (Bereshith rabbà 8: 10)
La differenza linguistica su cui si basano i midrashim è chiara: Noè camminava con – et – Dio, Abramo e Giacobbe camminano davanti – lefanai – a Dio. Rabbi Jehudà segue anche qui l’idea espressa in altre parti del midràsh: egli afferma che se confrontiamo Noè con Abramo, il primo ha una levatura morale che in assoluto è minore di quella del secondo, mentre, secondo Rabbi Nekhemià, la levatura morale di una persona va giudicata in relazione all’ambiente sociale e alle condizioni in cui la personacresce e vive. Noè sprofondava nella melma perché la sua era una generazione di peccatori, un dato che aveva influenzato anche chi non aveva peccato; la generazione di Abramo non aveva ancora peccato consapevolmente, in quanto non aveva avuto una conoscenza diretta del Signore. Adamo aveva conosciuto il Signore, così pure i suoi discendenti diretti. I contemporanei di Abramo si trovavano nell’oscurità e Abramo iniziò a fare luce davanti al Signore, non in maniera manifesta, ma indirettamente attraverso una finestra. Abramo era nato in Mesopotamia e lì certamente lo conoscevano, ma dato che Nemo profeta in patria, non era in grado di influenzare gli altri. Il Signore gli dice quindi di abbandonare la sua terra e trasferirsi in una terra in cui avrebbe avuto la possibilità di crescere (“Renderò grande il tuo nome”): i pregiudizi delle persone che già lo conoscevano, lo avrebbero giudicato come una persona un po’ matta, dalle idee davvero strampalate.
La seconda interpretazione confronta l’espressione Noè camminava con Dio con l’altra che Giacobbe usa quando benedice i figli di Giuseppe: “Quel Dio di fronte alla quale camminarono i miei padri, quel Dio che è il mio pastore …” Secondo Rabbì Jochannàn siamo noi che per essere rispettati abbiamo bisogno del Signore. Resh Laqish sostiene invece che è il Signore ad avere bisogno del nostro onore: nella misura in cui Israele sarà onorato, lo sarà anche il suo nome e così potremo avere influenza sul resto del mondo.
Onore al Pastore o al gregge?
Il Pastore ha permesso che Israele si disperdesse nella Diaspora, mettendone in pericolo la sopravvivenza, ma ha consentito che potesse tornare alla propria terra forte diun’esperienza unica al mondo. Perché se anche gli altri popoli avessero soltanto sentito l’odore della Diaspora, la storia dell’uomo sarebbe stata diversa.
Le vicende del popolo ebraico e dell’uomo in generale possono essere interpretate in due modi diversi, ma entrambi veri in situazioni diverse: vi sono persone in grado divincere l’influenza dell’ambiente, mentre altre finiscono per capitolare. Se guardiamo alla storia del popolo ebraico, quindi ad Abramo e a Giacobbe, possiamo dire che mantenendo la propria identità, seppure a caro prezzo, Israele ha portato nel mondo il messaggio della Torà: questa azione è stata possibile perché abbiamo contato innanzi tutto sulle nostre forze, sulla nostra volontà di rimanere ebrei a tutti i costi, e poi sull’aiuto divino.
Onore al Pastore o al gregge? Il Pastore ha permesso che Israele si disperdesse nella Diaspora, mettendone in pericolo la sopravvivenza, ma consentendo così che potesse tornare alla propria terra forte di un’esperienza unica al mondo. Perché se anche gli altri popoli avessero soltanto sentito l’odore della Diaspora, la storia dell’uomo sarebbe stata diversa.
Haim Hazaz, scrittore e romanziere (Ucraina 1798 – Gerusalemme 1973) scrivein Havit ‘akhurà in uno stile meraviglioso pieno di paradossale ironia e di bellezza, il seguente discorso della protagonista Morushka: “Le nazioni hanno preso da Israele ogni qualità positiva, eccetto quello della Diaspora: non solo una lunga storia di declino e di cadute, ma di eroismo, non solo di degrado e disgrazia, ma di gloria e di merito, non solo di umiliazioni e schiavitù, ma di libertà grande e tremenda, che non ha paralleli nella storia dell’umanità. L’Esilio è una esperienza che ha la stessa importanza della Rivelazione del Sinai e dell’Insediamento nella Terra promessa…, senza questa esperienza Israele sarebbe come tutte le altre nazioni, come ogni altro popolo con il suo territorio e governo, chiuso nei suoi quattro cubiti della vita quotidiana … Ecco di cosa hanno bisogno le altre nazioni: dell’Esilio, né di rivoluzioni, internazionalismi o Società delle nazioni, ma di un esilio che li purifichi e insegni loro la conoscenza per poter vedere e capire cos’è il mondo, cos’è l’uomo, cos’è la vita l’uomo, cos’è l’amore delle creature, cosa sono è la verità, la giustizia, la rettitudine e il significato della vita…. Non c’è speranza per loro se non scenderanno nell’esilio… e si trascineranno da un esilio all’altro”.
Come scrive Haim Hazaz: non ci sarà salvezza per i gentili finché anche loro non assaporeranno i drammi dell’esilio e non scenderanno nella loro Diaspora. Il 10 Tevet è quindi un giorno offerto al Mondo per iniziare la riflessione e capire come superare i contrasti, un’opportunità da non perdere specialmente per le Comunità e per Israele: una riflessione che deve iniziare dentro ognuno di noi e deve poi sfociare in una Teshuvà collettiva.