Norman Lamm, Judaism and the Modern Attitude to Homosexuality, in “Encyclopaedia Judaica Yearbook 1974”, pp. 194-205; rist. in F. Rosner-J.D. Bleich, “Jewish Bioethics”, Sanhedrin Press, New York , 1979, pp. 197-218.
Rivoluzione sessuale a fatti, o soltanto a parole? Su questo si interroga il Rettore della Yeshiva University in un saggio di poco posteriore al ’68. “Gli omosessuali domandano di essere accettati nella società, e questa domanda ha assunto forme diverse: non essere condannati come criminali, non essere soggetti a sanzioni sociali, fino all’affermazione ardita per cui essi rappresenterebbero un modo di vita alternativo non meno legittimo dell’eterosessualità”. Citando i dati statistici del saggio di Kinsey, Sexual Behaviour in the Human Male del 1948, rispetto ai quali non riscontra notevoli variazioni al suo tempo, Lamm stima che negli anni ’70 gli omosessuali esclusivi fossero in America circa 10 milioni, pari al 5% della popolazione totale.
La repressione legale degli omosessuali non è un fatto recente né occasionale nella storia. L’imperatore Valentiniano ne decretava la condanna al rogo già nel lontano 390, riecheggiato meno di due secoli più tardi da Giustiniano. La rivoluzione, anche sotto questo profilo, cominciò soltanto con Napoleone, che dichiarò l’omosessualità consensuale un fatto legale in Francia. Ma la spinta permissiva si sarebbe verificata soprattutto nel Novecento con la diffusione delle teorie freudiane. Freud e i suoi discepoli diedero inizio alla moderna protesta contro i vincoli tradizionali, bollando come nevrosi il senso di colpa che segue alla trasgressione compiuta.
Molti psicanalisti presero a sopravvalutare l’importanza della sessualità nella vita umana, dando di fatto inizio ad una sorta di “messianesimo sessuale”. Wilhelm Reich, ad esempio, cerca di armonizzare Marx e Freud sostenendo che la rivoluzione sessuale è la macchina ultima dell’intera rivoluzione leninista in ogni aspetto della vita. La ribellione contro codici morali restrittivi è divenuta per essi non soltanto una via all’edonismo, ma una forma di misticismo sessuale per cui il piacere, lungi dal costituire un’esperienza puramente individuale, diviene a sua volta un mezzo di liberazione della società.
La Bibbia proibisce le relazioni omosessuali in modo categorico: “non giacerai con un altro uomo così come si giace con una donna: è un abominio” (Lev. 18,22). In Lev. 20,13 si commina la pena capitale per entrambi i trasgressori. La città di Sodoma legò il suo nome alle pratiche omosessuali in base all’episodio narrato in Gen. 19,5, allorché gli abitanti della città circondarono la casa di Lot e gli chiesero di concedere loro i suoi ospiti “sì che possiamo conoscerli”. La tradizione rabbinica considera il qadèsh proibito dalla Torah (Deut. 23,18) come una forma di prostituzione omosessuale sacra. Secondo il Midrash la generazione di Noè avrebbe meritato la pena del Diluvio per aver addirittura istituito dei contratti matrimoniali fra uomini (Lev. Rabbà 18,13): non è escluso che si alluda a pratiche simili storicamente attestate nella Roma di Nerone e di Adriano.
Le fonti talmudiche, peraltro, riferiscono pochissimi episodi di omosessualità fra Ebrei (TJ Sanhedrin 6,6). Nella Mishnah si discute se due ragazzi possono dormire sotto la stessa coperta per il timore che vengano tentati sessualmente, ma l’opinione prevalente fra i Maestri è di permetterlo, proprio perché l’omosessualità si manifestava assai di rado (Kiddushin 4,14; 82a). La Halakhah ritiene che il bando dell’omosessualità riguardi anche i Noachidi (Sanhedrin 58a; Maimonide, Hil. Melakhim 9,5-6, con cui concorda la maggioranza dei Decisori).
Perché la Torah proibisce l’omosessualità? Tenendo presente che il divieto sussiste indipendentemente dalle ragioni che ci sforziamo di attribuirgli, possiamo distinguere nelle fonti le motivazioni seguenti. 1) Dal momento che lo scopo fondamentale della sessualità consiste nella procreazione, l’omosessualità è proibita in quanto frustrazione di tale finalità a priori (Sefer ha-Chinnukh, n. 209); 2) La pratica omosessuale è considerata distruttrice di quel fondamento sociale e morale della vita ebraica che è la struttura familiare (Tosafòt e Rosh a Ned. 51a, Sa’adyah Gaon, Emunòt we-De’ot 3,1); 3) L’omosessualità travisa l’anatomia degli individui, chiaramente finalizzata all’unione eterosessuale, e con essa l’assetto stesso della Creazione (Torah Temimah a Lev. 18,22). Lamm conclude che aldilà di qualsiasi teologizzazione la parola abominio adoperata nella Torah non necessita di ulteriori chiarimenti: l’atto omosessuale è disgustoso e si squalifica da solo in quanto tale.
Non è mai stato dimostrato che l’omosessualità sia un fatto costituzionale o genetico dell’individuo. Contrariamente alla teoria freudiana della bisessualità biologica, oggi si è inclini a considerare il fenomeno in molti casi come il prodotto di una particolare condizione psicologica dell’adolescente nei rapporti con i suoi genitori. Sul piano halakhico, questo approccio consente di considerare l’omosessualità (o meglio la condotta che ne deriva, la pederastia) come un comportamento proibito da affrontare tuttavia con compassione, come accade per esempio per il suicidio. “Tecnicamente, il suicidio è una violazione della Torah per cui la Halakhah nega ogni onore funebre a chi lo commette, ma di fatto, nel corso del tempo, la tendenza è stata di rimuovere lo stigma a carico del suicida sulla base di un disturbo mentale”.
Samuel H. Dresner, Homosexuality and the Order of Creation, in “Judaism”, n. 159,40,3 (1991), pp. 309-321.
Il tema dell’omosessualità in quanto violazione dell’ordine della Creazione è ripreso dal Prof. Dresner, docente di Filosofia Ebraica al Jewish Theological Seminary di New York, il Collegio Rabbinico dei Conservatives. Egli osserva che nella Torah il nome Adàm (“essere umano”) è attribuito all’uomo e alla donna presi insieme e non separatamente (Gen. 5,2). La berakhah “Benedetto Tu S. …, Creatore dell’Uomo (Yotzèr ha-Adàm)” si recita non per celebrare la nascita, come ci si aspetterebbe, ma durante il matrimonio, allorché la persona umana diviene adàm nel pieno senso del termine.
Noè e i suoi figli sono a loro volta descritti mentre entrano ed escono dall’Arca in compagnia delle rispettive mogli (6,18; 7,7 e 13; 16,18): allorché gli esseri umani sono chiamati a ripopolare il mondo, non sono semplicemente designati come un gruppo di uomini e donne, bensì come famiglie. A tal punto questo concetto è incorporato nel racconto del Diluvio che “tutti gli animali… uscirono dall’Arca per famiglie” (8,19). Si ripete il modello di Adamo ed Eva nel Giardino dell’Eden. Il messaggio è chiaro: la società umana si intende composta di famiglie.
Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe e Rachele, non fanno che riproporre a loro volta il modello della Prima Coppia. “Con il paradigma patriarca-matriarca, la Bibbia stabilisce che la coppia umana realizza l’ordine della creazione ed è l’archetipo per tutte le generazioni… Sono l’istituzione del matrimonio e le caratteristiche della famiglia che ne conseguono (casa, stabilità, fedeltà e reciprocità) a diventare il tesoro nazionale del popolo ebraico, il baluardo della loro società…”
Sia i Greci che gli Ebrei sono in possesso di miti che spiegano l’amore come la ricostituzione di una unità perduta fra due creature. Ma mentre nel Simposio di Platone si parla di creature originariamente doppie, con due teste, due corpi, ecc. in cui l’androgino va alla ricerca del sesso opposto, mentre coloro che erano dello stesso sesso si cercano a vicenda, nello Zohar (III 4b) la creatura umana originaria era una singola persona bifronte. Lo stato primordiale era qui soltanto androgino, il che respinge l’opzione omosessuale; in secondo luogo, la ricostituzione dell’unità originaria non è qui semplicemente l’attrazione cieca per un altro corpo, ma l’unione solenne di marito e moglie: “La Presenza Divina dimora solo sull’uomo sposato, perché l’uomo non sposato è solo un mezzo uomo, e la Presenza Divina non dimora su ciò che è imperfetto”.
Nathaniel S. Lehrman, Homosexuality: a political mask for promiscuity: a psychiatrist reviews the data, in “Tradition” n. 34,1 (2000), pp. 44-62.
Psichiatra a Brooklyn, da molti anni membro di un Tempio Riformato, il Dr. Lehrman analizza l’omosessualità essenzialmente come un fenomeno politico e nota che “un conflitto fondamentale esiste fra l’insistenza sulla fedeltà sessuale posta al centro dell’Ebraismo da un lato e la libertà, o più esattamente la promiscuità sessuale al cuore del movimento omosessuale dall’altro. È peraltro sorprendente come molti Ebrei – per lo più non Ortodossi, che condividono la visione liberale e libertaria della società che ci circonda – accettino i principi del movimento omosessuale e dell’establishment psichiatrico che lo sostiene”.
Secondo l’opinione di Lehrman, le false credenze che fondano l’accettazione degli omosessuali da parte di molti Ebrei includono: 1) La tendenza a credere nell’esistenza di un “orientamento omosessuale”: si tratta piuttosto del prodotto di una falsa mistica che tende oggi a rivestire i sentimenti degli adolescenti in fatto di identità sessuale, per lo più acerbi e facilmente influenzabili se erroneamente sopravvalutati o mal guidati; 2) La tendenza a considerare il bando dell’omosessualità come una tradizione obsoleta; 3) La tendenza a considerare l’omosessualità come un fenomeno innato e irreversibile, di cui il soggetto non è responsabile: è vero invece, a riprova del contrario, che “nel mondo animale, dove il comportamento sessuale è indotto esclusivamente dall’attrazione reciproca di maschio e femmina, l’attività omosessuale è sconosciuta”. 4) Infine, si distingue fra omosessualità per sé, non criticabile, e promiscuità omosessuale e si crede comunemente che la regolarizzazione dell’omosessualità tramite l’istituzione del “matrimonio” fra persone dello stesso sesso metterà fine alla promiscuità.
È questa la visione alla base di alcune recenti delibere della Conferenza dei Rabbini Riformati Americani (C.C.A.R.) con cui Lehrman polemizza. “Tale credenza – scrive – ignora che la libertà sessuale rimane tuttora un argomento di centrale importanza per i gay… La “fedeltà” di alcune coppie dello stesso sesso che, nonostante la sua estrema rarità, è spesso adoperata per giustificare l’accettazione dell’omosessualità, non può essere la base per rovesciare l’intera tradizione dell’Ebraismo in materia sessuale, e specialmente l’interpretazione rabbinica del Cantico dei Cantici che paragona l’amore fedele e sacro fra marito e moglie all’amore di Israele e Dio”.
Rav Alberto Moshè Somekh
http://www.hakeillah.com/1_05_12.htm
Ringraziamo Hakeillah per la consueta gentile concessione.