La derashà pronunciata da D.B. nel giorno del suo Bat mitzvà. Mazal Tov!
Nella Torà non si parla da nessuna parte della data Bar Mizvà o Bat Mitzvà cioè, del momento preciso in cui un ragazzo o una ragazza, arriva alla maggiorità religiosa, l’età della piena responsabilità sulle proprie azioni.
Ne parla invece la Ghemarà in Nidà (mem-hei) dove dice che i voti di una ragazza di dodici anni e un giorno sono validi e i voti di un ragazzo di tredici anni e un giorno sono validi. Rashi commenta che fino a quell’età essi sono perciò dei “ketanim”, minori legalmente. La Ghemarà in Yomà (peh-hei) indica inoltre che una ragazza deve iniziare a digiunare per Yom Kippur dall’età di dodici anni e un ragazzo dall’età di tredici. Prima di quel momento è obbligo dei genitori allenarli al digiuno.
Sorge spontaneo allora domandarsi perché il raggiungimento della piena responsabilità delle mitzvot debba portarci proprio a dei festeggiamenti. Non dovrebbe portare ad altro? Alla meditazione, concentrazione, solennità? Perché proprio una festa di Bar Mizva o bat Mizva?
Possiamo cercare la risposta nella Ghemarà, in Kiddushin (lamed-alef), dove si riporta di Rabbi Yosef, che era cieco e che si dichiarava pronto a organizzare una grande festa se qualcuno avesse dimostrato a tutti i rabbini che anche una persona cieca è obbligata a osservare le mizvot. Cosa c’è dietro a questa sua offerta? I saggi del Talmud, dopo considerevoli dibattiti concludono che una persona che osserva una mizvà anche se non ha l’obbligo di farlo, non è meritevole quanto una persona che rispetta la mizvà e ha l’obbligo di farlo.
Di solito pensiamo esattamente il contrario, cioè che una persona che non è obbligata a fare una mizvà e la fa, meriti una ricompensa più grande di una persona che la fa con l’obbligo, ma i chachamim invece tengono conto del fatto che una persona che è obbligata a fare qualcosa deve superare e vincere l’istinto negativo, lo yezer harà, che cerca di indurlo a non farla; per questo merita una ricompensa più grande di una persona senza obbligo.
Rabbi Yosef, come uomo cieco, era esente dall’osservanza delle mitzvot, ma se qualcuno fosse stato capace di dimostrare il contrario, egli avrebbe offerto una festa perché da allora in poi l’osservanza delle mitzvot gli avrebbe fatto guadagnare un merito più grande.
Sulla base di questa discussione talmudica Rabbi Shlomo Luria stabilisce che il pasto festivo per un Bar mitzvà, è esso stesso una mizvà, (seudat mizvà) perché il ragazzo che ha pieno obbligo delle mizvot è considerato ad un livello superiore di chi osserva pur non avendo l’obbligo.
Rav Ovadia Yosef estende quanto detto anche al Bat mitzva e afferma che anche una ragazza che raggiunge l’età di dodici anni debba essere festeggiata per il suo ingresso nel mondo delle mitzvot con una festa gioiosa e di ringramento a D-o. Essa infatti diventa obbligata da quel momento ad adempiere a tutte le mizvot della donna e acquista lo status di chi “ha l’obbligo di fare” le mizvot.
Per questo ringrazio oggi tutti voi che siete intervenuti a festeggiarmi, i miei nonni, i miei genitori e rav Colombo che hanno organizzato questo minian di shachrit in mio onore.
Ma prima di lasciarvi vorrei collegarmi alla parsahà del prossimo Shabbat, Vayshlach, dove si parla del divieto di mangiare il nervo sciatico, il “ghid ha-nashe”.
Il nervo sciatico e’ privo di sapore. Come mai allora Hashem ci ha vietato di mangiarlo? Tra l’altro, nella Kasherut, il concetto del sapore ha la sua importanza: il divieto di mischiare carne e latte, ad esempio basa tutto sul miscuglio dei sapori; la Halacha’ stabilisce addirittura che cucinare il nervo sciatico assieme ad una qualsiasi pietanza non rende taref la pietanza!
Allora perche’ questo divieto? Secondo Rashi, in un commento del Talmud (Baba Batra, tet-zain), la figura che lotto’ con Giacobbe era un ministro del fratello Esau’, che rappresentava lo Yetzer HaRa’; cosi’ come, il ghid ha-nashè, non ha alcun sapore, allo stesso modo non dobbiamo aspettarci alcun piacere dallo Yetzer HaRa’.
Grazie per l’attenzione.