Ugo Volli – Cartoline da Eurabia 25.12.2017
Cari amici, non prendetela per una provocazione, non lo è e non vuole esserla. Ma oggi, il giorno di Natale, voglio parlarvi di cultura ebraica. Non solo perché quel bambino che forse nacque in questo giorno e forse no (http://www.lastampa.it/2017/12/23/societa/chi-ha-deciso-che-natale-il-dicembre-KnzNgzfprBhGjURczehbYI/pagina.html) era ebreo e al suo ebraismo ci teneva, ma soprattutto perché in questi giorni in cui i simboli cristiani (o forse quelli della religione dei consumi) sono dappertutto, anche gli ebrei sono naturalmente spinti a pensare a se stessi e alla loro identità. Pochi giorni fa si è conclusa la festa di Hanukkà, che è per l’ebraismo proprio la celebrazione della difesa del culto (e della cultura). Anche questa è una ragione per parlarne.
Parlando di cultura ebraica di solito oggi si tende a pensare a Kafka e Chagall, Einstein e Freud, Benjamin e Morandi, e così via, insomma ai principali artisti e intellettuali ebrei degli ultimi due secoli. Sarebbe impossibile e insensato negare l’importanza della loro opera e anche in diversi sensi il suo carattere ebraico, i legami che essi hanno col loro popolo. Ma si tratta di una fioritura che è certamente periferica rispetto all’identità storica dell’ebraismo e al suo baricentro. Il nucleo autentico di ogni cultura sono i suoi classici, che si tratti d’arte, di letteratura, di filosofia, di diritto. Su di essi si misura ogni nuova produzione; l’innovazione li sfida, li modifica, li riprende, prova magari ad annullarli, ma alla fine, quando ne è in grado, si unisce ad essi.
Per la cultura ebraica i più grandi classici sono due: la Torah scritta, o Tanakh (più o meno quello che i cristiani chiamano “Antico Testamento”, anche se con l’esclusione di qualche opera, un ordine diverso e qualche differenza testuale) e la “Torah orale”, innanzitutto il Talmud. Mentre il Tanakh è sempre stato accessibile e oggi è disponibile in ottime traduzioni, anche interlineari, il Talmud era sostanzialmente indisponibile ai lettori italiani fino all’anno scorso, quando è iniziata l’edizione di una grande traduzione curata dal rabbinato italiano. Nei giorni scorsi è uscito il secondo volume (in due tomi) di questa opera grandissima anche per dimensioni, il trattato di Berakhot (che significa “benedizioni”, ma si occupa soprattutto della liturgia quotidiana. Esso è particolarmente importante perché è il primo dell’ordine tradizionale e uno dei più rilevanti sul piano teorico e intellettuale. Se qualcuno vuole cercare di capire qualcosa di cultura ebraica, dopo aver letto la Torah scritta, deve certamente partire da questa traduzione, accuratamente annotata.
Ne resterà senza dubbio meravigliato e un po’ deluso. Prendiamo le prime righe. Il testo (che viene dal testo più antico (II-IV secolo) che il Talmud commenta, la “Mishnà”, dice così: “DA QUANDO SI LEGGE LO SHEMÀ‘ DELLA SERA? DALL’ORA IN CUI I KOHANÌM ENTRANO A MANGIARE LA LORO TERUMÀ FINO ALLA FINE DELLA PRIMA VEGLIA; QUESTE SONO LE PAROLE DI RABBÌ ELIÈZER. E I SAGGI DICONO: FINO A MEZZANOTTE. RABBÀN GAMLIÈL DICE: FINO ALLO SPUNTARE DELL’ALBA. CI FU UN EPISODIO IN CUI I SUOI FIGLI (DI RABBÀN GAMLIÈL) VENNERO DA UN BANCHETTO; GLI DISSERO: NON ABBIAMO DETTO LO SHEMÀ‘. DISSE LORO RABBÀN GAMLIÈL: SE NON È ANCORA SPUNTATA L’ALBA, SIETE ANCORA IN OBBLIGO DI DIRE LO SHEMÀ‘ DELLA SERA.” E’ del tutto escluso che qualcuno capisca di che si parla se non sa che lo shemà è un certo testo (non proprio una preghiera, piuttosto una dichiarazione di fede costruita giustapponendo tre brani della Torà che gli ebrei hanno l’obbligo di recitare mattina e sera, oltre che nelle principali preghiere giornaliere; se non si identificano i kohanìm come i sacerdoti e la terumà come il cibo tratto dai sacrifici che solo loro hanno diritto di mangiare, se non si sa quando è la “prima veglia”, se non si conoscono i due rabbini citati.
A tutte queste informazioni provvedono le note, ma certo senza una certa conoscenza della vita ebraica il testo risulta molto opaca (ma d’altro canto, chi potrebbe leggere l’”Iliade” senza conoscere un po’ di mitologia greca o la “Divina Commedia” senza un minimo – non tanto minimo, in verità – di teologia cristiana e di politica italiana del Medioevo). Ma il punto che può provocare sconcerto e delusione è un altro. Com’è che il Talmud inizia da un tema così evidentemente arido e marginale come l’orario di una preghiera? Com’è che non si occupa della definizione del divino, dello scopo della vita, del senso della religione, del giusto del vero e del bello e neppure spiega che cosa sia lo shemà e perché si debba recitare, non dice neanche sia obbligatorio farlo la sera, ma inizia subito a discutere dell’orario entro cui è ammesso farlo. E perché, invece di dircelo, fa discutere due rabbini (molto importanti, bisogna ammetterlo, ma nel corso del Talmud se ne incontrano centinaia, ciascuno con le sue opinioni diverse dagli altri) e quegli indefiniti Saggi, che se lo fossero davvero, dovrebbero certamente aver ragione?
Aggiungeteci che il testo va tutto avanti così, anzi “peggiora”, perché alla questione di questo orario se ne intersecano delle altre che apparentemente non c’entrano, i termini possibili non sono solo i tre citati ma se ne aggiungono degli altri (come in questo esempio “l’ora in cui il povero mangia il suo pasto”), si intersecano questioni di precedenza fra le occasioni liturgiche, eccezioni, aneddoti, i dibattiti si fanno accaniti e non sempre hanno una conclusione univoca. Sono messe a confronto opinioni di rabbini vissuti a distanza di diversi secoli, in una sorta di dibattito virtuale, in cui molto lavoro intellettuale è impiegato per capire chi fra loro dice esattamente che cosa e perché.
Al Talmud si aggiungono i commenti, i commenti dei commenti, che discutono ancora ogni dettaglio. La pagina del Talmud mette assieme tutti questi livelli in una sorta di ipertesto tipografico, di profondità secolare, che bisogna saper leggere e interpretare. E anche le compilazioni legali che fanno oggi testo sulla pratica ebraica più delle conclusioni del Talmud, che in certi casi sono state modificate e precisate. Insomma, immergersi in questo testo fondamentale per l’ebraismo somiglia a entrare in un labirinto, del tutto diverso dalle formulazioni apodittiche e gerarchiche della filosofia o del diritto occidentale di origine greca, per non parlare della teologia cristiana. Perché farlo? Perché questo labirinto, o se volete piuttosto questo dialogo continuo, questa discussione infinita, questo richiamo in ogni momento, per ogni minuzia dell’intero capitale spirituale e intellettuale di millenni, è la matrice generativa dell’anima ebraica. Tutto ha senso, in ogni dettaglio è in gioco il significato della vita e dunque il divino, anzi il rapporto col divino si gioca innanzitutto nella consapevole e fedele esecuzione dei dettagli, non nelle roboanti affermazioni di principio o nelle teorie filosofiche più astratte. Ma tutto questo non è una notte mistica attraversata dai lampi delle profezie, è un campo di analisi razionale, in cui diverse opinioni possono e debbono confrontarsi e la scelta viene fatta dalla maggioranza dei saggi di una generazione, in una sorta di permanente parlamento spirituale che rispetta immensamente i precedenti ma si assume la responsabilità di decidere.
Come qualcuno ha detto del sabato: non sono stati tanto gli ebrei a tenere in vita con mille sacrifici questa Torà orale, che continua fino a oggi nei dibattiti contemporanei, mille e quattrocento anni dopo la chiusura del Talmud. Ancor di più è stato il Talmud e l’esercizio della Torà orale a tenere in vita il popolo ebraico. Per questo i dominatori che per molti secoli hanno cercato di eliminare se non fisicamente almeno moralmente e culturalmente il popolo ebraico (la Cristianità e l’Islam e il comunismo e il nazismo e la filosofia da Voltaire a Kant fino a Heidegger…) anche quando non hanno bruciato i corpi degli ebrei hanno organizzato roghi del Talmud, hanno cercato di distruggerlo e proibirlo. E per questo gli ebrei hanno continuato a ricopiarlo, a studiarlo, a impararne a memoria le migliaia di pagine, a insegnarlo ai loro figli.
Dal Talmud, dal suo laconico linguaggio, dalla sua logica complessa ma implacabile, dal gusto per i dettagli e gli aneddoti, dall’appassionata ricerca per precisare le posizioni, dal suo infinito dibattito intellettuale senza compromessi si può essere respinti e delusi. Senza dubbio lo sarà chi è abituato alle grandi visioni della filosofia e della teologia, alle dimostrazioni dell’esistenza di Dio e alle meditazioni metafisiche, dal questionare sull’essere e sull’ ”arché” della filosofia occidentale. Ma ci si può anche innamorare, si può partecipare con emozione ai dibattiti virtuali di mille e settecento anni fa. Non a caso lo studio classico di questo testo si fa in coppia, discutendo e rinnovando gli argomenti e le teorie.
Ma anche per gli innamorati, anche con l’appoggio di un’ottima traduzione commentata come quella pubblicata da Giuntina, è difficile se non impossibile procedere in questo amore intellettuale da soli. Bisogna comunque darsi del tempo, molto tempo. Bisogna studiare, lavorare molto a lungo, non pensare di leggere. E’ necessario avere le premesse, conoscere almeno un po’ la Torà scritta ed essere disposti a consultarla ogni volta che vi si allude. Sapere qualcosa dell’ebraismo, delle pratiche di vita, della liturgia. E’ uno studio pensato innanzitutto per gli ebrei, molto più difficile per chi non ha confidenza con la forma di vita che il Talmud analizza e per certi versi forma.
Bisognerebbe avere un maestro per aiutare in tutto questo. I maestri del Talmud, formati su questo e insegnanti di questo, sono i rabbini. Che sono pochi, ma straordinariamente disponibili a insegnare ai loro correligionari. La vita della cultura ebraica è questa e negli ultimi anni ha avuto anche in Italia una grande fioritura. Per coloro che non possono seguire il loro insegnamento, la tecnologia informatica ha permesso di costruire nuove biblioteche audiovisive liberamente consultabili. Ce n’è molte su Internet, su https://www.sefaria.org/texts trovate a portata di cellulare l’intero Tanakh, tutto il Talmud, la liturgia e tantissimi altri testi tradotti in inglese; voglio limitarmi qui a indicarne la più ricca in italiano, cioè il canale youtube del rabbinato di Milano (https://www.youtube.com/user/RabbinatoMilano), meritoriamente curato da David Piazza. Vi sono centinaia e centinaia di lezioni, organizzate in corsi che vengono riprese da momenti di insegnamento reali. Per capire qualche cosa, però, non è opportuno pescare a caso qualche conferenza per via dell’argomento. Bisogna invece seguire un corso, dall’inizio, pazientemente, tenendo sottomano il testo. Vi sono diversi corsi che studiano proprio il trattato di cui vi ho parlato, Berakhot. Sono decine e anche centinaia di ore, in cui si legge, si traduce, si interpreta pazientemente il testo, si decifrano i riferimenti storici, biblici, teorici. Per i talmudisti veri sono a livello elementare, ma per un innamorato o un curioso che voglia capire davvero la cultura ebraica sono decisamente dense.
Insomma, per l’ebraismo come per qualunque argomento serio, la cultura non è consumo, ammirazione distrattamente estetica di capolavori del passato, simpatia più o meno sentimentale. E’ studio, sforzo intellettuale, costanza, attenzione ai dettagli, riconoscimento della competenza di chi ne sa di più, accettazione dunque di un insegnamento. E’ a questo pensiero, a questa indicazione che ci viene dalla pratica costante delle generazioni ebraiche che voglio dedicare questo mio articolo in un momento che la nostra società festeggia con la quiete delle ferie, ma che c’entra poco con l’ebraismo. L’ebreo che vuol essere ciò che è, l’amico che desidera davvero capirci ha una sola strada maestra: studi, e studiando faccia vivere una tradizione più che millenaria.
PS: Per coloro che volessero un’introduzione vera e non solo questa paginetta, per conoscere come è fatto il Talmud, quando fu scritto, quali sono i suoi contenuti, mi permetto di darvi qualche indicazione bibliografica in italiano, oltre ai due volumi tradotti da Giuntina: innanzitutto l’inquadramento generale della Storia del pensiero ebraico dell’età antica di Rav Giuseppe Laras (Giuntina). Poi Stemberger, G. Il Talmud , EDB Bologna, Adin Steinsalz Che cos’è il Talmud , Giuntina; Marc Alain Ouaknin, Invito al Talmud, Bollati Boringhieri e dello stesso autore Il libro bruciato , ECIG. Per la dimensione storica suggerisco Freedman, H. Storia del Talmud. Proibito, censurato e bruciato. Il libro che non è stato possibile cancellare, Bollati Boringhieri. E per l’analisi di un episodio, approfondita e dal mio punto di vista discutibile (come ogni interpretazione talmudica) ma affascinante Bali, Franzinetti, Della Torre, Il forno di Akhnai, Giuntina.