Estratto da “Nathan e l’invenzione di Roma” di Fabio Martini, edito da Marsilio
Da oggi è in libreria “Nathan e l’invenzione di Roma. Il sindaco che cambiò la città eterna”, un libro di Fabio Martini per Marsilio. A pochi mesi dall’elezione del nuovo sindaco, Fabio Martini, raffinato cronista ed editorialista della Stampa, ripercorre l’esperienza di Ernesto Nathan, che fu primo cittadino oltre un secolo fa. Con Nathan, Roma lasciò l’Ottocento e in pochi anni fu trasformata in una moderna città novecentesca. Il sindaco aveva composto una giunta con sette liberali, tre socialisti, due radicali e due repubblicani. Niente di più eterogeneo. Ma che cosa univa gli assessori? Che erano fuoriclasse, e spesso i fuoriclasse vanno d’accordo oltre le ideologie. Stiamo parlando di Ivanoe Bonomi, Meuccio Ruini, Giovanni Montemartini, gente che farà la storia d’Italia.
Qui sotto un’anticipazione del volume di Martini, che potrebbe persino dare qualche buona idea a chi il prossimo autunno sarà eletto alla guida del Campidoglio.
È passato alla storia come il più grande sindaco di Roma e uno dei segreti che ha consentito a Ernesto Nathan di essere ricordato con una definizione così impegnativa sta nella scelta felice dei suoi principali collaboratori: assessori e tecnici preparati, che studiano prima di passare all’azione, in diversi casi intellettuali “disorganici”. Non un “governo di tecnici” asettici, ma invece di competenti, animati da una forte passione politica. Tanto è vero che, prima o poi, quasi tutti non avranno problemi a interrompere la loro collaborazione con la Giunta Nathan, che governò Roma dal 1907 al 1913. Separazioni, ma senza lasciare lo strascico di risentimenti o di polemiche postume. Lezioni di stile: quel che resta di loro sono le realizzazioni e il pensiero che le precede (….)
Nei primi quindici anni del ventesimo secolo nella squallida e insidiosissima campagna romana, martoriata dalla malaria e dall’assenteismo dei proprietari, prende forma uno dei fenomeni più originali e toccanti che abbia visto impegnati un gruppo di intellettuali e scienziati in tutto il Novecento italiano. Medici, scrittori, pedagogisti – mossi da un sentimento disinteressato e da umanitarismo laico – dedicano una parte della propria esistenza all’educazione delle plebi contadine, spesso incapaci di difendersi dalla malaria per pura ignoranza. Un soccorso che inizialmente si sviluppa in modo spontaneo, seguendo la generosità dei pionieri. Furono i primi di loro a generare una catena laica via via sempre più estesa: l’igienista Angelo Celli e la moglie Anna riescono a creare un «contagio» che finirà per approdare in Campidoglio, incrociando l’amministrazione Nathan, che incoraggerà non solo finanziariamente questi appassionati precursori (….). Di quel paesaggio Sibilla Aleramo ha lasciato affreschi icastici, descrivendo così i poveri braccianti: «Capanne di paglia come cumuli di strame. Vivono in capanne, senza pavimento, sembrano anche loro di fango, guardano attoniti, bimbi e vecchi» (…).
Per istruire quei poveri bambini si utilizzano vagoni ferroviari fuori uso e soprattutto la cattedra-armadio trasportabile, che una volta collocata in qualche spiazzo dell’Agro, permetteva di svolgere la lezione all’aperto con tanto di lavagna, carte geografiche, pallottoliere. Espedienti che avevano un precedente di tutt’altra natura: gli altari portatili utilizzati in altre zone dell’Agro per distribuire i conforti religiosi dove non esistevano edifici e tantomeno una chiesa. Esperienze con tratti epici, memorabili per i promotori e per tutti coloro che furono coinvolti, a cominciare dai piccoli alunni (…).
Negli anni che precedono l’amministrazione guidata da Ernesto Nathan, Maria Montessori era impegnata in un’impresa di emancipazione personale e intellettuale che avrebbe letteralmente fatto scuola. Marchigiana di Chiaravalle, figlia di un funzionario statale e di una maestra, di carattere imperioso, Maria sin da ragazzina era stata una delle primissime italiane a laurearsi (nel 1896, in medicina), ma si era ritrovata in un universo sociale e lavorativo che non contemplava la presenza attiva e il protagonismo di donne evolute e avendo incarichi universitari temporanei, è una precaria ante litteram che vive del suo lavoro.
Alla fine del 1906 Edoardo Talamo, direttore dell’Istituto romano di beni stabili, nel turbolento quartiere di San Lorenzo vuole creare un sistema di asili di caseggiato, nei quali concentrare i bambini più piccoli in attesa che i fratelli più grandi tornino da scuola. E offre a Maria Montessori l’incarico di gestire queste nuove strutture. Donna anticonformista che vuole sperimentare i propri principi innovativi senza i condizionamenti dei suoi datori di lavoro, Maria una mattina si trova sbarrata la strada delle sue aule (….). Sarebbe un impossibile esercizio di storia controfattuale immaginare cosa sarebbe accaduto se a quel punto il Comune di Roma non avesse accolto tra le scuole municipali la Montessori, ma di sicuro è anche grazie all’incoraggiamento di Ernesto Nathan che quel metodo pedagogico così nuovo potrà svilupparsi e ispirare migliaia di scuole in tutto il mondo. Lasciando una traccia nella vita di milioni di persone (…).
Pochi giorni dopo la vittoria elettorale del novembre 1907, Ernesto Nathan comunica la lista dei quattordici assessori: sette sono liberali, tre socialisti, due radicali e due repubblicani. E quanto alle professioni, sei sono professori (….). Di «Servizi tecnologici» si occupa Giovanni Montemartini, autore del più importante studio svolto in Italia sulle municipalizzazioni e che sarà definito dall’economista Maffeo Pantaleoni «il più equilibrato e colto socialista che in Italia vi è stato». Per elaborare e scrivere materialmente il nuovo Piano regolatore, Nathan chiede la collaborazione di un ingegnere del Genio civile del tutto estraneo all’ambiente romano: Edmondo Sanjust di Teulada.
Come assessore al bilancio, il sindaco chiama Ivanoe Bonomi. Personalità di spessore, assumerà in seguito un ruolo di primissimo piano sulla scena politica nazionale: presidente del Consiglio a cavallo tra 1921 e 1922, dopo l’8 settembre 1943 il Comitato di liberazione nazionale lo designerà all’unanimità come successore del maresciallo Pietro Badoglio. Chi darà il proprio costante contributo critico dagli scanni del Consiglio comunale è invece Meuccio Ruini, che alla caduta del regime fascista ritrovò Ivanoe Bonomi: i due fondarono il partito della Democrazia del lavoro. Ruini fu ripetutamente ministro, presidente della decisiva Commissione dei 75, incaricata di redigere la Costituzione nel 1953 verrà eletto presidente del Senato. L’ennesima prova che quella raccolta attorno a sé da Ernesto Nathan era stata davvero una squadra di fuoriclasse.