Utilizzando un sistema crittografico di sua invenzione all’interno della notazione musicale, nel 1985 una musicista riuscì a trasmettere informazioni ad artisti e attivisti sovietici
Nel 1985 la sassofonista Merryl Goldberg si trovava su un aereo per Mosca, nell’allora Unione Sovietica (Urss), con tre colleghi musicisti della Boston Klezmer Conservatory Band. Aveva imballato con cura spartiti, ance e altri accessori per strumenti a fiato, insieme al sassofono soprano che avrebbe portato con se in Urss. In uno dei suoi quaderni pentagrammati per la notazione della musica Goldberg aveva però nascosto informazioni segrete.
Utilizzando un codice di sua invenzione, la donna aveva inserito nomi, indirizzi e altri dettagli di cui il gruppo avrebbe avuto bisogno per il viaggio, nascondendoli all’interno di composizioni scritte a mano che, a un occhio inesperto, apparivano come melodie trascritte sulle pagine del quaderno. Goldberg e i suoi colleghi volevano impedire ai funzionari sovietici di mettere le mani sulle informazioni legate alle persone che il gruppo aveva intenzione di incontrare, nè sulle attività che avevano in programma durante il viaggio. Goldberg e i suoi colleghi stava per incontrare l’“Orchestra fantasma”.
L’orchestra era costituita da un un collettivo di dissidenti che Goldberg descrive come un’amalgama di ebrei refusenik (ebrei a cui era vietato emigrare al di fuori dell’Urss), attivisti cristiani e osservatori di Helsinki, che avevano il compito di controllare che i sovietici rispettassero gli accordi di Helsinki del 1975. Il viaggio degli americani era finanziato e coordinato dall’organizzazione no-profit Action for Soviet Jewry (ora chiamata Action for Post-Soviet Jewry), che si occupa di fornire aiuti umanitari all’ex Unione Sovietica, in particolare assistenza agli ebrei sovietici emigrati in Israele e negli Stati Uniti.
Il viaggio dei musicisti
Per i musicisti americani e sovietici il viaggio rappresentava una rara opportunità per incontrarsi in Unione sovietica e suonare insieme. Per il gruppo di Golderbg, però, era anche l’occasione di far arrivare all’Orchestra fantasma informazioni sui piani umanitari, mentre il collettivo vedeva nell’incontro la possibilità di inviare degli aggiornamenti sul gruppo, tra cui i dati delle persone intenzionate a fuggire dall’Unione Sovietica.
Goldberg e i suoi colleghi, tutti ebrei, arrivarono a Mosca separatamente, in gruppi da due, per ridurre le probabilità di destare sospetti. Avevano ricevuto un addestramento su come sostenere un interrogatorio ed erano stato avvertiti del fatto che durante il viaggio sarebbero stati sorvegliati e avrebbero incontrato funzionari sovietici. Per prima cosa, però, Goldberg doveva far passare il suo taccuino ai controlli di frontiera.
“Quando siamo arrivati, siamo stati immediatamente separati per i controlli dei bagagli. Hanno addirittura aperto i Tampax. È stato pazzesco“, racconta Goldberg, che ha parlato del suo viaggio e del codice musicale in occasione di Rsa Conference, un ciclo di conferenze sulla sicurezza che si è tenuto a San Francisco lo scorso giugno. “Hanno controllato i miei spartiti, hanno aperto i quaderni e realizzato che dentro c’erano veramente dei brani. Se non sei un musicista, non puoi capire veramente cosa stai leggendo. Hanno analizzato tutto, pagina per pagina, e poi me l’hanno restituito“.
Goldberg racconta che, sebbene il codice avesse funzionato e al gruppo non fossero stati confiscati i quaderni, i funzionari sovietici avevano comunque interrogato tutti e quattro i viaggiatori sui loro programmi durante la permanenza in Urss. “Siamo stati portati in una stanza dove un tizio massiccio e corpulento sbatteva il pugno sul tavolo e ci urlava contro“, ricorda Goldberg, che ora insegna educazione musicale alla California State University di San Marcos.
Il codice di Goldberg
Dal momento che sono rappresentate da lettere che vanno dalla A alla G, le note musicali in inglese da sole non forniscono un alfabeto completo. Per creare il codice, Goldberg assegnò le lettere dell’alfabeto alle note della scala cromatica, una scala musicale di dodici semitoni, allo scopo di ampliare le sue possibilità di espressione. In alcuni casi, la musicista annotò tutto in chiave di violino (o chiave di Sol). In altri, ampliò il registro per poter codificare più lettere aggiungendo una chiave di basso per estendere la scala musicale. Questi dettagli e variazioni aggiungevano anche verosimiglianza alla musica codificata nei quaderni.
Per quanto riguarda i numeri, la Goldberg si limitò a scriverli tra le righe del pentagramma, dove a volte si trovano i simboli degli accordi. Aggiunse anche altre caratteristiche della composizione, come i ritmi (mezze note, quarti di nota, ottavi di nota, note intere), le tonalità, le indicazioni di tempo e quelle di articolazione come le legature di portamento e di valore. La maggior parte di questi elementi serviva a far sembrare la musica verosimile, ma alcuni fungevano da supplemento codificato alle lettere nascoste nelle note musicali. Di tanto in tanto Goldberg disegnava anche piccoli diagrammi che potevano essere scambiati per tabelle, per ricordarsi dove si trovava un luogo di incontro o le modalità di consegna di un determinato oggetto. In realtà, se qualcuno avesse provato realmente a suonare il codice riportato sugli spartiti, il risultato sarebbe stato più simile al suono di un gatto che cammina sui tasti del pianoforte che a una melodia .
“Ho scelto una nota a caso per cominciare e da lì ho creato l’alfabeto. Una volta che lo si conosce, diventa piuttosto facile usarlo. Ho insegnato il codice anche ai miei amici che erano in viaggio con me – racconta la Goldberg –. L’abbiamo usato per segnare gli indirizzi delle persone e altre informazioni che ci sarebbero servite per trovarli. Abbiamo codificato i dati di molti sul posto, in modo da avere le informazioni necessarie per farli emigrare, oltre a dettagli che speravamo potessero aiutare altre persone con le stesse intenzioni“.
Le tappe e l’espulsione
I musicisti statunitensi avevano fatto tappa a Mosca prima di dirigersi a Tbilisi. Nella capitale della Georgia e successivamente a Yerevan, la capitale dell’Armenia, riuscirono a incontrare i membri dell’Orchestra fantasma, molti dei quali parlavano un po’ di inglese, facendo conoscenza, suonando insieme e addirittura organizzando piccoli concerti improvvisati.
Durante gli otto giorni di viaggio, i musicisti furono costantemente pedinati da agenti sovietici e vennero ripetutamente fermati per essere interrogati. Goldberg racconta che i membri dell’Orchestra fantasma, che erano quotidianamente sottoposti a trattamenti simili, avevano dato a lei e ai suoi colleghi consigli e incoraggiamenti. Quando gli americani esprimevano il timore che la loro presenza potesse mettere in pericolo gli attivisti, i membri dell’orchestra sottolineavano con risolutezza l’importanza di trascorrere del tempo insieme. Alcuni degli attivisti, aggiunge tuttavia Goldberg, pagarono con l’arresto e con percosse quelle interazioni.
“La seconda sera, mentre suonavamo insieme, è arrivato il Kgb e ha chiuso tutto. Hanno staccato la corrente. La situazione era spaventosa – racconta Goldberg –. Quando suoniamo, però, nessuno può toglierci il senso di libertà e di potere. Suonare e comunicare con le persone attraverso la musica non ha eguali. Sono rimasta stupita dalla forza generata dalla musica; può essere molto confortante, ma trasmette anche un senso di potenza“.
Dopo la permanenza a Yerevan, i musicisti americani avevano programmato di andare a Riga, la capitale della Lettonia, e poi a Leningrado, l’attuale città russa di San Pietroburgo. Infine, avrebbero dovuto fermarsi a Parigi prima di tornare negli Stati Uniti. Invece, furono fermati e interrogati di nuovo. I musicisti avrebbero dovuto finire agli arresti domiciliari a Yerevan, ma Goldberg riporta che i funzionari armeni si erano mostrati contrari all’intrusione del Kgb, preferendo lasciare che continuassero il viaggio. Alla fine, però, i musicisti furono prelevati e scortati a Mosca, dove gli agenti sovietici confiscarono i loro passaporti. Goldberg racconta che il gruppo fu portato in giro per Mosca per diverse ore, forse come tattica intimidatoria, prima di essere finalmente autorizzato a soggiornare in un dormitorio sorvegliato da giovani soldati armati di mitra.
“A quel punto, pensi di finire deportato in Siberia o cose del genere – racconta Goldberg –. Eravamo davvero spaventati. Così quella sera abbiamo continuato a suonare. Abbiamo scelto una melodia popolare russa molto amata, ma stonando orribilmente per irritare il soldato fuori dalla nostra porta. Ci siamo sentiti sollevati, e anche forti“.
Alla fine, i funzionari decisero di dirottare i musicisti in Svezia. Furono sorvegliati a vista mentre venivano condotti su un aereo proveniente dalla Svezia che sarebbe tornato senza passeggeri. I funzionari avevano perquisito nuovamente i loro effetti personali prima di farli salire sull’aereo, senza che nessuno notasse qualcosa di sospetto negli spartiti. Goldberg ricorda che gli venne addirittura restituita la pellicola della macchina fotografica.
“Non è stata fornita alcuna ragione per l’espulsione. I funzionari statunitensi sono ancora in attesa di informazioni dal ministero degli Esteri sovietico – scrisse Reutersin merito alla vicenda il 31 maggio 1985 –. Secondo il portavoce l’espulsione sembra essere legata a un incontro con… i dissidenti georgiani“.
Goldberg ricorda di aver saputo che alcuni attivisti sovietici avevano subito conseguenze per la visita, ma anche che alcune delle persone incontrate dai musicisti durante il viaggio erano riuscite a lasciare definitivamente l’Urss. La musicista osserva che, sebbene sarebbe stato tutto sommato facile da decifrare se qualcuno ci si avesse prestato attenzione, il suo codice musicale è effettivamente servito allo scopo, rivelandosi anche un tipo di crittografia elegante e armonioso.
Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.
https://www.wired.it/article/unione-sovietica-sassofonista-codice-segreto-kgb/