Tratto da “Shabbath – A cura di Augusto Segre”, Ucei 1972
Shmuel Yosef Agnon
C’era una volta un vecchio che soffriva di asma. Andarono a consultare i medici, e questi risposero che provasse a bere latte di capra. Andò al mercato, si comprò una capretta e la mise nello ovile. Non eran trascorsi molti giorni che la capra scomparve. Ne andarono in cerca, ma non la trovarono né nel cortile né nell’orto, né su tetto del «beth – ha – midrash», né presso la fonte, né sul monte, né nel piano. Dopo alcuni giorni tornò da sé, e quando tornò aveva le mammelle gonfie di latte, il cui sapore era sapore di «gan Eden». E non una volta soltanto, ma più volte essa scomparve; ne andarono in cerca e non la trovarono, finché tornò da sé colle mammelle piene di latte dolce più del miele e il cui sapore era sapore di «gan Eden».
Una volta il vecchio disse a suo figlio: Ragazzo mio, vorrei tanto sapere dove va e da dove porta questo latte che è sì dolce al mio palato e che mi ristora le ossa. Il figlio rispose: Babbo, c’è un modo per questo. E il padre: Quale?
Il ragazzo uscì e tornò portando una cordicella che legò alla coda della capra. Il vecchio gli disse: Che fai, figlio mio? E questi: Lego questa cordicella alla coda della capra e quando mi accorgerò ch’essa sta per mettersi in moto, acchiapperò la cordicella pel capo e via dietro di lei. Il vecchio tentennò un poco la testa e disse: Figlio mio, se saggio è il tuo consiglio, il mio cuore ne gioirà teco. Allora il ragazzo legò la cordicella alla coda della capra e si pose a badarla. Allorché essa dette segno di volersi mettere in cammino, il ragazzo afferrò la cordicella per il capo e non la lasciò tutto il tempo che la capra camminò e lui via dietro di lei.
Così si lascia trascinare finché giunge ad una caverna. La capra entra nella caverna e il ragazzo tiene la fune e la segue. Camminarono un’ora o due – e può darsi persino uno o due giorni. Finalmente la capra scodinzolò, belò: era giunta alla fine della caverna. Allorché uscirono all’aperto, apparvero loro alte montagne e colline coperte di magnifici alberi da frutto, ed un pozzo d’acqua viva che sgorgava dal monte; il vento soffiava pieno di balsami. Allora la capra si arrampicò su di un albero e si aggrappò al suo fogliame. Carrubbe piene di miele si staccavano dall’albero, ed essa mangiava le carrubbe e beveva l’acqua della sorgente.
Il ragazzo ristette e si rivolse ai passanti: in nome di Dio ditemi, buona gente, dove mai mi trovo, e come si chiama questo luogo.
Risposero: ti trovi in Erez Israel e precisamente a Safed. Allora il ragazzo sollevò gli occhi al cielo e disse: – benedetto l’Eterno che mi ha fatto giungere in Erez Israel! E baciò la polvere e sedette sotto un albero. Disse: finché non tramonti il giorno e non scendano le ombre della sera rimarrò qui sul monte sotto quest’albero, e poi tornerò a casa e condurrò mio padre e mia madre in Erez Israel. E mentre stava così seduto, tutto ebbro della santità di Erez Israel, ecco udì un appello: andiamo incontro al sabato, la nostra regina! e vide uomini, ammantati di bianco come angeli con in mano rami di mirto, mentre, tutte le case andavano accendendosi di innumerevoli candele. Allora capì ch’era giunto il venerdì sera e che non avrebbe fatto in tempo a tornare a casa. Divelse una cannuccia, l’intinse nel succo di una di quelle bacche da cui si estrae l’inchiostro per scrivere i «sifrè-torà» e preso un pezzetto di carta così scrisse a suo padre: «dall’estremo lembo del paese innalzo cantici di lode, poiché son giunto felicemente in Erez Israel e seduto vicino a Safed la città santa, m’inebrio della sua santità. Non domandarmi come ci sono giunto, ma afferra la cordicella che è legata alla coda della capra, mettiti in istrada dietro di lei e vedrai che giungerai di sicuro in Erez Israel».
Il ragazzo arrotolò il biglietto, l’introdusse in un orecchio della capra, dicendo in cuor suo: -allorché essa giungerà da mio padre, questi la carezzerà sulla testa, essa scuoterà le orecchie ed il biglietto cadrà per terra. Allora mio padre leggera quel che c’è scritto ed afferrerà la cordicella, verrà con essa in Erez Israel.
La capra tornò dal vecchio, ma non scosse le orecchie ed il biglietto non cadde. Allorché il vecchio vide la capra che era tornata e che suo figlio non era con lei, cominciò a percuotersi il capo, a gridare, a piangere, a lamentarsi: figlio mio; figlio mio, dove sei? o foss’io morto in vece tua, figlio mio, figlio mio. E così continuò a piangere e a far lutto per il figliuolo, dicendo: una bestia feroce lo ha divorato, è stato sbranato, è stato sbranato il figlio mio. – Né poteva trovar conforto e diceva: – sconsolato scenderò nella tomba – ed ogni volta che vedeva la capra, esclamava: guai al padre che ha allontanato suo figlio – e guai a quella là che lo ha tolto dal mondo. E non si dette pace finché non chiamò lo «sciochet» per iscannarla. Lo «sciochet» venne e sgozzò la capra. Quando la spellarono, cadde un biglietto dall’orecchio. Il vecchio lo raccolse e disse: – mio figlio m’ha scritto. – E lesse tutto quello che suo figlio gli aveva scritto. Allora prese a battersi il capo e a piangere – ohi ohi – sciagurato l’uomo che ha sprecato la sua buona stella, guai a colui che ha reso male per bene. Fece lutto per la capra alcuni giorni, rifiutando ogni conforto e dicendo: – ohimè, che avrei potuto in un salto arrivare in Erez Israel e invece dovrò consumare la mia vita in esilio.
Da allora l’entrata della caverna è sottratta ad occhio umano e più non esiste una strada scorciatoia per Erez Israel.
Quanto al ragazzo – se non è morto – vuoi dire che si gode, sereno e tranquillo, la sua vegeta vecchiezza nel mondo dei vivi.
(Da «Racconti palestinesi» Ed. Israel. 1946 – Trad. di M. Varadi)