Sono multietnici, progressisti e poco religiosi. Eppure disperdono voti lontano dai democratici: -21% dal 2006 al 2010. Il primo presidente nero non piace più
Barbara Ciolli
In un momento critico, mai come prima, per le relazioni tra Israele e Stati Uniti, alle elezioni del 4 novembre 2014 il presidente americano Barack Obama ha raccolto il 66% delle preferenze dall’elettorato di religione ebraica: 21 punti percentuali in meno delle elezioni di medio termine del 2006, ha fotografato l’istituto indipendente Pew Reserch Center all’indomani del voto.
Al Midterm del 2010 non andò molto diversamente. Ma dal 2006 al 2014 il voto ebraico ai repubblicani è balzato dal 12% dei tempi di Bush al 33%.
IN CALO DI 9 PUNTI DAL 2008. Un segnale? Il parallelo calo di gradimento degli ebrei americani verso l’inquilino della Casa Bianca spicca anche confrontando le Presidenziali del 2008 con quelle del 2012. Sei anni fa, il 78% di loro diede con convinzione fiducia al primo capo di Stato nero nella storia degli Usa. Quattro anni dopo, la loro percentuale era calata al 69%, di nove punti.
Con Bush figlio alla Casa Bianca, gli ebrei d’America – tradizionalmente un elettorato democrat – premevano per il cambiamento.
MINIMO STORICO CON CARTER. Poi, come i numeri dimostrano, Obama li ha convinti sempre meno nei suoi due mandati al governo.
Un declino che, negli annali degli Usa, è simile al minimo storico di consenso (45%) toccato alle presidenziali del 1980 da Jimmy Carter, alla fine del suo primo e ultimo mandato.
Nobel per la Pace, più a sinistra di Obama, Carter fu cannibalizzato dal thatcheriano, dopo quattro anni di presidenza debole, soprattutto in politica.
ROOSEVELT E CLINTON GRADITISSIMI. Commander in chief degli Usa graditissimi degli ebrei sono stati invece il keynesiano Franklin Delano Roosevelt (90%), timoniere degli Usa dalla Grande depressione al Secondo dopoguerra, e l’altro presidente carismatico degli Usa, Bill Clinton, che durante il suo doppio mandato vide i consensi dell’elettorato ebraico gonfiarsi fino all’80%.
Non è facile capire cosa muove gli ebrei degli Stati Uniti.
Intervistati, la maggioranza di loro racconta di non guardare a Israele, soprattutto per il voto di Midterm, e di non essere così interessati alle questioni di fede.
Nel Ritratto degli ebrei americani dell’ottobre 2013 del Pew Reserch Center, solo il 26% di loro ha dichiarato di considerare la religione «molto importante»: pressoché la medesima percentuale di chi va in sinagoga.
Al contrario, cresce il numero dei cittadini di origine ebraica che si uniscono in matrimoni misti, non si riconoscono in alcun credo e crescono i loro figli da atei. Una comunità, insomma, multietnica, tendenzialmente progressista e persino meno religiosa degli anglossassoni.
TRA BARACK E BIBI RAPPORTI TESI. Come diversi analisti, Ester Fuchs, politologa della Columbia University, è dell’avviso che gli eventi in Medio Oriente influenzino solo la minoranza degli ebrei repubblicani.
Le politiche verso Israele, inoltre, sono un fattore che in genere condiziona le Presidenziali, più che per il medio termine.
I fatti, tuttavia, sono fatti. E, per quanto il premier israeliano Benjamin “Bibi” Netanyahu, conservatore e filo-sionista, stia antipatico all’ebreo medio americano, nei sei anni di rapporto conflittuale tra Obama e Netanyahu nella comunità il consenso all’Amministrazione democratica è andato nettamente calando.
URTATI DALLE POLITICHE EGALITARIE. La stessa tendenza si manifestò con Carter: l’ex presidente degli Usa che, nel 2006, ha pubblicato il bestseller Peace, not Apartheid, condannando senza appello le politiche israeliane verso il popolo palestinese.
Negli anni, anche Obama ha ripetutamente bacchettato “Bibi” sulla continua e illegale costruzione di abitazioni in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, limitando al minimo i colloqui: l’ultimo climax, tra i due, risale all’ottobre 2014, dopo la Guerra di Gaza e la preoccupante escalation di Gerusalemme.
Certo, le politiche egalitarie sul welfare della Casa Bianca possono aver urtato l’ala destra dei democrat: il ceto medio che, il 4 novembre, ha tradito Obama può ben contare, oltre all’elettorato bianco anglosassone, la comunità di origine ebraica.
L’indecisione di Obama sulle crisi della Primavera araba e il suo continuo aprire all’Iran sul nucleare, grande spettro di Israele, possono inoltre aver spinto gli ebrei americani – al di là del loro orientamento politico – a muoversi con prudenza, nel timore di una preoccupante e crescente insicurezza in Medio Oriente.
I cambiamenti più significativi tentati sia negli Usa sia in politica estera, come la riforma sanitaria e la fine delle guerre preventive, d’altra parte, sono osteggiati anche tra i politici democratici, dove la lobby ebraica ha un peso rilevante.
UNA LOBBY SEMPRE PRESENTE. La perdita di appeal tra gli ebrei statunitensi non è infatti indolore: una quota consistente di militanti del partito è di origine ebraica; ebrei, inoltre, sono in larga parte i finanziatori delle campagne dei candidati democratici.
Alle ultime Presidenziali, la lobby ebraica progressista affollava la convention di Obama con gli slogan «Pro Peace, Pro Israel».
Poi gli Usa hanno votato contro il riconoscimento dello Stato della Palestina all’Onu e appoggiato, più defilatamente possibile, Netanyahu nell’ultima guerra di Gaza.
Per raffreddare le tensioni a Gerusalemme, il segretario di Stato americano John Kerry ha incontrato ad Amman il premier israeliano e il re di Giordania Abdallah. Ma i negoziati di pace sono arenati e, negli Usa, i repubblicani in risalita sono pronti a raccogliere i voti dei delusi.
L’AIPAC PESA COME UN MACIGNO. L’Aipac, l’America’s pro-Israeli lobby, è di ispirazione conservatrice. Ma il grande gruppo di pressione ebraico, che pesa come un macigno al Congresso in mano ai repubblicani, ha affiliati tra i democrat e potrebbe essere un trait d’union ideale per le Presidenziali del 2016.
L’esperto di elezioni americane Herbert Weisberg, professore emerito in Scienze politiche all’Ohio State University, non esclude uno spostamento di preferenza verso destra: «Alle Presidenziali il nodo di Israele pesa di più. Se guardiamo indietro agli Anni 70 e 80, prima dell’exploit di Clinton e del picco dei Bush, ai repubblicani andava il 30% del voto ebraico. Sembra di andare di nuovo in quella direzione».
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