I discorsi della bat mitzvà Deborah Ottolenghi e del papà Marco che hanno festeggiato questa settimana al tempio di via Eupili a Milano
Con la Parashà di questa settimana inizia un ciclo di cinque parashot, in cui si tratta della costruzione del Mishkan (tabernacolo) che è chiamato anche Mikdash (santuario). Già dal secondo verso della Parashà, ci troviamo di fronte ad un’espressione inusuale per la Torà, che come sappiamo è ricca di Mizvot, che per loro natura sono dei comandamenti. Il verso dice: “Parla ai figli di Israele che prendano per me un’offerta. Da parte di chiunque sarà spinto dal suo cuore riceverete la mia offerta”.
Rashi commenta: chiunque sarà spinto dal suo cuore, significa un’espressione di spontaneità e buona volontà. Rashi ci spiega anche, che il pasuk parla di tre tipi di offerte, due delle quali assolutamente obbligatorie e precise, mentre la terza,pur facendo parte del comandamento, richiede anche gli elementi di buona volontà e di spontaneità. Per quale motivo la Torà si esprime in questa maniera particolare per quanto riguarda le offerte da dedicare al Mishkan?
Alle volte le risposte non sono immediate, ed il vero significato può essere compreso attraverso una prospettiva storica.
L’elemento della spontaneità nel comandamento di costruire il Mishkan, si rivelerà in tutta la sua importanza circa 500 anni dopo, allorché il Re Salomone costruirà il primo Tempio.
Il Re Salomone per costruire il Santuario, impose un sistema costrittivo pesante, che causò molti malumori tra il popolo ebraico. Alla sua morte, il figlio Roboamo, invece di ascoltare gli anziani, si fidò del consiglio dei suoi giovani consiglieri, e non acconsentì ad alleggerire la pressione sul popolo. L’epilogo è noto, e purtroppo la decisione di costruire il Santuario in modo coercitivo, piuttosto che affidarsi alla buona volontà del popolo, come originariamente richiesto dalla Torah , portò alla divisione del popolo ebraico in 2 regni, all’idolatria ed infine all’esilio.
Potremmo chiederci allora: è meglio affidarci sempre alla spontaneità e alla buona volontà per tutto quello che riguarda l’osservanza delle mizvot? La risposta non è semplice.
Nel Talmud è famoso il detto di Rabbi Chaninà: “GADOL METZUVE’ VE OSSE’, MI SHE EINO METZUVE’ VE OSSE’ – è più meritevole colui che fa una mizva perché è comandato piuttosto di chi la fa senza essere obbligato a farla”.
Le motivazioni di questo detto sono varie, ma la più importante è senz’altro di natura psicologica.
Se un’azione è obbligatoria, è molto più pesante portarla a termine, perché non lascia spazio alla scelta individuale.
Alle volte però anche la spontaneità e la buona volontà assumono un valore importante per l’ebraismo, come abbiamo visto con le offerte da dedicare al Mishkan, e come osserviamo con gli avvenimenti della festa di Purim che celebreremo fra qualche settimana.
Ester, dopo essere stata costretta a recarsi nel palazzo del re, quando capisce che il popolo ebraico si trova in pericolo di distruzione totale, sollecitata da Mordechai, assume l’ iniziativa e si reca di sua volontà dinanzi al re.
Il coraggio di Ester, che non esitò a mettere a repentaglio la sua vita fisica e spirituale, contribuì alla salvezza del popolo ebraico.
I nostri maestri giustificarono e approvarono il comportamento di Ester, e con l’autorità che gli viene attribuita dalla Torà stessa istituirono la festa di Purim.
Il Rambam fa notare che anche per le Mizvot istituite dai Chachamim, come Purim, Channukà e l’accensione dei lumi di Shabat, noi recitiamo la beracha “ASHER KIDESHANU BE MIZVOTAV VE ZIVANU – CHE CI HA SANTIFICATO CON LE SUE MIZVOT E CI HA COMANDATO” e spiega appunto che è la Torà stessa che ci ha comandato di osservare le decisioni dei Chachamim.
Nelle ultime generazioni, alcuni grandi rabbini, anche se non tutti, si sono espressi a favore di un coinvolgimento maggiore delle donne nella vita ebraica.
Oggi, quasi nessuno si oppone più al fenomeno di donne che studiano seriamente Torà e Talmud (Torà scritta e Torà orale). Per quanto riguarda il Bat mizva, vi sono opinioni diverse nell’ambito dell’ebraismo tradizionale, ma la mia speranza è che la buona volontà e la spontaneità di tante donne ebree che entrano in età adulta, possa presto diventare un atto dovuto e obbligatorio come la festa di Purim e le offerte dedicate al Mishkan.
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Il discorso di Marco Ottolenghi
Donne e mitzvòt alla luce dei commentatori contemporanei
Vi è un commento alla Parasha di oggi di Samson Rephael Hirsh, un commentatore che mia madre Sara Z. L. studiava tutti i sabati insieme a mio Padre (Sheibadel lechaim arukim) che riguarda la costruzione dell’Arca destinata a custodire le tavole della testimonianza. Hirsh fa notare che le tavole che erano di pietra rappresentano la natura della Torah divina che è completa ed immutabile. D’altro lato il loro contenitore, l’Arca, doveva essere fatto di legno, un materiale organico che interagisce con l’ambiente in cui vive ed è in continuo divenire. Hirsh afferma che il popolo ebraico è paragonato al legno dell’Arca e può e deve progredire, raffinarsi e completarsi attraverso la Torah. A mio giudizio questo significa che ogni generazione deve affrontare le sfide della propria epoca e contribuire a rendere la Torah sempre attuale e a risaltare il suo carattere eterno.
Nel 1982 Yeshaiahu Leibowitz pubblicò un breve saggio sulla condizione della donna nella Halacha. Non era un periodo facile in Israele ed era in corso tra l’altro la prima guerra del Libano. Nel suo saggio Leibowitz sostiene che tra tutti i problemi che assillano il popolo ebraico nella nostra generazione quello più importante da risolvere riguarda il ruolo della donna nell’ambito della vita ebraica. Leibowitz ribadisce che se i saggi contemporanei continueranno ad astenersi dall’affrontare seriamente il problema è a rischio la sopravvivenza stessa del mondo ebraico basato sulla Torah e le Mizvot.
ATTENZIONE, qui non si tratta di modificare a proprio piacimento la Torah, bensì di studiare e capire quale sia l’ origine dei diversi ruoli dell’uomo e della donna nel mondo ebraico. Molte limitazioni che riguardano le donne, più che da un divieto netto della Torah hanno origine da un allineamento e da un adattamento del mondo ebraico alla società circostante.
Un caso paradigmatico è la motivazione che porta il Talmud nel trattato di Meghillà a pg. 23 a per la quale una donna non può leggere la Torah in pubblico. Il Talmud ci dice che tutti hanno il diritto di leggere la Torah in pubblico ma una donna non deve farlo per via del KEVOD HATZIBUR (rispetto del pubblico). In altre parole se una donna dovesse leggere la Torah si potrebbe pensare che il pubblico maschile sia analfabeta e ciò sarebbe un grave insulto per tutta la Congregazione.
Cosi spesso troviamo nelle decisioni Halachiche, motivazioni del tipo – non è usanza delle donne – non è appropriato per le donne ecc.
Nell’ambito dell’Halacha però viene spesso preso in considerazione anche il concetto del KEVOD HABRIOT (il rispetto di tutte le creature). Questa idea probabilmente è stata all’origine di diverse decisioni Halachiche di Rav Yechiel Yaakov Weinberg, uno dei più grandi rabbini e decisori del XX secolo. A proposito del Bat Mizva Rav Weinberg nei suoi responsa SRIDE ESH dichiara:
“IL BUON SENSO E LA NECESSITA’ EDUCATIVA quasi ci impongono di festeggiare la ragazza che giunge all’età delle MIzvot. La discriminazione che si fa tra maschi e femmine per quanto riguarda il Bar Mizva ferisce profondamente la sensibilità umana della ragazza matura”.
Nelle sue lettere aggiunse anche che per quanto riguarda la cerimonia del Bat Mizva non dobbiamo preoccuparci delle grida delle masse né di quei rabbini che si vogliono fare belli con la loro rigorosità. Le mie intenzioni, dice, sono LESHEM SHAMAIM ( pure) e di giungere alla verità.
È interessante notare che ambedue i grandi rabbini che ho citato oggi (Samson Rephael Hirsh e Yechiel Yaakov Weinberg) hanno emesso la stessa decisione halachica favorevole, ognuno con motivazioni diverse ,riguardo all’usanza delle donne di cantare le zemirot di shabat anche in presenza di persone estranee alla famiglia.
Rav Weinberg citando indirettamente il “DIVREI CHEFETZ” fa notare che nel libro di Shofetim troviamo il canto comune della profetessa Devorah e di Barak ben Avinoam e da qui possiamo imparare che in determinate circostanze,specialmente nell’ambito rituale e di lodi al Signore, non sussiste il divieto di ascoltare la voce delle donne.
Del resto, come abbiamo visto prima, l’unica motivazione che porta il Talmud riguardo al divieto della donna di leggere la Torah in pubblico verte sul concetto di Kevod Hazibur e non menziona assolutamente la problematica di KOL ISHA.
Oggi io auguro a mia figlia Deborah tutta la felicità che si merita e di poter crescere e raffinarsi come il legno che custodiva le Tavole della Testimonianza.