Rav Ariel Di Porto
Liceità della medicina (appunti di una lezione tenuta a Savigliano il 18/9, tratto principalmente da Alef Dac 22)
Sin dai suoi albori l’ebraismo, come molte altre culture dell’antichità, si è posto il problema della liceità della medicina. Al giorno d’oggi ci sembra molto naturale ricorrere ai medici e alle medicine, ma in vari sistemi la malattia è considerata espressione di una volontà superiore. Quindi, in base a tale presupposto, non è più giusto invocare perdono e conciliarsi con la divinità? Secondo un’opinione minoritaria nelle antiche fonti ebraiche la pratica medica era tollerata in quanto uso consolidato, ma in linea di principio la malattia andava considerata una punizione divina, e come tale andava accettata. Secondo un’altra visione, più diffusa, la maggior parte dei mali non erano determinati da una volontà divina, ma da fattori umani e naturali. Per questo è lecito intervenire, e la domanda si pone solo rispetto ai casi numericamente limitati in cui si può parlare di un volere superiore. Secondo una terza opinione, quella di R. Yshmael, la pratica medica è oggetto di un esplicito permesso divino.
Nelle formulazioni successive, soprattutto in ambito legale, non vi sono state opposizioni, tranne rarissime eccezioni. Il Rabbino Chayim Josef David Azulai (18° sec) scriveva: “Oggi non è permesso affidarsi al miracolo; il malato deve comportarsi secondo l’uso del mondo e chiamare un medico che lo curi; nessuno può cambiare le abitudini comuni affermando di essere superiore a tanti pii delle passate generazioni che furono curati da medici; anzi vi è quasi un divieto a comportarsi così, sia perché è una manifestazione di superbia, sia perché non ci si può affidare al miracolo davanti al pericolo (…); ci si comporti dunque come fanno tutte le persone, facendosi curare da un medico”. Secondo un ultimo punto di vista, che non esclude il precedente, l’attività medica è inquadrata fra le varie prescrizioni che regolano la vita sociale, come l’obbligo di restituire un oggetto perduto (Deut. 22,2 – in questo caso la salute), o l’obbligo di amare il proprio prossimo come se stesso (Lev. 19,18), o “non rimanere fermo di fronte al sangue del tuo prossimo” (Lev. 19,16), o secondo il verso che dice “il tuo fratello vivrà con te” (Lev. 25,36). In generale comunque si devono evitare tutti gli atteggiamenti fatalistici. Ciascuno è tenuto a salvaguardare la propria vita e la propria salute.
Nei secoli molti rabbini hanno esercitato la professione medica. Già in antichità i sacerdoti avevano a che fare con pratiche che si avvicinavano alla medicina. Anche in epoca talmudica e soprattutto nel medioevo vi furono medici rabbini, fra cui due dei maggiori filosofi ebrei, Yehudàh ha-lewì e Maimonide. Anche molti rabbini italiani, fra cui Ovadiàh Sforno e Ytzchaq Lampronti, furono medici.
Il comportamento del medico
Il medico deve considerarsi un inviato divino nello svolgimento della sua mansione. Deve essere estremamente scrupoloso nell’esercizio della sua professione, senza vergognarsi di consigliarsi con medici più esperti in casi di dubbio. Chiaramente il malato deve essere al centro della sua attenzione, operando come se “avesse sempre davanti una spada affilata, e sotto ai piedi la porta spalancata dell’inferno”. Il medico che mostri disprezzo nei confronti della vita umana deve essere sollevato dall’incarico. Il medico ha il diritto di richiedere l’onorario per le visite e per l’insegnamento della medicina, ma è tenuto a curare gratuitamente i malati indigenti. Nelle comunità c’era l’usanza di istituire un fondo apposito per questa esigenza. Sebbene il medico debba cercare la moderazione nella richiesta dell’onorario, in base ad un antico detto talmudico “il medico che cura per niente non vale niente”.
Le preghiere dei medici
Riportiamo due esempi di preghiere che i medici ebrei composero nei secoli:
1) Jaaqov Zaqalon (1665):
“L’intenzione del mio cuore è di occuparmi dell’arte medica, nel Tuo nome santo e con il Tuo aiuto. Non mi appoggio sulla mia scienza, né ripongo la mia fiducia sui farmaci, le erbe e i rimedi che hai creato nel Tuo mondo, perché sono come dei mezzi per completare la Tua volontà, e per proclamare la Tua grandezza e la Tua provvidenza; perché l’arte della medicina è molto pericolosa; e ancora perché io sono ignorante e privo di discernimento, e ho paura, e cammino a tentoni a mezzogiorno, come fa il cieco al buio, e pertanto dichiaro di affidarmi alla sua misericordia e procedere dietro a Te”.
2) Preghiera del medico (Ferrara 1747):
“O Signore mio Dio, sia Tua volontà di mandarmi in mio aiuto l’angelo Refael per guarire tutti i malati del tuo popolo, di farmi avere i farmaci migliori necessari per ogni malattia e piaga, di far avere successo alle mie opere, e che io non sbagli nelle mie prescrizioni; perché in mano Tua è la forza per far vivere i morti e curare ogni malattia e piaga, perché sei Dio re, medico fedele e pietoso, come hai detto: “Perché Io il Signore sono il tuo medico” (Esodo 15:26). Ed è anche scritto: “Ho colpito e guarirò” (Deuteronomio 32:39). “colpirà e la Sua mano guarirà” (Giobbe 5:18), perché non c’è medicina come la Tua e io, Tuo servo, mi baso sulle Tue sante parole per compiere la Tua missione, come è detto: “e sarà curato” (Esodo 21:19), e ciò dimostra che hai dato il permesso al medico di curare ogni malattia e piaga; per questo il Tuo servo ha trovato una porta aperta per pregarTi di fargli trovare la medicina giusta e vera, che Tu o Signore, conosci sempre, mentre io non ho la capacità e la scienza per conoscere il fondamento delle qualità terapeutiche; ma tu mi darai nel cuore e nell’intelletto la possibilità di comprendere bene le medicine per curare ognuno senza errore e danno e veramente presto, come l’acqua spenge la fiamma e come si toglie un capello dal latte per ogni malattia e cambio della natura, e anche nella puntura dell’ape e nel morso dello scorpione, come guaristi Miriam dalla lebbra, Naaman dalla lebbra e Ezechia dalla sua malattia, così per mezzo mio manderai una guarigione completa a tutti coloro che sperano e spettano la Tua salvezza e la Tua guarigione. Purifica la mia mente e il mio pensiero, in modo che io non abbia pensieri cattivi curando le donne, vergini o sposate, perché secondo le Tue parole ho fatto “ciò che l’uomo farà e ne vivrà” (Levitico 18:5), ed è scritto: “è tempo di agire per il Signore, hanno annullato la tua Torà” (Salmi 119-126): perché non vi è nulla che resiste davanti al pericolo di una vita, e Tu, o Signore, esamini i cuori e conosci i pensieri, e sai che ogni mia intenzione e volontà è per il Tuo grande e santo nome, per fare la Tua volontà. Pertanto proteggimi e purifica la mia mente, affinché io non pecchi, e affinché io possa procurare a tutti una completa guarigione con il Tuo aiuto e con la Tua salvezza. E se si avvicina per qualcuno il momento della morte, allontana da me le critiche, che non si dica dietro di me che sono stato io a provocare la morte, ma sia accettata la Tua giusta decisione; proteggimi quindi in modo che io non inciampi e non sia in pericolo con qualcuno di loro”.
Preghiere dei malati
Molte preghiere hanno come oggetto la malattia. Fra queste certamente la più famosa è l’ottava bendizione della ‘amidàh, nucleo fondamentale della preghiera ebraica. Riportiamo la formula secondo il rito italiano:
“Guarisci o Signore e saremo guariti, salvaci e saremo salvati, perché Tu sei l’oggetto della nostra lode. Procura dunque una guarigione completa per tutte le nostre piaghe e malattie; perché Tu sei un medico pietoso e degno di fede; Benedetto Tu o Signore, che guarisci i malati del suo popolo Israele”.
Il prototipo delle preghiere che i sani recitano per i malati è la semplicissima, essendo composta di sole cinque parole, preghiera che Mosè recitò affinché la sorella Miriam guarisse “O Signore, guariscila” (El na, refà na làh). Quando si visita un malato si deve invocare per lui misericordia, includendolo fra tutti i malati di Israele (Il Signore abbia pietà di te in mezzo ai malati d’Israele). Vi sono poi delle formule più complesse che vengono perlopiù recitate in ambito sinagogale.
Visite ai malati
I parenti e gli amici del malato hanno l’obbligo di visitarlo e tenergli su il morale. Quello di visitare i malati è un obbligo religioso. Il visitatore deve offrire anche aiuto materiale, aiutando il malato nei servizi che non può svolgere da solo. Parenti ed amici stretti hanno l’obbligo di visitare il malato da subito, gli altri in un secondo momento. La visita non deve comportare disagi o fatica per il malato: se questo ed il visitatore si odiano, è bene astenersi dalla visita. Ugualmente, se il malato può vergognarsi della sua condizione, è bene astenersi. Se il malato fa fatica a parlare, ci si deve trattenere in anticamera per prestare aiuto. Al malato grave viene fatta recitare la confessione dei peccati, accompagnata dalla formula: “molte persone che si sono confessate non sono morte e molte persone che non si sono confessate sono morte”.Si deve fare in modo che il malato non si allarmi per questa richiesta, ma la affronti con positività, intraprendendo un esame di coscienza.
Conclusione
Recita l’Ecclesiastico, testo del II sec. A.E.V. che non fa parte della tradizione biblica ebraica, ma che è citato nel Talmud (cap. 38,9;12;14):
Figlio, non irritarti della malattia, ma prega il Signore e ti guarirà. Poi chiama pure il medico poiché il Signore l’ha creato; non lo allontanare: c’è bisogno anche di lui. Tempo verrà in cui la salute sarà nelle loro mani e essi pregheranno il Signore che conceda loro il sollievo del malato e la cura per conservarlo in vita.