La scrittrice ebrea ortodossa Sarah Blau
Valentina Venturi
La serie televisiva “Unorthodox” ha probabilmente amplificato l’interesse sull’argomento, ma in Israele è dal 2007, se non prima, che fa discutere la tematica femminile legata alla religione. È in quell’anno che esce “Il libro della creazione”, romanzo scritto dall’anticonformista ebrea ortodossa Sarah Blau: la protagonista è la trentenne Telma che crea un suo uomo ideale Saul, un Golem, mentre recita versi del Libro della Creazione. La creazione di Saul – “colui che è richiesto/pregato” – è la realizzazione dell’immagine del desiderio… Il testo viene finalmente pubblicato in Italia da Carbonio Editore su traduzione di Elena Loewenthal. Autrice profonda e sfaccettata, oltre che scrittrice è anche drammaturga e attrice teatrale, Blau ha spesso posizioni provocatorie, in bilico tra ortodossia religiosa e sovvertimento.
Chi l’ha ispirata per il personaggio di Telma?
«Non voglio mentire: Telma sono io, o meglio è ciò che ero a trent’anni. Una donna sola, intrappolata in un posto in cui non voleva stare, piena di rabbia, odio, delusione e amarezza; doveva salvarsi da sola. Così Telma ha creato un golem, ma io ho creato Telma e ho scritto un libro. Ci ha salvate entrambe».
Telma desidera continuare a vivere nella sua comunità religiosa, ma vuole anche che tale comunità si rinnovi. È possibile?
«Credo che tutto sia possibile, ma riconosco anche la sua complessità. È troppo facile fare tabula rasa e dire: “Non voglio essere religioso, lasciatemi stare, sono laico, Dio non esiste!”. Ma Telma non vuole questo e io la capisco. È spaventoso lasciare tutto ciò che conosci, è spaventoso dire che non c’è Dio. Telma è ambiziosa, vuole entrambe le cose. Credo che se ogni persona cambia il suo comportamento, anche solo un po’, lentamente la comunità intorno a lei cambierà a sua volta. Questo sta accadendo in Israele, molto lentamente, forse troppo lentamente, ma ci sono processi che avvengono sotto la superficie».
Cosa l’ha spinta a scrivere “Il libro della creazione”?
«Se non lo avessi scritto sarei esplosa. Ero giovane e sola e sentivo che la quotidianità non mi bastava più, che gli esseri umani non mi bastavano. Allora mi sono rivolta a ciò che mi ha sempre aiutato: il passato, le leggende, la tradizione. Mi sono aggrappata a un’oscura leggenda ebraica che mi ha sempre aiutato, quella del golem. Ma ho deciso di riscriverla a parti invertite. Nel mio romanzo, ho deciso che a creare il golem non sarebbe stato né un rabbino né un uomo: sarebbe stata una donna».
Cos’è il golem?
«C’è un’antica leggenda ebraica secondo cui nel XVI secolo a Praga, dopo delle rivolte contro gli ebrei, il rabbino creò un golem che li avrebbe protetti, scolpendo una forma umana nella terra, pronunciando il nome di Dio e facendo risorgere la creatura. Il golem non ha volontà propria e obbedisce alle istruzioni del rabbino, né parla perché la parola è lo sguardo di un’anima e il golem non ha anima. Nella leggenda classica il golem è nato per scopi nazionali e ha protetto gli ebrei, ma nel mio libro l’ho ribaltato: una donna crea il golem per scopi privati, in modo che lui la ami e stia con lei; crea il golem per l’amore e non per la guerra».
Il titolo ha un significato particolare?
«Nella Bibbia c’è un versetto che dice che il cuore di una persona è cattivo sin dalla sua giovinezza, che siamo nati con cattivi istinti e in ebraico la parola “uomo” è molto simile alla parola “terra”. E visto che il golem è stato creato dalla terra ho deciso di giocarci. Il titolo dice che la terra ha le sue passioni e i suoi desideri, che dovrebbero essere presi in considerazione. E oggi possiamo notare come ciò sia più rilevante che mai».
La cabala può avere ancora, nel 2020, un senso?
«Senza dubbio. Il mondo si muove su due linee parallele: da un lato il progresso della scienza e della razionalità, dall’altro un ritorno alla fede e alla magia. E la cabala serve per trovare un po’ di “magia”. Penso che gli antichi abbiano intravisto qualcosa che oggi si cerca di raggiungere in modi più razionali. Nella cabala ci sono molta psicologia, subconscio e autoanalisi, ecco perché funziona anche oggi. Le diamo solo nomi più moderni. Al centro di tutto ci sono la solitudine e il desiderio di auto-aiuto. Non importa da chi arriva, se da un rabbino o da uno psicologo».
Cosa vuol dire identificarsi come una letterata religiosa e, allo stesso tempo, occuparsi di argomenti ebraici da una prospettiva femminista?
«Oggi mi definisco una letterata religiosa, una religiosa autonoma. Non ho un rabbino con cui mi consulto, la mia fede è indipendente: se ho una domanda o un dilemma decido da sola. Non volevo abbandonare il mondo religioso, ma volevo una vita più semplice. C’è chi si arrabbia e dice: “Sta giocando, non è affatto religiosa!”. Ma chi sono loro per poter decidere per me? Il mondo sta cambiando, si sta aprendo e diventando più individuale e l’ebraismo non fa eccezione. La mia femminilità è rilevante anche qui, sebbene il mondo religioso antico non abbia dato alle donne un posto tra coloro che prendono le decisioni, così come nella pratica religiosa, adesso anche questo approccio sta mutando. Io, ad esempio, scrivo di argomenti ebraici e religiosi, chiunque racconterà questa storia sarà sempre la donna e il suo punto di vista sarà molto diverso da quello dell’uomo. Questa volta al centro è lei. È ciò è così liberatorio, così divertente! Lo stavamo aspettando da 2000 anni».
Cosa riassume il femminismo religioso?
«Significa che le donne stanno facendo la differenza. Ci sono donne insegnanti di Halakhah (il corpus di leggi religiose, tradizioni e usanze ebraiche, ndr), consigliere religiose, donne che insegnano la Torah, donne che acquistano un peso significativo nella comunità. Non sei solo una “moglie” o una “madre ebrea”, diventi una voce significativa in tutto ciò che riguarda la vita religiosa nella comunità. Credo che anche l’arte debba svolgere un ruolo molto importante in questo cambiamento».
Ha letto il memoir di Deborah Feldman “Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche”?
«Non ho ancora avuto modo di leggere il libro, ma da quello che ho letto a riguardo, è una storia importante e rilevante. Ho adorato il fatto che l’autrice abbia raccontato la sua storia personale, ciò che ha vissuto e le sue conclusioni personali: da una storia privata si può sempre conoscere una verità più ampia».
Cosa si augura recepisca una donna dal suo romanzo?
«Penso che il libro si rivolga direttamente al DNA femminile: affronta le relazioni di potere tra uomini e donne, cosa accade quando una donna decide di prendere il controllo e quale prezzo è disposta a pagare. Viviamo in un’epoca in cui le donne hanno più potere di quanto ne avessero in passato. So che non a tutti piace parlare di “potere”, ma alla fine è importante. Credimi, se sei una donna, dovresti avere potere».
© RIPRODUZIONE RISERVATA