L’attrice israeliana in “Unorthodox” e “Shtisel” su Netflix. Dopo mesi di studio, la rivelazione sul set con l’abito nuziale: la parte emotiva ha trovato quella fisica.
Egle Santolini
La prima stella internazionale dello streaming, del cinema in sala sperando che sopravviva, della tv o di quello che mai arriverà dopo la pandemia si chiama Shira Haas, sta per compiere 25 anni ed è israeliana. Unorthodox, la miniserie di cui è protagonista totale, la macchina da presa incollata senza interruzione sui delicati lineamenti che compongono un perfetto materiale da primo piano, è in questo momento quarta nella lista delle più viste su Netflix: racconta la storia di Esty, che fugge dai Satmar, una stretta comunità hassidica di Brooklyn, per trovare la propria strada a Berlino. Gli spettatori che di Shira hanno subito voluto un’altra dose massiccia sono ormai dipendenti da Shtisel, la serie per ora in due stagioni (sempre Netflix) che in Israele ha raccolto tutti i premi possibili e che, molto a sorpresa, ha appassionato il pubblico di tutto il mondo alla vita familiare degli ebrei haredi in un quartiere di Gerusalemme.
In attesa dell’uscita, quando si potrà, del film Asia, e della terza stagione di Shtisel, anche quella bloccata in fase di lavorazione, ecco le informazioni per conoscerla e amarla ancora di più. Quella faccia, quegli occhi, quel corpo. Shira è un metro e 52 di puro talento. Cammina in un modo particolare, evidenziato dalle scarpe senza tacchi che indossa, secondo i dettami chassidici, sempre in Shtisel e spesso in Unorthodox: con le punte dei piedi in fuori, e con grande decisione. Canta benissimo e lo dimostra verso la fine di Unorthodox. Ha spalle strette, torace da passero, occhi grandi e capacissimi di riempirsi di lacrime nelle scene madri. Non nella vita reale, dove dice di non commuoversi mai, soprattutto da spettatrice: «Mi è successo però per il film polacco Cold War, un capolavoro». Nella medesima intervista al New York Times, ha fatto sapere di apprezzare Nina Simone, i mandala, i libri di Stefan Zweig, la cantante israeliana Chava Alberstein. Nei Soprano, il personaggio di Carmela: che aspiri a ruoli forti non è parso inaspettato. Hanno già cominciato a paragonarla a Natali e Portman (che l’ha diretta in Sognare è vivere) e a Scarlett Johansson. La sensazione è che somigli soltanto a sé stessa.
Nata a Tel Aviv, figlia di sabra di ascendenza ungherese, polacca e ceca, un nonno scampato ad Auschwitz, un cancro infantile superato fra i tre e i quattro anni, Shira ha una storia ancora molto corta ma piena di traguardi: meglio di tutto parla la frase simbolo che si è scelta per il profilo Instagram, una citazione dalla Torah: «Se non ora, quando?». Scoperta per caso ai tempi del liceo, ha subito lavorato molto in televisione ed è diventata una celebrità nazionale, prima di Shtisel, con il film Noble Savage, che le ha fatto vincere un Academy Award israeliano. I più attenti se la ricordano in Fox Trot, che ebbe una nomination agli Oscar, e nella Signora dello zoo di Varsavia.
La regista di Unorthodox, Maria Schrader, ha definito «pura gioia» ogni giorno di lavoro diviso con lei. E’ concentrata e perfezionista: per diventare Esty ha imparato il lied di Schubert An die Musik e il linguaggio complesso di Williamsburg, uno yiddish infuso di espressioni americane: «Andavo a dormire in yiddish e in yiddish mi svegliavo», racconta. Ma «dopo mesi di studio, la rivelazione è arrivata sul set, quando mi hanno infilato l’abito nuziale di Esty: la parte emotiva ha trovato un corrispettivo fisico. E il viaggio è potuto cominciare». Pensando al momento in cui l’industria dello spettacolo tornerà ad avere un senso, qualcuno a Hollywood di quel viaggio sta già programmando altre tappe.
(La Stampa, 20 aprile 2020) – Grazie a “Notizie su Israele“