Rav Shlomo Riskin – Efrat, Israele – 5763 (2002-2003) – Tradotto da Dany e Giulio Barki
Qual è un’autentica guida ebraica? Quando dobbiamo definire la caratteristica più importante di una guida di una comunità ebraica, di una scuola, di un tempio, o di un’organizzazione, qual’è il criterio necessario? Con un tipico stile ebraico, vorrei cominciare a dare la mia risposta ponendo un’altra domanda. Perché Mosè impiega così tanto tempo e così tante energie nel rifiutare la chiamata (vocazione) che D-o gli rivolge affinché diventi la guida del popolo ebraico? Dopo tutto, ha avuto l’impegno ed il coraggio di lasciare il palazzo del Faraone, dove era stato adottato come principe egiziano, e di uccidere lo schiavista egiziano che stava picchiando l’ebreo!
E nella storia ebraica successiva fu l’umile e calmo Saggio Hillel a dire: “se sono qui io, sono qui tutti” – non perché fosse arrogante, ma perché era consapevole del proprio valore. Quando D-o chiede ad un provato e collaudato amante del suo popolo (Mosè) di “scendere in piazza”, perché questo deve tentennare?
Sì, Mosè si sarà sentito inadeguato a causa della sua balbuzie, ma l’Onnipotente gli aveva risposto: “Chi dispone una bocca per un essere umano e Chi lo rende muto…? Non sono Io, il Signore? Ora vai avanti e la Mia presenza sarà con la tua bocca e dirigerà quello che dirai…” (Esodo 4:11,12). Perché, allora, Mosè risponde a questa garanzia Divina con il chiaro rifiuto: “Per piacere, mio Signore, scegli come tuo messaggero chiunque altro” – ma non me! (Esodo 4:13).
Mosè sta evidentemente rifiutando – almeno in questo punto – la shlichut, “la professione” di servire come mandatario di D-o, la vocazione di essere messaggero di D-o. E se c’è un verbo che viene, molto più spesso di altri, ripetuto e enfatizzato in questa prima parashà del libro dell’Esodo, è proprio shlah, mandare, inviare qualcuno come mandatario (Esodo 3:10,12,13,15 – per esempio). Inoltre, Mosè aveva sicuramente sentito da Yoheved, sua madre naturale e balia, della gloriosa tradizione di “mandatari” che avevano trasmesso di generazione in generazione l’insegnamento del monoteismo etico. Quando Isacco offre a suo figlio Giacobbe “la benedizione di Abramo” di ereditare la terra ancestrale di Israele, egli gli dà l’incarico, “e Isacco ha fatto di Giacobbe un suo mandatario” (Vayishlach Yitzchak et Yaakov, Genesi 28:4,5).
In maniera analoga, quando Giacobbe manda il suo primogenito prescelto Giuseppe, al quale aveva dato la tunica dalle molte bande colorate, a verificare il benessere dei suoi fratelli, lo “invia ” come mandatario e ripete persino il verbo con enfasi, “e lo ha mandato dalla valle (emek) di Hebron” (Genesi 37:13,14). Rashi cita persino il midrash: “ma Hebron è su una montagna (non in una valle)?! Il significato del testo è che egli, lo ha inviato (con il mandato) di compiere il disegno profondo (amukah, emek) (di Abramo), il patriarca giusto che era sepolto a Hebron, in modo che si realizzasse la promessa di D-o ad Abramo “fra le parti” (Rashi, Genesi as loc). Allora, perché Mosè “dà a D-o così tanti grattacapi” così come ha fatto – anche se ovviamente accetta la richiesta di D-o dopo averne visto i segni speciali?
Rav Mordechai Elon, decano della Yeshivat Hakotel, fa una distinzione importante fra shlichut (mandato) ed arevut (garanzia); dopo tutto, come abbiamo visto nella parashà della settimana scorsa, era stato Yehudà – e non Giuseppe – a ricevere l’elezione -la vocazione -a primo-genito, e ciò è avvenuto molto probabilmente proprio perché egli era disposto ad essere un arev (garante). La missione di Abramo è quella di unire il mondo nel servizio di D-o facendo carità e giustizia (Genesi 12:3,) “si benediranno in te tutte le famiglie della terra” e, Genesi 18:19, “per il fatto che Io lo prediligo… affinché osservino le vie del Signore facendo carità e giustizia…”. Quando Giacobbe ha mandato Giuseppe a verificare il benessere dei suoi fratelli, il patriarca stava facendo del suo amato figlio il mandatario per l’unione familiare; tragicamente, come conseguenza dei racconti dei suoi sogni, si è trasformato in colui che ha diviso la famiglia – e quindi stato è privato dell’onore di essere il primo-genito.
Il successivo momento drammatico per l’unificazione di Israele è arrivato quando il Viceré ha chiesto di vedere Beniamino, il secondo figlio di Rachel. Il vecchio Giacobbe, ancora annaspante per la sua perdita di Giuseppe, è riluttante a separarsi da Beniamino nonostante questo significhi non ricevere grano egiziano in un periodo di difficile carestia. Reuven fa un’offerta che il padre Giacobbe non può accettare: “puoi uccidere i miei due figli se non ti restituirò Beniamino” (Genesi 42:37).
Yehudà approfitta dell’occasione, introducendo un nuovo concetto con cui guadagna l’approvazione di Giacobbe: “io, tuo servo, farò da garante (co-firmatario, arev) per il ragazzo ‘vis a vis’ a mio padre” (Genesi 44:32). Ed infine il fatto che Yehudà si sia offerto volontariamente come garante non ha soltanto permesso agli undici fratelli rimasti di andare insieme in Egitto, e quindi di procurare alimenti per la famiglia, ma è anche servito come opportunità per il Viceré di rivelarsi e riunire l’intera famiglia (Genesi 44:18 – 34, 45: 1-5).
Cosa ha fatto di così determinante Yehudà diventando un garante? Benché un messaggero o un mandatario sia considerato come l’individuo stesso (che lo manda) (shluho shel adam K’moto), un messaggero può informare il mandante che egli desidera porre fine al suo mandato; un messaggero, inoltre, non ha la responsabilità di portare a termine il suo incarico se si trova ad affrontare emergenze impreviste (anoos rahmana patrei). Un garante o un co-firmatario, invece, si assume il massimo della responsabilità, qualunque cosa accada. Quindi Yehuda è disposto ad essere un servo al posto di Beniamino; la sua responsabilità non conosce limiti, aldilà di qualsiasi inaspettata crisi si possa presentare (come un Viceré intrigante).
Mosè ha esitato a diventare un mandatario, o shaliah, perché non era sicuro di poter unificare gli Ebrei, di dire qualcosa agli egiziani. La sua accettazione finale, tuttavia, consistette nell’essere un mandatario – garante come era stato Yehudà; si è assunto la suprema responsabilità per il suo popolo, addirittura fino al punto di non entrare nemmeno nella terra promessa con esso. Ed effettivamente questa è la definizione più appropriata di una guida autentica: una persona che è disposta ad essere garante, ad assumersi le responsabilità per un’intera congregazione, una scuola, o una comunità, qualsiasi cosa succeda!
Shabbat Shalom