Con questa parashà inizia il secondo libro della Torà, conosciuto con il nome di Shemot (nomi) o con il nome Esodo, dato dai Settanta.
In esso viene trattata la liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù egizia.
Il libro inizia con la lettera ebraica VAV che grammaticalmente esprime una congiunzione; infatti, secondo l’interpretazione esegetica il libro di shemot sarebbe il seguito del libro precedente, bereshit, ma soprattutto viene a ricongiungersi alle parole con cui esso si conclude:“……il Signore si ricorderà in bene di voi e vi farà uscire da questo posto”.
La parola shemot, infatti in ebraico significa “nomi” e indica il merito che i figli di Israele, nonostante la schiavitù in un paese pagano, dove al centro della loro vita cultuale e sociale vi era il paganesimo, e dove tutti si annientavano per quel modo di vivere, ebbero mantenendo i loro nomi, le loro tradizioni e la loro identità.
E’ per questo motivo che furono meritevoli agli occhi di D-o, il Quale li fece uscire da quel luogo, facendo loro ereditare la terra che aveva promesso ai Patriarchi.
Secondo alcuni esegeti, la parola shemot, sarebbe l’anagramma di tre fra le mizvot più importanti della tradizione ebraica, che furono mantenute nonostante la schiavitù:
SHe” Mo” T e cioè SHABBAT, MILA’, TEFILLIN; sono queste le mizvot che il popolo di Israele ha ricevuto prima della Torà, e che nonostante la schiavitù mantenne con forza e per questo fu tratto in salvo e liberato dall’Egitto.
Shabbat shalom