Come è noto la Torah non ci trasmette dei significati solo per mezzo del senso letterale, ma anche tramite altri strumenti, ad esempio il ragionamento a fortiori (qal wachomer) o l’accostamento di brani dall’argomento differente (semikhut haparashot). Molti messaggi derivano dalle differenze fra il modo in cui viene letta la Torah (qerì) e quello in cui è scritta (ketiv). Il Talmud usa i concetti di “em lamiqra” ed “em lamassoret”. Bisogna dare maggiore importanza al modo in cui il testo è scritto o a quello in cui è letto?
Per sette giorni Mosheh si è dedicato ad istruire Aharon circa i sacrifici. All’ottavo giorno Aharon prese servizio. Scese un fuoco divino per mostrare la propria approvazione. Prima di allora Aharon, di fronte al popolo impartì la benedizione sacerdotale (birkat kohanim) (Waiqrà 9,22). In questo verso il testo della Torah presenta una stranezza, perché il termine yadav (le sue mani) è scritto senza la yod, ed anziché come un plurale si presenta come un singolare (yadò, la sua mano). Cosa intende insegnarci la Torah attraverso questa particolarità? Lo Zohar da qui impara una halakhah: sebbene il Kohen durante la benedizione alzi entrambe le mani, la mano destra deve essere più in alto della sinistra. Secondo la qabalah infatti la destra e la sinistra rappresentano rispettivamente la misericordia e il giudizio rigoroso. Si intende accennare pertanto al predominio della misericordia sul giudizio. Tuttavia questo non è l’unico caso in cui nel testo compare questa particolarità. Troviamo la stessa stranezza, in modo ancora più evidente, nel brano che leggiamo il giorno di Kippur. Durante il cerimoniale il Kohen poggia entrambe le mani (shetè yadav) sul capro espiatorio. Qui nuovamente yadav è scritto senza la yod, anche se la Torah scrive esplicitamente che il Kohen Gadol deve poggiare entrambe le mani. La ghemarà nel trattato di Menachot apprende da qui un principio generale: tutte le volte in cui si parla dell’atto della semikhah (il poggiare le mani sui sacrifici), anche se la Torah si esprime al singolare, in ogni caso è necessario poggiare entrambe le mani sull’animale. Quindi per esempio la prima volta in cui questo atto compare nel libro di Waiqrà, quando viene introdotto il tema dei sacrifici (1,4), ed è scritto “e poggerà la sua mano”, ci si riferisce a tutte e due le mani.
Un’anomalia della stessa portata è individuabile in un altro testo, di estrema importanza per le dottrine mistiche, il primo capitolo del libro di Ezechiele, il ma’aseh merkavah. Al v. 8 è scritto “e mani umane sotto le loro ali”. Anche qui yedè (le due mani) è scritto al singolare (yadò). Ça ghemarà in massekhet Pesachim (119a) spiega che la mano di cui si parla è la mano di H., tesa a ricevere la teshuvah di coloro che si pentono, al cospetto della middat ha-din, l’attributo del giudizio rigoroso, che li accusa. In assoluto l’idea di Teshuvah contrasta la ragione. Come è possibile raddrizzare le storture del passato? La frittata ormai è fatta. Non è possibile tornare indietro. L’idea della teshuvah trascende il tempo, e le categorie tradizionali di pensiero non sono in grado di comprenderla a pieno. La mano di H. stravolge la natura e la logica umana, e introduce un nuovo modo di pensare.
E’ possibile pertanto affermare che tutte le volte in cui troviamo questa stranezza compaia un’altra mano oltre a quella dell’uomo, la mano di H. In questo modo è possibile che il Kohen trasferisca sul capro espiatorio tutte le colpe di Israele, e più in generale che l’offerente possa caricare il sacrificio delle proprie colpe attraverso l’imposizione delle mani. Questo è possibile solo per via dell’intromissione della “mano” divina.
Lo stesso possiamo dire per la birkat kohanim. Come è possibile che il Kohen gadol, o un qualsiasi sacerdote, per quanto possa essere degno, indirizzi attraverso la sua benedizione un flusso benefico su Israele? Anche qui è indispensabile che la mano di H. intervenga in modo nascosto. Per questo è detto (Bemidbar 6,27) “ e porranno il Mio nome sui figli di Israele e Io li benedirò”. I Kohanim impartiranno la benedizione, ma, dice H., Io interverrò e trasmetterò la Mia benedizione. Se è così, capiamo perché è proibito vedere le mani del Kohen mentre impartisce la benedizione, perché in un certo senso vederle significherebbe vedere la luce che emana dalla Presenza divina.