Secondo una linea interpretativa, la costruzione del Mishkàn (Santuario) e il culto dei sacrifici furono ordinati da Dio al popolo ebraico per espiare la grave colpa del vitello d’oro, della quale si era macchiato poco dopo la promulgazione della Torà. In questo modo, il popolo si sarebbe prima avvicinato a Dio portando i materiali e le offerte per costruire il Mishkàn e poi, attraverso i vari tipi di sacrifici che venivano presentati ogni giorno, si sarebbe avvicinato ancora di più a Dio e avrebbe santificato la sua vita spirituale. Secondo rabbì Ovadia Sforno (Cesena 1475 – Bologna 1550), le regole dell’alimentazione (kashrùt) e dell’impurità (tum’à) furono anch’esse comandate al popolo per santificare la vita materiale; questa interpretazione si basa sui versi finali di questa parashà che seguono immediatamente le regole della kashrùt e dell’impurità, nei quali è scritto: “…e vi sforzerete di essere santi, e sarete santi, perché santo sono Io…” (Vayikrà 11, 44) e sulla tradizione dei Maestri che chiamano il corpo di ogni ebreo mikdàsh me’àt (un piccolo santuario).