Cena giovani UGEI
Proprio nei giorni in cui è mancata una delle figure maggiormente rappresentative dell’ebraismo italiano, Rav Elio Toaff, per oltre cinquant’anni Rabbino Capo di Roma, in Israele è mancato un altro importante maestro, forse sconosciuto ai più in Italia, Rav Aharon Lichtenstein, a capo della Yeshivàh Har Etzion, ed uno dei principali discepoli di Rav Soloveitchik. Volevo dedicare alla loro memoria questa breve lezione, tratta per lo più da uno scritto di Rav Lichtenstein sulla parashàh di Vajelekh, che leggeremo questa settimana. La parashàh, che è la più breve della Toràh, si apre con questi versi: “E andò Moshèh, e pronunciò queste parole a tutto Israele. Disse loro: oggi ho 120 anni e non posso più andare e venire, e il Signore mi ha detto “tu non passerai questo Giordano”. Dov’è andato Moshèh? Secondo un’opinione da ciascuna delle tribù, per preannunciare la sua morte. Secondo altri sempre dalle tribù, ma per benedire ciascuna di esse con la benedizione più appropriata, che troviamo nella parashàh di wezot ha-berakhàh.
Cosa vuol dire che Moshèh non può più andare e venire? Essendo anziano non ce la fa più, come dice Sforno? In fondo è naturale che ad una certa età si abbia un decadimento fisico! Rashì però è di un altro parere: non posso, perché non ne ho più il permesso, perché è stato trasmesso a Yehoshua’. Moshèh ormai si è eclissato dalla storia. Sia se leggiamo questo fatto come Rashì, sia se lo leggiamo come Sforno, il destino di Moshèh è tragico, ma lo è ancora di più secondo la lettura del Midrash: Yehoshua’ entra nella tenda della radunanza e Moshèh rimane fuori, a ruoli invertiti rispetto a come era sempre stato in precedenza. Moshèh chiese a Yehoshua’ cosa gli avesse detto H. Yehoshua’ rispose che quando era lui a rimanere fuori dalla tenda, sapeva cosa H. diceva a Moshèh. Moshèh disse: meglio morire cento volte che essere gelosi una volta! Alla fine della parashàh troviamo però Moshèh che trasmette la Toràh ai Leviim. La forma verbale che la Toràh utilizza è alquanto singolare, laqoakh, che, dice Rashì, è una forma analoga a shamor e zakhor. Rashì in questo brano non spiega la funzione di questa forma, ma è sufficiente leggere il suo commento ai dieci comandamenti: “tenete a cuore sempre di ricordare il giorno dello Shabbat”. Non si tratta di un’azione puntuale, e neanche di un’azione puntuale e ripetuta, ma di un’azione ininterrotta. E questo è anche il senso delle parole che vengono dette ai Leviim: il loro compito è quello di trasmettere incessantemente la Toràh di generazione in generazione, dall’epoca di Moshèh sino ad oggi.
Secondo un’opinione nel Midrash Moshèh destinò il suo ultimo giorno di vita alla scrittura di sifrè Toràh da consegnare alla tribù, e alla scrittura di un sefer da lasciare nell’Aron, affinché la Toràh non venisse modificata, perché la sua principale preoccupazione era la trasmissione della Toràh. Anche nel suo ultimo giorno di vita, pur non avendo più alcuna responsabilità, piuttosto che occuparsi degli affari propri o dei massimi sistemi, Moshèh si dedica alla collettività. Il Tanakh si conclude con le parole del profeta Malakhì, dove si dice “ricordate la Toràh del Mio servo Moshèh”. E’ vero che con la sua morte Moshèh scompare dalla storia, ma sorge una nuova figura, non inferiore a quella del Moshèh in vita. Quando in qualsiasi generazione avviene la trasmissione della Toràh riemerge la figura di Moshèh come colui che trasmette la Toràh. In un famoso brano nel trattato di Menachot Moshèh, catapultato in una lezione di R. Aqivà, dall’ultima fila non capisce nulla, ed è molto scoraggiato per questo. Ma quando R. Aqivà, interrogato su quale fosse la fonte di quanto affermava, rispose che era Halakhàh leMoshè miSinai, Moshèh riprese le forze.
Quando Moshèh comprese che la Toràh era un’entità dinamica, che legava ogni generazione con la precedente, sino ad arrivare alla sua, non qualcosa di staccato, ma una realtà in evoluzione, si tranquillizzò. Vajelekh Moshèh – Moshè andò, c’è chi dice verso la sua sepoltura, ma anche verso di noi, consegnandoci in ogni momento la sua Toràh. Entrambe le mitzwoth che troviamo la parashàh, quella dell’haqhel e quella di scrivere un sefer Toràh, sono legate a questo concetto: il Rosh ritiene che la seconda mitzwàh, oggettivamente di difficile esecuzione, possa essere praticata acquistando libri di studio, perché in questo modo si persegue lo stesso scopo, che è quello di trasmettere la Toràh alle generazioni future. E’ vero che Moshèh è andato, ma in un certo senso è arrivato a noi.