Il Giornale – n. 7 del 13-02-06
L’«antisemita» di Mantova
Vittorio Sgarbi
Per inutili antiche polemiche, dovrei compiacermi del dimissionamento del direttore della Voce di Mantova, Davide Mattellini, ostinato oppositore delle storiche amministrazioni di centrosinistra che governano indisturbate da anni la bella città di Mantova. Pettegolezzi, insinuazioni, colpi bassi, disprezzo dell’azione spesso sbrigativa, ma illuminata, dell’ex sindaco Gianfranco Burchiellaro, animatore di memorabili mostre in Palazzo Tè, non giustificano il sacrificio del direttore per avere, anche in modo provocatorio, difeso concetti, principii e simboli che fanno riferimento alle nostre radici cristiane. Abbiamo già dovuto sopportare l’insulto a Fabrizio Quattrocchi cui la città di Genova ha negato il nome di una piazza. Registriamo con compiacimento la determinazione della Chiesa di santificare don Andrea Santoro, martire civile oltre che religioso, come martire religioso oltre che civile è stato Quattrocchi. Le condizioni e la contrapposizione di culture sono le medesime; e forse la Chiesa dovrebbe fare uno sforzo per avviare la causa di beatificazione anche per Quattrocchi. I grandi martiri cristiani non sono necessariamente preti. E anche civili e soldati (penso al santo da cui derivo il nome) hanno avuto il riconoscimento del loro martirio in nome di una orgogliosa identità religiosa.
Oggi Davide Mattellini cade, è costretto a dimettersi perché è accusato di antisemitismo. Sembra un paradosso se si medita a quali posizioni ha assunto la sinistra italiana rispetto allo Stato di Israele, quali accuse sono state indirizzate agli israeliani in nome della resistenza palestinese, in difesa di Arafat e a giustificazione di atti terroristici contro Israele. Una parte cospicua della sinistra è antiamericana e antisraeliana. Eppure l’antisemita è Mattellini. Intellettuali e anime belle, in nome di condivisibilissimi principi dei rappresentanti dell’Istituto Mantovano di Storia Contemporanea, lo hanno riconosciuto colpevole per la leggerezza di avere adottato espressioni caricaturali per difendere il simbolo della Croce Rossa. Si può discutere del gusto, dell’opportunità; ma l’accusa e la condanna hanno lo stesso significato delle reazioni di violenza e di odio a seguito delle improvvide e certamente inopportune vignette antislamiche in Danimarca. Cosa ha fatto Mattellini per essere epurato? Ha scritto: «Cancellare quella croce per accontentare i sottanoni degli arabi o gli israeliani con i trecciolini che s’inzuccano contro un muro è una bestemmia bella e buona». Irrispettoso sì, irridente sì. Ma anche irrisorio e facile e certamente non tale da giustificare una reazione così severa. Troppo tardi per chiedere la grazia. Ma apprezzi Mattellini che, nella valutazione delle circostanze, il suo nemico, da lui tante volte accusato senza ragioni opportune, oggi ritiene di doverlo sostenere per consentirgli di continuare a dire quello che pensa, anche senza moderazione, anche in modo imprudente o temerario. Egli è stato vittima del pregiudizio, del politicamente corretto che impone forme e linguaggi, spesso ipocriti, che nascondono crudeltà e violenza, in nome di un’ideologia prevalente. Egli ha parlato per quell’istinto di difesa di ciò che è dentro di noi e di cui sembrerebbe ci dovessimo vergognare.
Vergognarsi della croce, rimuoverla, cancellarla, rinnegare in essa il Cristo. Mattellini ha parlato di bestemmia. Con ragione.
Penso a cosa avrebbe detto un grande scrittore come Giovanni Testori e osservo la politica delle opportunità che spinge a dimenticare, o a eludere, le radici cristiane nella Costituzione europea. Penso a Piero della Francesca, penso agli affreschi di Arezzo, capolavoro di una civiltà occidentale sul tema della «vera croce». Dovremmo cancellarli? Dovremmo rimuoverli dalla memoria come il crocefisso dalle scuole e dalle aule dei tribunali? Era un tempo ragione di orgoglio, e a questo Mattellini si è richiamato, il motto di Costantino: In hoc signo vinces. Oggi non si può più dirlo, domani, forse, pensarlo. Così al posto della croce campeggia oggi un rombo che non appartiene a nessuno e che non significa nulla. Ciò che significa è perduto, ciò che siamo anche. La croce può essere umiliata, cancellata. L’ironia è considerata offesa. Così il politicamente corretto può eliminare una voce libera perché stonata. E, con ciò, impedirle di parlare.