“Egli ha gettato in mare i carri di faraone e il suo esercito e i migliori suoi condottieri sono stati sommersi nel mar Rosso” (Esodo 15:4). Il passaggio del Mar Rosso è la conclusione della storia liberazione dei figli d’Israele dalla schiavitù egiziana. È anche il motivo per cui Pesach dura sette giorni e non solo il giorno in cui i nostri antenati lasciarono l’Egitto. Gli egiziani, sgomenti dalla morte dei loro primogeniti e costretti a concedere la libertà agli ebrei, cambiarono presto idea e decisero di inseguirli. Questo ripensamento avvenne quando seppero che un idolo era rimasto integro vicino al Mar Rosso, un idolo preservato da Dio proprio per dare agli egiziani un falso senso di speranza e di rivalsa. Il piano di Dio era che gli egiziani raggiungessero gli ebrei in un luogo dove la loro fuga sembrava impossibile.
Fu allora che ebbe luogo un momento fondamentale nella storia ebraica, un momento che determinò la nostra miracolosa sopravvivenza ponendo fine alla vita dei nostri oppressori. Il mare si aprì e i figli d’Israele lo attraversarono camminando sull’asciutto. Non appena gli egiziani li inseguirono con loro cavalleria, le acque la loro forza torrenziale, si richiusero e li sommerse.
La storia è molto più di una semplice narrazione di salvezza nazionale. C’è un aspetto in essa che i nostri maestri hanno riconosciuto e che la rende rilevante per le nostre vite.
Il modo in cui morirono gli egiziani rivela un sistema di giustizia divina notevole non solo per la sua equità, ma anche per il chiaro monito che ci pone di fronte l’intervento divino.
Dio avrebbe potuto punire gli egiziani in molti modi diversi, ma decise di annegarli per evidenziare che tra tutte le loro brutalità perpetrate, la più disumana fu l’annegamento dei bambini ebrei.
Midah keneghed midah/misura per misura: questo è uno dei messaggi della divisione del mare: le nostre azioni vengono ripagate in egual misura.
È così che Dio ci fa sapere che gli eventi della nostra vita non sono casuali coincidenze, ciò che facciamo agli altri torna indietro a noi: come punizione se facciamo il male, come ricompensa se facciamo il bene.
La Torah ci offre un’ulteriore illustrazione, questa volta in senso positivo, di questo principio.
Miriam, sorella di Mosè, ebbe un ruolo speciale nel salvare la vita del fratello. Miriam, dopo che sua madre aveva lasciato il fratello in una cesta nel Nilo, non si allontanò mai da lui. Non sapeva cosa fare, sapeva solo che non poteva andarsene. Doveva aspettare, forse avrebbe potuto in qualche modo essere d’aiuto. Questo suo attendere, rese possibile l’incontro con la figlia del faraone, che lo aveva raccolto dal fiume, parlare con lei e consigliarla di far allattare il bambino da una donna ebrea.
Molti anni dopo si verificò l’attuazione del principio “misura per misura”. Miriam, durante il viaggio nel deserto, fu colpita dalla lebbra. Invece di proseguire, l’intero accampamento d’Israele attese che Miriam fosse guarita e di nuovo pura. Dio stesso, la presenza divina, l’arca dell’alleanza, i sacerdoti, i leviti, tutto il popolo e le sette nuvole di gloria attesero tutti Miriam.
Una lista d’attesa piuttosto impressionante. Come degna ricompensa per il tempo che Miriam aveva atteso, e quella buona azione non richiese più di un’ora, tutti attesero Miriam per sette giorni.
La storia ha molti messaggi, il passato ha molto da insegnarci. Ma questo evento, in particolare, vuole instillare nel nostro animo la consapevolezza e la fiducia che, a tempo debito, gli Haman che complottano per impiccare Mordekhay vengono a loro volta impiccati a quella stessa forca. Gli egiziani non solo morirono; annegarono, affinché non perdessimo di vista il legame tra crimine e punizione.
Il concetto di misura per misura è rilevante anche nelle nostre vite perché, riflettendoci, è possibile che ognuno di noi possa trovare nella propria vita un seguito alla storia del Mar Rosso.
Shabbat Shalom e Moadim lesimchà!