Alessandro Zaccuri

Nel 1905 fu proprio quest’ultimo saggio a fare del giovane rabbi – nato nel 1873, Baeck morì nel 1956 – una delle personalità di spicco nell’ebraismo della sua epoca. Si trattava, in sostanza, di una risposta al celebre L’essenza del cristianesimo di Adolf von Harnack, rispetto al quale Baeck rivendicava il carattere “giudaico” della predicazione di Gesù e, nello stesso tempo, attribuiva a Paolo l’opera di sistemazione teologica della nuova religione. E Paolo, com’è noto, era «fariseo, figlio di farisei».Fatalmente datato dal punto di vista della ricerca storica, il lavoro di Baeck segna in ogni caso un punto fermo nell’interpretazione del fenomeno. I farisei si affermano durante il regno degli Asmonei, in particolare sotto Giovanni Ircano (134-104 a.C.), come comunità di «santi» in cui l’elezione di Israele assume una forma innovativa. Al culto del sacrificio, amministrato dai sacerdoti nel Tempio di Gerusalemme, si affianca il culto della Parola che i sapienti dispensano nelle sinagoghe, luoghi “separati” – ancora una volta – che garantiscono la sopravvivenza dell’ebraismo anche nel pieno della diaspora. L’obbedienza alle regole è fondamentale perché mette il riparo il credente dalla contaminazione con i gentili, ma ad assumere una centralità altrimenti sconosciuta è la lettura del Libro e la sua interpretazione secondo tradizione. Tutto questo, osserva Baeck, non è privo di implicazioni politiche: i farisei si qualificano come «partito del popolo in contrapposizione alla condizione privilegiata e alla nobiltà dei sacerdoti».
Del resto anche lo scrittore Chaim Potok nella sua Storia degli ebrei (edita in Italia da Garzanti) invita a dimenticare la rappresentazione dei farisei «come vecchi cortesi dalle fluenti barbe bianche». Al contrario, spiega, si tratta di «seguaci appassionati degli insegnamenti degli scribi, in molti casi abili con la spada e la lancia così come con i testi della legge, pronti a uccidere per amore del loro Dio». Nella ricostruzione di Baeck, alle soglie dell’era cristiana il movimento farisaico subisce una polarizzazione che porta, da un lato, al costituirsi della fazione combattente degli zeloti e, sull’altro versante, all’esperienza contemplativa degli esseni.
Secondo Baeck, dunque, i farisei della diaspora costituiscono «il primo esempio di una comunità fondata all’esterno del proprio paese, in nome della religione». Separati, com’è nel loro destino, ma nondimeno partecipi della chiamata universale testimoniata dai profeti di Israele. La visione escatologica e la relativa letteratura apocalittica rappresentano una componente irrinunciabile del pensiero farisaico che, nel momento stesso in cui sancisce il principio di elezione, riconosce la dignità originaria della condizione umana. È il delinearsi della prospettiva messianica, in una dimensione dell’attesa che giustifica – almeno in parte – la severità del racconto evangelico nei confronti del legalismo di cui i farisei sono depositari. «Quel grandioso tentativo– annota da ultimo Baeck – doveva preparare il terreno per il regno di Dio. Il nome appartiene al passato, ma il significato del comandamento contenuto in quel nome è rimasto realtà ideale».
Del resto anche lo scrittore Chaim Potok nella sua Storia degli ebrei (edita in Italia da Garzanti) invita a dimenticare la rappresentazione dei farisei «come vecchi cortesi dalle fluenti barbe bianche». Al contrario, spiega, si tratta di «seguaci appassionati degli insegnamenti degli scribi, in molti casi abili con la spada e la lancia così come con i testi della legge, pronti a uccidere per amore del loro Dio». Nella ricostruzione di Baeck, alle soglie dell’era cristiana il movimento farisaico subisce una polarizzazione che porta, da un lato, al costituirsi della fazione combattente degli zeloti e, sull’altro versante, all’esperienza contemplativa degli esseni.
Secondo Baeck, dunque, i farisei della diaspora costituiscono «il primo esempio di una comunità fondata all’esterno del proprio paese, in nome della religione». Separati, com’è nel loro destino, ma nondimeno partecipi della chiamata universale testimoniata dai profeti di Israele. La visione escatologica e la relativa letteratura apocalittica rappresentano una componente irrinunciabile del pensiero farisaico che, nel momento stesso in cui sancisce il principio di elezione, riconosce la dignità originaria della condizione umana. È il delinearsi della prospettiva messianica, in una dimensione dell’attesa che giustifica – almeno in parte – la severità del racconto evangelico nei confronti del legalismo di cui i farisei sono depositari. «Quel grandioso tentativo– annota da ultimo Baeck – doveva preparare il terreno per il regno di Dio. Il nome appartiene al passato, ma il significato del comandamento contenuto in quel nome è rimasto realtà ideale».
Leo Baeck
I Farisei: un capitolo di storia ebraica
Giuntina (pagine 72, euro 10)
http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/separati-e-universali-così-erano-i-farisei.aspx