La nostra comunità, Modena, è una delle più piccole in Italia, pochi ebrei, una sinagoga, un consiglio e tanti problemi.
Eppure anche una comunità piccola come la nostra diventa appetibile agli occhi della “congregazione” riformata milanese Lev Chadash. Hanno chiamato in comunità e hanno offerto un incontro con il loro nuovo capo spirituale: una “rabbina” (faccio ancora difficoltà a digerire il termine). I nostri responsabili comunitari hanno purtroppo abboccato all’amo e hanno risposto positivamente, con uno spirito di “abbiamo provato tutto, proviamo anche questo”. La cosa è però molto più grave. Temo che il riconosciuto senso di ospitalità della comunità modenese venga frainteso e usato per trovare nuovo terreno dove attecchire con ideologie estranee.
Pensavamo che la rabbina americana fosse un fenomeno montato da giornalisti compiacenti, con tanto di presentazione alla stampa, flash di fotografi e dichiarazioni ovviamente buoniste da libro Cuore, solo per evidenziare quanto invece sono “cattivi” i rabbini ortodossi. Peraltro non avrei mai pensato di chiamare i nostri rabbini italiani “ortodossi”. Ortodossi mi è sempre sembrato un termine per definire i “guardiani della fede” che difendono l’indifendibile. Eppure quando si presenta questa affabile signora con un tallit sopra le spalle e che si fa chiamare rav, capisco che molte cose sono cambiate anche in Italia. Finora abbiamo chiamato “ebrei”, senza altro aggettivo, tutti, indistintamente, sia quelli più osservanti, sia quelli che lo sono un po’ meno. Spesso molto meno.
Ma come fa un piccolo gruppo milanese appena nato a proporre attività in altre comunità? Dove prende i soldi? Abbiamo domandato e ci è stato risposto che sì, il gruppo ebraico si auto-tassa regolarmente, come altri gruppi, ma che molti fondi arrivano anche dall’estero, dall’Unione mondiale dell’ebraismo liberale, con i buoni auspici del rabbino David Goldberg. Lo stesso rabbino che a Londra ha celebrato matrimoni, non solo “misti” ma congiuntamente a un prete.
È triste pensare che i nostri giovani che fanno molti sforzi e sacrifici per arrivare, con difficoltà, a un matrimonio ebraico, siano indottrinati, con soldi, magari americani, da rabbini (o rabbine) che rispondono “non c’è problema, sposate chi volete”. Ancora più grave che queste attività avvengano in una comunità come la nostra, che lotta oramai per la sopravvivenza e perché ci siano non solo stupende sinagoghe, resti da tutelare di un passato glorioso, ma anche ebrei capaci, ogni tanto, di recitarvi una preghiera.
Lettera firmata