Spuntano fuori altri particolari della lezione “ad hoc” di Rav Lau a Gerusalemme su donne e Meghillà. Secondo Marco Jona non è proprio andata come la racconta Jonathan Pacifici (Kolot del 25/6/09).
Caro David,
nell’articolo di Daniela e Miriam, queste si erano riguardate di tralasciare le polemiche, e soprattutto i nominativi di quelli che le polemiche le avevano fatte, il che mi era parso di buonissimo tono.
Purtroppo, il mio amico Jonathan ha deciso di non attenersi agli stessi standard, e allora mi sento in dovere di scendere in campo anch’io. Io, per chi non mi conosce, sono membro della commissione Tempio della Comunità di Gerusalemme, assieme a Jonathan e altre 5 persone, e assiduo frequentatore della Sinagoga Italiana di Gerusalemme da vent’anni, da quando ho fatto l’alià.
Jonathan scrive: “Non tedierò i lettori della tua newsletter con le inesattezze riportate”; peccato che non lo abbia fatto, perché sarei stato proprio curioso di sapere a quali inesattezze si riferisse: proprio ieri mi ero lodato con Daniela e Miriam sul fatto che avessero riportato le cose come erano successe, tralasciando solo proprio le polemiche e le beghe di cattivo gusto.
E ora permetti a me di tediarti con un po’ di “inesattezze riportate”: dopo la “brillante lezione di Rav Benny Lau (che i tre quarti dei presenti non ha capito)”: non c’è stato nessun esame/interrogazione (ahimè i ricordi del liceo ormai lontani) sulla conferenza, per cui asserire che i tre quarti dei presenti (una sessantina di persone, tra cui tre rabbini) non avesse capito è o indice di profezia, o indice di mancanza di rispetto da parte di Jonathan.
“Venti minuti di lezione”. La lezione è durata ben più di venti minuti, circa un ora e mezzo. Si è conclusa con Rav Benny Lau che si rifiutò di pronunciarsi in un senso o nell’altro nel nostro caso, e che ci lasciò in modo che noi potessimo decidere senza essere influenzati dalla sua presenza.
“Si sceglie la regola a propria immagine e somiglianza”: dice molto bene Jonathan… Il punto a mio avviso è nel verbo: scegliersi; e non farsi. Scegliere tra le varie opinioni accettate nel contesto della Halakhà, e non farsi una regola nuova fuori della Halachà: Questo è il principio che ha sempre distinto l’ortodossia dalla riforma.
Sono d’accordissimo con Jonathan che “Una comunità dovrebbe avere un proprio Maestro”, ma purtroppo a Gerusalemme non ce l’abbiamo. Tuttavia quella sera c’erano presenti (anche al dibattito seguito alla lezione di Rav Benny Lau), tre rabbini italiani: Rav Reuven Bonfil, ex rabbino capo di Milano, Rav Davide Nizza, ex direttore del liceo ebraico di Milano, e Rav Hillel Sermoneta, figlio di italiani, nato, cresciuto e formato qui a Gerusalemme.
Rav Benny Lau si è invece astenuto dal dare una propria opinione sull’argomento, limitandosi ad esporre le varie posizioni rabbiniche e rispondendo ad alcune domande del pubblico; ad altre si e’ rifiutato di rispondere, perché avrebbero comportato un’esposizione delle sue opinioni personali.
“Così possono raccogliere su internet un articolo di Yediot che parla per sentito dire di una derashà di Rav Ovadia e decidere da soli”: questa è stata una delle domande del pubblico a Rav Benny Lau, il quale ha esposto tutta le storia nei particolari come lui la conosceva già da tempo raccontata da Rav Ovadia stesso anni fa (e non per sentito dire su internet). Comunque la domanda era come curiosità, essendo il caso (caso in cui non fosse disponibile nessun uomo che sapesse leggere, per cui una donna poteva far uscire d’obbligo anche gli uomini presenti) completamente diverso da quello che stavamo affrontando noi (caso in cui una donna potesse o non potesse far uscire d’obbligo altre donne senza uomini presenti).
“Sulle domande di Halachà, sulle controversie, è il Marà DeAtra, il Signore del Luogo, che si deve pronunciare.” E infatti erano partecipi i tre rabbini suddetti, dei quali due erano a favore della lettura delle donne, mentre il terzo ne era contrario (anche se alla fine ha dichiarato di non opporsi).
“Siamo gelosi custodi di una tradizione unica in seno ad Israele,[…] e poi siamo pronti ad introdurre con cotanta leggerezza un fenomeno che non è affatto nel consenso dell’ortodossia?”: Ma come si è formata questa tradizione? Di colpo è piovuta dal cielo quando sono arrivati gli ebrei a Roma durante l’impero romano? No! Si è evoluta nel corso dei secoli, con alti e bassi, con lampi di genio e prove fallite, e Così continua tuttora, volenti o nolenti: il fatto che ci sia una Comunità Italiana in Israele e a Gerusalemme ha di per se comportato dei cambiamenti nella tradizione dovuti alle regole particolari che esistono in Israele e a Gerusalemme. Si è dovuto reinventare una tradizione tenendo conto di ciò (vedi per esempio i famosi pjutim di cui parla Jonathan durante le feste: essendoci in Israele un solo giorno di festa, quale leggere?), e così la tradizione si evolve tenendo il passo con la vita. Negli ultimi vent’anni a Gerusalemme, nell’ambito delle comunità ortodosse caratterizzate dalla kippà all’uncinetto (le più simili tra le non italiane alle comunità italiane come visione e stile di vita), si è diffuso, a pari passo con la miglior educazione femminile) l’uso della lettura della Megillà da parte di donne; essendo una novità, ci sono varie “correnti”: da quella in cui donne leggono solo per donne, in una casa privata, contemporaneamente alla lettura degli uomini in sinagoga, via lettura in sinagoga per sole donne ad orario diverso dalla lettura degli uomini, fino a letture miste (qualche capitolo uomini e qualche capitolo donne) con uomini e donne presenti (seduti separatamente con mechizà, panello divisorio). C’è persino una sinagoga di mia conoscenza in cui ci sono tre letture diverse: una in cui leggono donne per sole donne, una seconda in cui legge un uomo per tutti, e una terza in cui leggono un po’ uomini e un po’ donne per tutti (l’ordine qui riportato è puramente casuale!). Al giorno d’oggi a Gerusalemme di letture di Megillà di donne secondo le varie correnti descritte (escludendo le letture riformate, in cui uomini e donne siedono assieme, magari c’è il microfono, che esclude la mizvà di “ascoltare”, o l’accompagnamento musicale!) ce n’è decine, per cui certo non è una cosa straordinaria.
Mi pare infine alquanto errato accusare di leggerezza una decisione che viene presa ascoltando il parere di vari rabbini presenti, studiando le varie posizioni rabbiniche sulla Halachà del caso, e conducendo un dibattito che ha coinvolto una buona fetta della Comunità.
“Che peso ha il fatto che alcune delle promotrici preghino regolarmente a Shirà Chadashà, il Tempio riformista che ha la chuzpà di chiamarsi ortodosso?” Indipendentemente dalle mie opinioni personali su questa o quella sinagoga, al Tempio Italiano a Gerusalemme ci si è sempre astenuti dal giudicare il comportamento dei partecipanti fuori dalla sinagoga stessa, limitandosi a richiedere un comportamento consono alle nostre richieste quando si partecipa: così è possibile che persone che magari non puntualizzano sull’osservanza delle mizvot possano partecipare, soprattutto in occasioni di feste quali bar/bat mizva, matrimoni, nascite, ecc. Se ci mettessimo a sindacare su come si comporta la gente fuori dalla sinagoga, prima di tutto rimarremmo in quattro gatti, e poi diventeremmo molto simili all’inquisizione. Del resto la tradizione italiana è sempre stata molto liberale al riguardo, e provi ognuno a pensare cosa succederebbe se dalla propria sinagoga si escludesse ogni persona che la pensa in modo diverso su un qualche argomento!
“Non ho cambiato opinione come tutti gli altri membri dopo la farsa di ‘chi vuole essere rabbino’.” Eh no, caro Jonathan, non mettermi parole non mie in bocca! Io la mia opinione non l’ho mai cambiata! Piuttosto me la sono formata, pian pianino, ascoltando e vedendo qui e là nel corso degli anni, quando per esempio la prima volta che c’è stata la lettura delle donne, due anni fa, io facevo lo shamash del Tempio di Gerusalemme, e dopo la lettura degli uomini al mattino, mi ero soffermato per rimettere a posto i libri e fare tutte quelle cose di piccola manutenzione che non si possono fare di sabato; arrivate le donne per la lettura, mi hanno “buttato fuori” (in modo molto benevolo, ben inteso, ma fermo), che mai fosse che un uomo potesse ascoltarle! Me la sono formata quando ho capito come quest’uso di leggere la Megillà da parte delle donne che è fiorito in questi anni a Gerusalemme, fosse accompagnato dallo sforzo, fatto con lo studio e l’approfondimento anche da parte di varie persone illustri, di non uscire dai limiti della Halachà. Me la sono formata infine vedendo quanto seriamente questo gruppo di donne italiane stessero studiando la Megillà, per evitare di fare errori durante la lettura, cosa che invece nella lettura degli uomini al Tempio di Gerusalemme non sempre è stata tenuta di conto.
Ad ogni modo, come dichiarai durante i dibattito, il mio voto nella commissione non fu basato sul mio parere personale, bensì sull’opinione del pubblico come era venuta fuori durante il dibattito stesso, e soprattutto sul fatto che due rabbini su tre, entrambi di vasta esperienza in Italia, si fossero pronunciati a favore della lettura.
“Sono stato accusato in maniera vile, sono state scritte cose su di me, che spero di avere la forza di dimenticare prima del prossimo Yom Kippur.”. Se così è successo, caro Jonathan, mi dispiace molto, prima di tutto perché ti considero un amico, e poi perché cose simili sono successe anche a me e a persone che io stimo molto proprio sullo stesso argomento, anche se in senso diametralmente opposto. Spero proprio che prima del prossimo Yom Kippur, tu riesca a dimenticare queste cose, io per le mie l’ho già fatto.
Marco Jona