Quando, circa un mese fa, trenta persone, tutte a capo di un progetto culturale ebraico italiano, si sono riunite a Ferrara, David Piazza fece notare che mancavano a quel primo spontaneo appello partito dal MEIS alcuni rappresentanti della cultura ebraica italiana. Tra questi, ci disse, non erano stati chiamati, ad esempio, gli ebrei libici di Roma, o gli ebrei milanesi provenienti dalla Persia, dall’Egitto, da Aleppo, dalla Turchia, dal Libano. L’ho ascoltato con molta attenzione e ho preso nota, provando subito a risalire con la mente a un centro ebraico che si occupasse esclusivamente di queste culture. Ho pensato alle varie sinagoghe di rito tripolino, persiano, libanese. Mi sono ricordata della bella sala allestita al Museo ebraico di Roma sull’ebraismo libico, delle allegre serate in case private, o in locali, per la Henna o la Bsisa. Ma in fondo sono arrivata alla conclusione che gli ebrei originari da questi paesi frequentano i luoghi della cultura ebraica assieme a tutti gli altri ebrei italiani. Un bene. Eppure come recuperare anche la loro cultura in un tavolo istituzionale?
In una intensa conversazione David Meghnagi, che tra i tanti suoi incarichi, è stato nominato assessore UCEI alla Cultura, mi ha parlato della figura emblematica di un ebreo tripolino, Mordechai HaCohen – nipote di un Mordechai HaCohen genovese finito in Libia – il quale ha lasciato all’inizio del secolo scorso un dettagliato libro in ebraico sugli usi e i costumi della comunità ebraica libica, che ancora oggi costituisce la fonte primaria per la ricostruzione di questa ricca identità culturale. Un intreccio più che simbolico tra le due culture. Sarà questo, immagino, uno dei temi attorno ai quali verranno tessute nel 2017 le celebrazioni per i 50 anni dell’arrivo degli ebrei libici in Italia.
È importante e bello guardare al risultato di questo abbraccio culturale tra gli ebrei giunti in Italia in esodi recenti e gli ebrei che già vivevano nella penisola. Mi commuove farlo raccontando l’atmosfera davvero speciale che viviamo a ogni Festa e a ogni Shabbat, ma non solo, al Tempio conosciuto a Roma come Tempio dei Parioli, dedicato a Eliahu Mimmo Fadlun dalla sua famiglia che ha messo a disposizione i locali.
Nato nel 2014, questo minian di rito tripolino, affidato però a un rav molto romano, Gianfranco Di Segni, e con la partecipazione mista di ebrei libici e romani, ha creato un appuntamento di grande gioia, accoglienza, generosità e calore umano. Un pubblico di tutte le età e provenienza: bambini, adolescenti, universitari, giovani famiglie, professionisti, commercianti, turisti, diplomatici, studiosi, pensionati. Recentemente il tempio si è arricchito perfino di un gruppetto di teneri neonati, segno di benedizione e di ulteriore vita. Si segue tutti insieme, con forte senso di comunità, con vera attenzione per l’altro, con spirito di inclusione. Si prega in concentrazione, si ascolta con curiosità, ci si sta con partecipazione.
I fratelli Fadlun sono un’anima allegra del minian, con i loro appelli a fare del bene e le caratteristiche aste delle mizvot in giudaico-arabo tripolino. In molti si alternano alla lettura della Torah. Spesso vengono rabbini da Israele, o dal resto d’Europa. A Rosh Ha Shanà è stata bella e solenne la Chazanut di Rav Moshe, un rabbino spagnolo che insegna al Kollel. In un whatsup di gruppo si ricevono informazioni, filmati, fotografie, aggiornamenti, ricette e perfino battute. Cantava Giorgio Gaber: libertà è partecipazione!
Famose sono quindi le tavole imbandite per il kiddush, con i prelibati cibi tripolini. Ma non è il cibo, è proprio l’atmosfera che conta e di questo ringraziamo, oltre a rav Gianfranco Di Segni che cura i contenuti delle drashot, anche la generosa e sorridente padrona di casa, Ester Fadlun. Guardo lei e penso spesso a Doña Gracia HaNasi, la señora spagnola che rimasta vedova dopo la cacciata da Spagna e Portogallo, mantenne la tempra e la forza di preservare la famiglia, ma anche gli affari e soprattutto l’amore per il popolo ebraico ed Erez Israel.
Effettivamente il contributo dato alle nostre comunità dagli esodi ebraici più recenti mi ricorda tanto quello che dettero agli ebrei italiani gli ebrei sefarditi cacciati da Spagna, Portogallo ed Italia meridionale dopo il 1492. Quanta spinta allo studio, quanta nuova vita e curiosità intellettuale, quanta nuova energia ci portarono anche allora. A Ferrara si celebrano i 500 anni dell’Orlando Furioso, l’opera più importante del grande poeta Ludovico Ariosto. Furono gli ebrei sefarditi ad accorgersi di tanta bellezza, a tradurlo in spagnolo ed in ebraico e ad usarlo per far sviluppare una forma di teatro ebraico. La storia offre occasioni tristi ma anche opportunità straordinarie. Sta a noi coglierle.
Direttore Museo Nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah
https://moked.it/blog/2016/10/20/rimeiscolando-edot-ditalia/