“Guarda, io pongo oggi dinanzi a voi la benedizione e la maledizione. La benedizione, se ubbidirete ai comandamenti dell’Eterno vostro Dio, che oggi vi do. La maledizione, se non ubbidirete ai comandamenti dell’Eterno, vostro Dio e se vi allontanate dalla via che oggi vi prescrivo, per andar dietro a dèi stranieri che voi non avete mai conosciuto” (Deuteronomio 11:26-28).
Con queste parole Mosè spiega al popolo ebraico le condizioni attraverso le quali una persona può ricevere benedizione oppure maledizione. Nel suo commento, Rabbì Chayym ibn-Attar (1696-1743) pone una serie di domande. Per prima cosa si chiede perché Mosè inizi a parlare con il termine “Reeh/Guarda”, forse avrebbe dovuto iniziare con la parola “ascolta” date che stava parlando pubblicamente. In secondo luogo, Mosè usa la parola “Anochy/io”, invece della parola più comune “Ani/io”. Normalmente, la parola “Anochy” è usata per enfatizzare una capacità esclusiva, come per dire “specificamente io” o “io e nessun altro” posso compiere questo atto. Perché allora Mosè usa la parola “Anochy/io in questo contesto?
Rabbì Chayym risponde che quando una guida, un maestro, vuole esortare la collettività a scegliere l’impegno spirituale piuttosto che l’indulgenza nei piaceri fisici e materiali, è probabile che non venga preso in considerazione, a meno che non riconosca anche lui di aver avuto familiarità sia con le delizie della realizzazione spirituale sia con godimenti fisici. Non basta mostrare di aver acquisito l’eccellenza spirituale, si deve anche dimostrare di aver sperimentato i piaceri mondani, in modo da poter provare con sicurezza che la gioia dell’impegno spirituale supera quella dei godimenti materiali. Altrimenti, le sue parole di ammonimento non saranno mai prese in considerazione, gli sarà contestato il fatto di non aver mai avuto l’opportunità di indulgere nei piaceri mondani e combatterli e quindi non essere attendibile nel suo insegnamento.
Ecco perché Mosè inizia il suo discorso al popolo dicendo di “guardare” che è lui, Mosè, che li sta esortando a scegliere la benedizione della spiritualità piuttosto che la maledizione dell’esclusiva concentrazione sulle delizie mondane. Mosè che come principe d’Egitto aveva conosciuto onori, prestigio e ricchezza materiale, da servo fedele del Signore ha mostrato una grandezza spirituale senza pari quando trascorse quaranta giorni e quaranta notti in cima al Monte Sinai senza cibo né acqua, per ricevere la Torà. Mosè conosceva bene entrambi i mondi – quello materiale e quello spirituale – e quindi il popolo poteva fidarsi ciecamente di lui, più di chiunque altro, per seguire le sue indicazioni riguardo quale dei due mondi avrebbero dovuto scegliere.
Rabbì Chayym da anche la sua opinione alla domanda classica del perché Mosè usi la forma singolare “Reeh/Guarda” nonostante nel suo discorso si rivolga all’intero popolo. Rabbì Chayym afferma che quando si parla a un vasto pubblico, normalmente ogni singola persona comprende le parole dell’oratore secondo la propria prospettiva. Per questo l’oratore deve parlare come se dialogasse con ognuno dei presenti singolarmente; deve presentare il suo insegnamento in modo chiaro, convincente, efficace, in modo inequivocabile così che tutti ricevano lo stesso messaggio.
Il concetto espresso da Mosè in questo discorso era perfettamente chiaro: lui, più di chiunque altro, era nella posizione di esortare il popolo a scegliere la benedizione della spiritualità piuttosto che la maledizione del cedere totalmente alle delizie mondane. Questo messaggio era così convincente che tutte le persone lo ascoltarono e lo capirono esattamente allo stesso modo. Mosè dice al popolo “Reeh/Guarda” al singolare perché il suo insegnamento arrivò a tutti come se avesse parlato loro individualmente, uno ad uno.
I vantaggi del mondo materiale sono chiari ed evidenti mentre i benefici della Torà e delle mitzwoth non sono facilmente distinguibili, pertanto potremmo trovare molto difficile sacrificare le comodità, i piaceri materiali, per il bene dello studio della Torà, della preghiera, della kasheruth, della via delle mitzwoth.
Per aiutarci a uscire da questa difficoltà di scelta, la Torà ci viene in aiuto e ci invita ad avere fiducia nelle parole di Mosè. Possiamo imparare proprio dal “nostro maestro” che non c’è privilegio più grande, che non c’è bene più prezioso, del dedicarci al servizio del Creatore. Allora il sacrificio del nostro tempo, del nostro denaro e dei godimenti materiali in favore dell’apprendimento della Torà e dell’osservanza delle mitzwoth, non sarà più così pesante, perché le benedizioni che possiamo ottenere impegnandoci con il Signore, superano di gran lunga qualsiasi vantaggio che il mondo fisico può eventualmente offrirci, donandoci il doppio di quello che pensiamo di aver perso, Shabbat Shalom!