La cover di ottobre di Bet Magazine
Ester Moscati e Fiona Diwan – Foto Sophie Tranchina
Quasi tremila lezioni caricate in Rete, migliaia di visualizzazioni, un’offerta culturale ebraica articolata e davvero unica in Italia. E poi: programmi di studio, corsi strutturati, ricchezza di contenuti aperti a ogni genere di utenza. Il tutto made in Milano, organizzato e messo in piedi dal Rabbinato Centrale. Qualità a 360 gradi: dalla Kashrut agli aiuti alle famiglie, dai contenziosi giuridici al shalom bait… Fiore all’occhiello? Le lezioni online e gli approfondimenti. Parla il Rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib.
«Il mio ruolo? Sarò sincero: gratificante da un lato e frustrante dall’altro. Un rabbino è per definizione colui che si fa carico di tutti i problemi degli altri senza avere sempre le soluzioni in tasca. A un rabbino spesso si richiede di essere un problem solver, di saper ascoltare e proporre soluzioni di ogni genere, questioni famigliari, legali, giuridiche, di Halakhà, di comportamento domestico o negli affari, di relazione… Insomma, una quantità incredibile di supposte abilità. E oltre alle competenze, spesso occorre mettere in campo una delicatezza estrema, empatia, diplomazia e insieme fermezza, pazienza e ascolto, specie in una comunità articolata e complessa come quella di Milano».
C’è una nota dolente che vibra nelle parole di Alfonso Arbib, Rabbino Capo di Milano, classe 1958. Sorride e sospira il Rav mentre si accinge a snocciolare il lungo elenco di cose di cui si occupa oggi il Rabbinato centrale in una metropoli come quella milanese con i suoi circa 7.500 ebrei di cui 5.200 mila gli iscritti alla Comunità. Garantire una kashrut di qualità, supervisionare catering e teudot (licenze); e poi l’assistenza ai bisognosi, questioni giuridiche e di shalom bait (pace domestica e famigliare), offerta culturale di cicli di lezioni e corsi di ebraismo: e ancora, celebrare matrimoni e nascite, seguire il cimitero e i defunti; e poi le conflittualità di varia natura a cui si è chiamati a porre rimedio (contenziosi commerciali, di eredità o divorzi); la scuola e l’educazione; non ultimo, far funzionare il Tempio centrale assicurandone la fruizione per 365 giorni l’anno. Senza tralasciare le occasioni pubbliche e gli incontri con le istituzioni cittadine, le presentazioni, i meeting culturali, il dialogo interreligioso… Non male come varietà e complessità di ruoli e di impegno. Impegno, appunto. Ma anche progetti, scommesse, sfide, con un occhio che guarda più lontano.
Sono gli orizzonti del futuro ebraico di Milano e dell’Italia a stare a cuore e a preoccupare il Rav. Dietro al sorriso affabile, Arbib non nasconde un desiderio profondo e sofferto: quello di rendere gli ebrei milanesi più consapevoli del proprio retaggio ebraico e della ricchezza di questo incredibile patrimonio. Trasmettere l’unicità e la bellezza del “sentimento” ebraico per la vita, per lo studio, per ciò che significa essere e vivere ebraicamente. Da qui l’importanza di “lavorare” intorno a un ebraismo più articolato e ricco, non più vissuto in modo passivo o con troppa nonchalance. Con uno sguardo che abbracci il tempo che verrà e non solo lo spazio del qui e ora.
«L’ebraismo è basato sull’impegno per il futuro e verso il futuro: quello della nostra famiglia, il futuro dei nostri figli, della nostra comunità e del nostro popolo». Impegno concreto in ogni aspetto della vita ebraica. Non a caso, le lezioni più seguite sono quelle che Rav Arbib tiene su un antico testo della letteratura ebraica, il Pirkè Avot, chiamato “Etica dei Padri”, una raccolta d’insegnamenti etici e di massime rabbiniche risalenti al periodo mishnaico. «La natura umana è fatta di desiderio, emotività, pulsioni, di ciò che si muove sotto il livello della razionalità. Nel corso dei miei studi sul Movimento del Musàr, mi ha colpito l’enfasi posta sul concetto di ta’avà, desiderio. Ecco: non potremo mai avere successo come maestri, studiosi, educatori, rabbini, se non ci occupiamo del nostro “apparato emotivo”, se non capiamo le verità fondamentali che muovono l’agire umano», dice Rav Arbib. (Il movimento del Musàr si originò tra gli ebrei ortodossi lituani, fondato da Rabbi Israel Salanter -1810-1883 – e presto divenuto, grazie a Salanter, la base di un movimento sociale-spirituale molto popolare).
La dimensione emotiva
Rav Arbib, lei è appunto uno studioso del Musàr, movimento incentrato sull’Etica; come attualizzarne i testi? Come applicarne gli insegnamenti e portarli nella quotidianità della Comunità di Milano?
Il movimento del Musàr di Rav Salanter guarda all’Etica e alla rilevanza della dimensione emotiva che alberga nell’essere umano. Le emozioni sono tutt’altro che marginali: noi non siamo mai “tutto cervello”, non siamo esseri dicotomici, anzi. Rav Salanter parla del problema della ta’avà, del “desiderio”, del nostro “apparato emotivo”, che ci può condurre a cose belle quanto a cose pessime. Nella natura umana la dimensione del desiderio è fondamentale, e Salanter intuisce questo cinquant’anni prima di Freud. Quando qualcuno mi dice “L’importante è ciò che ho dentro”, generalmente rispondo “stai attento perché ciò che hai dentro potrebbe non piacerti, potrebbe non essere necessariamente solo buono”. Fondamentale è, per Rav Salanter, occuparci dello “stato emotivo” delle persone: non c’è insegnamento o linea di azione che abbia possibilità di successo se non si prende in considerazione questo aspetto delle persone che abbiamo di fronte. Questo è il cuore del Musàr.
Nella realtà di oggi a Milano, questo insegnamento va applicato ai casi concreti, per capire quali sono le emozioni contrastanti che agitano le persone e indirizzarne la risposta emotiva, specie tra i giovani.
Insomma, un duro mestiere. Un buon Rav deve essere versatile e saper fare un po’ di tutto, studioso, avvocato, giudice di pace, psicologo, diplomatico…
Il Rabbino Capo in una comunità italiana ha un ruolo molto diverso da quello che ha, per esempio, in Israele. Sì, qui ci si deve occupare di tutto. Tuttavia, spesso le persone si rivolgono al Rabbinato quando ormai i problemi o le situazioni da sanare sono compromesse e quando ormai è impossibile trovare soluzioni. Penso, ad esempio al shalom bait, la pace famigliare, alla conflittualità e ai problemi di coppia, un aspetto importante nel novero delle responsabilità del Rabbinato. I coniugi spesso si rivolgono al rabbino per il ghet, per il divorzio, quando i giochi sono fatti e non invece nelle fasi iniziali di una crisi quando un intervento di aiuto potrebbe essere efficace. Il Rabbinato, anche con l’ausilio di consulenti professionali, potrebbe invece essere d’aiuto in un momento di crisi coniugale ed evitare che si arrivi al ghet. Anche perché, sempre più spesso, a chiedere il ghet sono coppie giovani, sposate magari da un anno o due, e questo è davvero molto triste.
Uno degli aspetti più impegnativi del lavoro del Rabbinato è quello della Kashrut…
Direi uno dei più complessi e impegnativi. Per fortuna abbiamo una squadra di mashghichim molto seri e preparati che garantiscono un controllo della kashrut non solo nel quotidiano (RSA, ristoranti, esercizi commerciali e catering) ma anche quello di piccoli e grandi eventi: per matrimoni, bar e bat mitzvà, brit milà. L’impegno quindi è considerevolmente grande soprattutto quando gli eventi si sovrappongono tra di loro. Quest’estate, per esempio, i nostri mashghichim sono arrivati a lavorare fino a 14 ore al giorno tanto era il numero di eventi, feste, matrimoni… Non è affatto scontato che la Comunità abbia a disposizione ristoranti e prodotti Kasher di qualità; è una ricchezza che non solo va mantenuta al meglio, ma va sicuramente incentivata.
Anche le donne potrebbero svolgere attività di mashgiach?
Sì, certamente. Premetto che è un lavoro molto duro, in alcuni momenti stressante, ma è senza dubbio un compito che potrebbero svolgere anche le donne, debitamente preparate.
La figura del mashgiach è molto richiesta. Un operatore della kashrut è una sorta di “impiegato specializzato”, non è una competenza da poco, che si possa improvvisare, è un lavoro che va fatto accuratamente se si vuole avere credibilità e guadagnarsi la fiducia di chi comprerà la tua carne e i tuoi prodotti. Insomma, fornire alti standard di certificazione di kashrut che siano condivisi e affidabili è importante, e noi di Milano oggi abbiamo acquisito molta autorevolezza. La kashrut garantita dal Rabbinato di Milano viene accettata da tutti, a tutti i livelli di ortodossia, dai Chabad-Lubavich, dai Persiani, dai Libanesi: tutti comprano la carne kasher del Rabbinato di Milano, tutti si fidano delle nostre certificazioni e teudot, la qual cosa che non è affatto scontata e figuratevi che non avviene nemmeno in Israele! Sia ben chiaro che tutto questo non è solo merito nostro, vorrei ricordare soprattutto il contributo di Yosef Tehillòt nel campo della shechità.
Solitudine, disagio, indigenza, vecchiaia… In che misura il Rabbinato viene coinvolto nel “sociale”?
In misura importante. L’Assistenza ai deboli e bisognosi è un altro aspetto di cui il Rabbinato si occupa costantemente, in stretto collegamento con il Servizio Sociale della Comunità. Nuove realtà di disagio e povertà stanno rendendo difficile la vita di molti iscritti alla Comunità. Ci sono realtà struggenti e molto grame. Per farvi fronte, il Rabbinato riceve direttamente delle donazioni e siamo molto felici di essere un punto di riferimento per donatori che vogliano aiutare chi è in difficoltà.
Il Tempio Centrale di via Guastalla
A Milano ci sono un numero significativo di oratori e templi (tra i 18 e i 21): quale sinergia tra Rabbinato centrale e le diverse sinagoghe?
In linea generale, con alcune c’è una collaborazione piuttosto stretta; non a caso, tengo delle lezioni in diverse sinagoghe, anche in templi che hanno una loro autonomia gestionale e che non dipendono direttamente dalla Comunità (oltre a Guastalla, il tempio di via Eupili o il tempio della Scuola). Collaboriamo anche con i templi indipendenti e autonomi come il Noam, quello di via dei Gracchi e di via Asti, con cui c’è una reale sinergia con il Rabbinato centrale (ne approfitto per dire che un importante contributo all’attività educativa ebraica a Milano è dato anche dai vari Battè knesset e dall’organizzazione Chabad). Il Tempio di via Guastalla, nonostante sia lontano dal “quartiere ebraico”, è un tempio che funziona, che regge (machzik ma’amàd), che “tiene il punto”, dove c’è minian tutti i giorni, cosa non affatto banale: funziona bene di Shabbat e per le feste solenni. Questo lo dobbiamo anche all’aiuto dei Parnasìm che sono presenti, non solo per le funzioni quotidiane ma anche per gli eventi che organizziamo, come shabbatonìm, cene in occasione delle feste e perfino nella gestione più quotidiana. Quindi, nonostante l’offerta ebraica a Milano di sinagoghe sia davvero incredibilmente ricca e variegata, il Tempio Centrale rimane un punto di riferimento per molti milanesi.
Il Rabbinato e l’offerta culturale
Il patrimonio di contenuti ebraici messo a disposizione da Milano è tra i più ampi e di qualità oggi reperibili in Italia. L’offerta di lezioni online è strabiliante, più di 2850, probabilmente nessuna comunità offre così tanta ricchezza di contenuti (sono caricate sul canale YouTube, sulla pagina Facebook “Reshet” del Rabbinato e sul sito Mosaico), fruibili da chiunque. Lezioni online che si sono rivelate un grande successo: quali i numeri e i programmi futuri?
Già prima del Covid, da quasi 10 anni, sono iniziate delle lezioni aperte a tutti, anche in case private. Rispetto alle sedi istituzionali, le lezioni in casa funzionano molto bene, sono più friendly, più calorose, c’è più spontaneità e aggregazione. Anche le lezioni del mercoledì a casa mia (le prime ad essere registrate e poi messe online) sono da sempre apprezzate per l’atmosfera più amicale (anche oggi sono fruibili sia in presenza – nel mio salotto – sia su zoom).
Durante il lockdown poi, le lezioni online hanno raggiunto dei numeri insperati e per certi versi anche inspiegabili. Le prime settimane si è arrivati ad avere migliaia di utenti collegati mentre adesso si registra una media di qualche centinaio di utenti per le lezioni tenute da me, ma anche da un nutrito gruppo di altri docenti (Rav Gabriel Sorani, Rav Alberto Somekh, Micol Nahon, Alessandra Somekh, Daniel Lubin e altri). Un successo che ci ha sorpreso e incoraggiato. Lezioni seguite dall’Italia, da Milano ma anche dall’estero, da Israele e da diversi paesi dell’Unione Europea. Le tematiche sono numerose: Halakhà, Mussàr, Torà, lezioni sulle varie tefillòt, alcune con contenuti complessi, specie quando si parte dai testi per analizzarli, ma tantissime anche a livelli molto semplici che registrano un grande seguito.
Numerose poi le lezioni che si tengono al Tempio Centrale: da quando sono Rabbino Capo (18 anni ormai!), ogni Shabbat, dopo la Tefillà e prima di andare a casa per il pranzo, tengo una lezione molto frequentata sulla parashà della settimana. È molto importante stabilire un programma definito, un ordine per poter incrementare lo studio strutturato a Milano e chiarire che l’ebraismo è soprattutto studio sui testi, studio strutturato e organizzato.
Quindi molto di più che non burocrazia e certificati…
Se il Rabbinato si limitasse solo a fornire certificati o teudot sarebbe semplicemente morto. L’unico modo per evitare che lo sia è quello di fornire contenuti di studio e opportunità per conseguirli. Non a caso l’ebraismo è l’unica religione in cui lo studio è il valore supremo e irrinunciabile. Quando parliamo di studiare Torà diamo per scontato che sia una cosa normale, ma non lo è affatto. Se non ci sono maestri, luoghi e occasioni la cosa diventa complicata.
Perché studiare? Perché significa soprattutto crescere; studiare evita la cristallizzazione, evita che il nostro pensiero si sclerotizzi. Lo studio ti mette in discussione, ti pone delle sfide, ti costringe a superare i tuoi limiti cognitivi e ideologici. Ti aiuta a capire chi sei e dove stai andando. Spesso accade, quando sentiamo parlare di scuola e di istruzione, che si tiri in ballo il concetto di “obiettivi minimi”: è un’espressione che non amo, che implica un obiettivo al ribasso mentre invece credo che in fatto di studio si debba puntare sempre in alto, chiedere di più a se stessi, porsi l’obiettivo “massimo”, non “minimo”. Non dovremmo mai smettere di chiedere di più a noi stessi. La Haftarà di Shabbat Teshuvà (tra Rosh Hashanà e Kippur) parla proprio di questo, dell’aspirazione ad arrivare a conoscere “il trono di Dio”: “Torna Israele al Signore tuo D-o perché sei caduto nei tuoi peccati”. La risposta che viene data è: se vuoi fare un percorso, poniti l’obiettivo massimo. Magari non lo raggiungerai, ma intanto guarda in alto. Lo studio significa questo.
Lo studio strutturato
In questo quadro si colloca anche la nascita – in via Guastalla – del Kolèl?
Sì. Il Kolèl è un luogo di studio aperto al pubblico. L’idea è quella di mettere a disposizione di chiunque figure di studiosi e maestri in grado di soddisfare le più disparate richieste di approfondimento in fatto di ebraismo. Un’occasione di crescita, di confronto, per nutrire la propria curiosità culturale e il desiderio di capire il nostro retaggio sapienziale. Il Kolèl è avere qualcuno – che sia a disposizione – con cui studiare e confrontarsi. Ecco il motivo per cui è nato il Kolèl (è sponsorizzato da un donatore ma anche la Comunità fa la sua parte. Una compartecipazione che garantisce la continuità di questo progetto). Fondamentale è che lo studio sia strutturato, non episodico, che parta dai testi: in merito, ho richiesto a coloro che tengono le lezioni di non eccedere con le derashòt, ovvero con i discorsi generici spesso accattivanti e pieni di spunti ma di cui rimane poco, un messaggio che rischia di essere recepito in modo rapsodico e superficiale: ritengo importante partire dai testi.
Sono solo i testi a garantire approfondimento e coinvolgimento. Per questo il Rabbinato ha istituito il Bet Hamidrash, ahimè molto penalizzato nel periodo del Covid. Il Bet Hamidrash ha un programma di studi ben preciso, lezioni organizzate e finalizzate a un percorso che porti a risultati concreti, al conseguimento del titolo di Maskil. Ritornando alle lezioni online, queste ci permettono di raggiungere le piccole comunità e gli ebrei lontani, persone che vivono nei posti più sperduti e che non sanno dove reperire contenuti ebraici.
Il programma del Rabbinato per il futuro?
Incuriosire, stimolare, pungolare con un’offerta sempre più ampia di lezioni e approcci di studio, dando peso al Kolèl, allo studio delle donne, al rilancio del Bet Hamidrash con l’istituzione di concorsi specifici finalizzati all’acquisizione del titolo per l’esame di Maskil, che è il primo grado del percorso rabbinico.